L’ONU per un mondo più sicuro
Il 3 dicembre l’ONU ha diffuso un rapporto, elaborato da una commissione di 16 eminenti personalità, presieduta dall’ex Primo Ministro tailandese Anan Panyarachun, dal titolo Un mondo più sicuro: la nostra comune responsabilità. Il rapporto contiene 101 raccomandazioni sui mezzi per rafforzare il ruolo dell’ONU nel promuovere la sicurezza globale. E’ questo un settore nel quale si registrano le più profonde divisioni tra gli Stati membri e, in conseguenza di ciò, l’ONU è incapace di agire.
Come combattere il terrorismo? Come eliminare le armi di distruzione di massa? La guerra preventiva è giustificata? Come si può distinguere l’uso “preventivo” della forza da un atto di aggressione? In quali casi l’uso della forza è legittimo? Sono tutte questioni fortemente controverse, sulle quali l’ONU dovrebbe essere messa in condizioni di dare risposte e invece ha un ruolo irrilevante.
Tra le più significative proposte del documento è da ricordare quella che riguarda la regolamentazione dell’uso della forza.
Il rapporto denuncia, con un implicito ma chiaro riferimento all’attacco preventivo degli Stati Uniti contro l’Iraq, iniziative unilaterali prese fuori dal Consiglio di Sicurezza per fare fronte a minacce alla pace e alla sicurezza sul piano internazionale. Si ribadisce che la sede per deliberare un’azione militare preventiva non può che essere il Consiglio di Sicurezza.
L’intervento di quest’ultimo, per essere considerato legittimo, si deve attenere a cinque criteri:
1) la rilevanza della minaccia (genocidio, pulizia etnica, violazioni su vasta scala del diritto umanitario);
2) scopo esclusivo dell’intervento militare deve essere l’eliminazione della minaccia;
3) devono essere state esplorate tutte le possibilità di una soluzione
non militare per fare fronte alla minaccia;
4) dimensione, durata e intensità dell’intervento devono essere proporzionali allo scopo;
5) probabilità che l’intervento produca effetti migliori dell’inazione.
Poiché questi fatti configurano una vera e propria minaccia alla pace e alla sicurezza sul piano internazionale, essi giustificano un intervento negli affari interni di uno Stato, autorizzato dal Consiglio di Sicurezza.
Il principio di non ingerenza, enunciato dall’articolo 2.7 dello Statuto dell’ONU, deve perdere, secondo il rapporto, il carattere di pietra angolare dell’edificio delle Nazioni Unite. Esso non può e non deve essere invocato per giustificare genocidi o altre atrocità. Deve quindi cedere di fronte all’esigenza di proteggere i diritti umani. Va segnalato che l’ingerenza di un’autorità internazionale negli affari interni di uno Stato per difendere valori universali è un principio di ispirazione federalista. E’ lo stesso principio che sta alla base del Tribunale panale internazionale, istituito nel 1998.
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Il documento affronta il problema della riforma del Consiglio di Sicurezza, questione sulla quale è in corso un acceso dibattito internazionale. Le proposte erano attese con grande interesse, perché si pensa che esse determineranno l’orientamento del dibattito che si svilupperà nel corso del 2005. A marzo Kofi Annan presenterà il rapporto all’Assemblea generale. A settembre si terrà un vertice dei Capi di Stato e di Governo. Poi dovranno essere prese le decisioni. E’ da ricordare che la procedura di emendamento dello Statuto dell’ONU esige un voto a maggioranza di due terzi dei membri dell’Assemblea generale e un voto del Consiglio di Sicurezza che ottenga l’appoggio unanime dei cinque membri permanenti. Si tratta di soglie che è difficile ma non impossibile raggiungere.
Vediamo quali sono le proposte del rapporto. In primo luogo si propone di estendere il numero dei membri del Consiglio di Sicurezza da 15 a 24, ma i membri con diritto di veto dovrebbero rimanere cinque. Sono affacciate due ipotesi alternative.
La prima propone di affiancare ai cinque membri permanenti sei nuovi membri permanenti senza diritto di veto e agli attuali dieci membri a rotazione altri tre seggi.
La seconda propone di istituire una nuova categoria di otto nuovi membri a durata quadriennale (rinnovabili), cui si dovrebbe aggiungere un altro seggio agli attuali dieci a rotazione biennale.
Puntuale come la cometa di Halley, il problema della riforma del Consiglio di Sicurezza si è di nuovo presentato all’orizzonte. Eppure esso continua ad essere formulato in una maniera che resta lontana dalle tendenze più nuove che si sono affermate nella politica internazionale.
L’attuale struttura del Consiglio di Sicurezza fu progettata in un tempo di dominazione e di ineguaglianza. A 60 anni dalla fondazione delle Nazioni Unite, la sostanza del potere di decisione rimane ancora concentrata nelle mani di soltanto cinque Stati su 191, i vincitori della seconda guerra mondiale. Quella organizzazione è del tutto inadeguata a garantire la sicurezza del mondo ed è incoerente rispetto agli obiettivi di uguaglianza e di giustizia che si sono affermati negli anni più recenti nella politica internazionale. Di qui la necessità di allargarla e di trasformarla da un direttorio di cinque grandi potenze in un corpo più rappresentativo.
Questa proposta suscita l’ostilità degli Stati esclusi, particolarmente di quelli più qualificati a fare parte di questo organismo. Per esempio il Pakistan non è disposto ad accettare la candidatura dell’India, l’Argentina quella del Brasile, l’Italia quella della Germania e cosi via. L’assegnazione di due nuovi seggi per il Nord e quattro per il Sud rafforzerebbe la rappresentanza del Sud nel Consiglio di Sicurezza, ma confermerebbe la supremazia del Nord, in particolare dell’Europa, alla quale spetterebbero tre seggi, un peso del tutto sproporzionato, considerando che la popolazione dell’UE ammonta a 455 milioni di abitanti.
Anche la seconda proposta è di stampo egemonico. Questa caratteristica è però più debole che nella prima, perché suggerisce di aprire le porte del Consiglio di Sicurezza a un numero più ampio di Stati. Essa soddisfa le pretese di Stati di medie dimensioni – l’Italia è uno di questi –, che non possono aspirare a un seggio permanente.
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Il modo migliore per ottenere una riforma equa del Consiglio di Sicurezza è quello che prevede la formazione di raggruppamenti regionali di Stati. La riorganizzazione dell’ordine mondiale sulla base di questi raggruppamenti di Stati rappresenta non solo un’alternativa alle gerarchie di potere determinate dalla differenza tra Stati di diverse dimensioni, ma anche alla frammentazione del mondo in una grande quantità di piccoli Stati in contrasto con gli Stati di grandi dimensioni. In realtà, la grande disparità di dimensione e di potere tra gli Stati membri rappresenta il più grave difetto della struttura attuale delle Nazioni Unite. Il costante aumento del numero di Stati membri (sono quasi quadruplicati rispetto al 1945) mostra che nel mondo è in atto un processo che porta alla frammentazione e all’anarchia. Questa tendenza è contrastata dai processi di aggregazione, di cui l’unificazione europea rappresenta l’esempio più significativo. E’ necessario che si formino raggruppamenti regionali nell’Assemblea Generale ed accrescano la loro coesione, di modo che progressivamente possano esprimersi nel Consiglio di Sicurezza.
La crescente coesione dell’UE e la prospettiva che essa possa svolgere il ruolo di attore internazionale in seno all’ONU sono intimamente collegate al grado di sviluppo del processo di unificazione. E’ da ricordare che, nonostante la drammatica divisione dell’UE sull’atteggiamento da tenere in relazione all’attacco degli Stati Uniti contro l’Iraq, le decisioni degli Stati membri nelle relazioni esterne mostrano un elevato grado di convergenza. Questo avviene specialmente nei campi della politica commerciale, economica e monetaria, dove l’Europa può parlare con una sola voce. Nella WTO e nella FAO la Commissione Europea rappresenta tutti gli Stati membri. Ma, all’interno dell’ONU, l’UE già si muove come un unico attore nella maggior parte dei casi. Per esempio, nel 1999 la UE ha raggiunto una posizione comune nel 95% dei casi portati al voto nell’Assemblea Generale.
L’ammissione dell’UE nel Consiglio potrebbe rappresentare un’alternativa all’egemonia dei tre Stati più potenti nei confronti dell'UE e alla richiesta di un seggio permanente da parte della Germania. Si deve considerare che l’ammissione della Germania nel Consiglio di Sicurezza potrebbe incoraggiare, in quel paese, lo sviluppo di una politica estera indipendente rispetto all’UE e cosi fornire uno stimolo per il risveglio del nazionalismo tedesco. Se le ragioni della Germania fossero riconosciute, come ignorare quelle dell’Italia, della Spagna, della Polonia e cosi via? Se gli Europei decidessero di tornare a dare la precedenza agl’interessi nazionali, tutto il disegno di un’Europa unita verrebbe irreparabilmente danneggiato. Paradossalmente questo accade quando la ratifica della Costituzione Europea è all’ordine del giorno.
http://www.mfe.it/unitaeuropea
- The Federalist Debate
http://www.federalist-debate.org
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