Cittadinanza federale europea - 4° contributo

La cittadinanza europea e la cittadinanza cosmopolitica

Il contributo fa parte del documento, composto da 8 articoli, sulla "Cittadinanza federale" redatto collettivamente dalla Gioventù Federalista Europea e presentato in occasione del Seminario di dibattito MFE-GFE (Napoli, 16-17 ottobre 2004). Europace pubblicherà a cadenza settimanale tutti i contributi.
Samuele Pii (Gioventù Federalista Europea)

Per introdurre il rapporto tra la cittadinanza europea e la cittadinanza cosmopolitica ho ritenuto utile iniziare da un’analisi della situazione attuale, con particolare attenzione al dibattito sull’immigrazione e all’integrazione degli immigrati all’interno degli stati nazionali. Lo scritto prosegue con una riflessione sull’attuale cittadinanza dell’Unione, evidenziando gli elementi cosmopolitici nell’esperienza dell’integrazione europea e si conclude con una serie di punti schematici. I titoli dei paragrafi sono indicativi e possono anche non essere mantenuti nella stesura definitiva. Le note nel testo servono a chiarire degli aspetti, qui appena accennati, o indicare i riferimenti bibliografici. Le fonti consultate sono: della letteratura federalista, gli articoli nella rivista Il Federalista e i Quaderni del Dibattito Federalista; inoltre, Etienne Balibar, Noi cittadini d’Europa?, Manifestolibri, 2004, I parte, cap. 2; Catherine Wihtol de Wenden, La citoyenneté européenne, Presses de Sciences Po, 1997.

Per una rapida lettura, di seguito, riporto, i punti principali ed alcune indicazioni da inserire nella relazione finale:

1) la critica al “nazional-repubblicanesimo” (o “nazionalismo repubblicano”), mossa da Etienne Balibar;

2) l’immagine dell’”apartheid europeo” (forte ma efficace) per denunciare la stato di esclusione di milioni di immigrati in Europa (“la ventiseiesima nazione dell’Ue”);

3) l’emergere della cittadinanza cosmopolitica attraverso alcuni elementi della
cittadinanza europea;

4) la proposta di coinvolgere direttamente le associazioni di immigrati nella prossima campagna dei federalisti, basandosi sulla convinzione che gli “extra-comunitari” (i “senza patria”) sono dei potenziali federalisti e che la prospettiva di una Costituzione europea accenderà il dibattito sul “diritto di cittadinanza”;

5) la citazione tratta dall’opera di Ursula Hirschmann “Noi senza patria” (cfr. le conclusioni).

Introduzione

Il tema della cittadinanza e la questione dell’immigrazione sono di grande attualità. In molti paesi europei, ormai da oltre un decennio, la classe politica è chiamata a rispondere alle sfide dell’integrazione degli immigrati nelle rispettive società nazionali. Il calo demografico del continente rende indispensabile una scelta politica. Non solo, eventi quali la protesta dei sans papier in Francia, il dibattito intorno alla nuova legge sull’immigrazione in Germania, le reazioni alla proposta di riconoscere il diritto di voto agli immigrati in Italia, il recente esito negativo del terzo referendum sull’allargamento della cittadinanza in Svizzera, mostrano quanto sia arduo innovare in materia di “diritto alla cittadinanza”. Un concetto da sempre legato alla stessa sovranità statuale, ma anche alla sovranità popolare e ai principi universali della tradizione democratica europea.
In proposito, uno sguardo sulla politica francese, nel paese dove è nata la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e del cittadino (1789), può aiutare a comprendere gli ostacoli presenti e gli sviluppi futuri.

L’affermazione del “nazional-repubblicanesimo”

Gli Stati moderni preferiscono scegliere la “via nazionale” per affrontare le crisi e le nuove sfide mondiali, invece di cedere sovranità per trovare una soluzione comune in ambito europeo. Solo in condizioni di particolare urgenza e necessità la scelta politica si orienta verso la soluzione sovranazionale (anche la nascita della moneta unica corrisponde a questa logica, in seguito ad un repentino mutamento geopolitico) . Secondo Etienne Balibar il concetto di “nazional-repubblicanesimo” descrive bene questo comportamento delle autorità statali, presente anche in tema di cittadinanza e d’immigrazione. Che cosa è il “nazional-repubblicanesimo”? L’autore francese lo definisce presentando tre punti essenziali che in sintesi qui rielaboro:

1) quando gli Stati si sentono sfidati e indeboliti attivano metodi repressivi e umilianti nei confronti degli “immigrati”, sino a considerare questi ultimi alla stessa stregua della criminalità organizzata;

2) l’alternarsi della destra e della sinistra al governo ha lasciato invariato, nella sostanza, il contenuto di questo tipo di politiche repressive. In Francia il legame tra destra (Pasqua) e sinistra (Chevènement), in materia di immigrazione, si è basato sul concetto di “difesa della Repubblica” e sul fatto che gli immigrati costituiscono una minaccia per la salvaguardia della sovranità nazionale (si veda infra) ;

3) un conformismo culturale costituisce il terreno d’intesa che si auto-legittima sulla base di un unico “modo di pensare”. L’autore si riferisce all’idea, radicata nella classe dirigente francese, secondo la quale “l’esistenza dello Stato repubblicano è continuamente minacciata dalle forze economiche della mondializzazione, dalle reti criminali che gestiscono l’immigrazione clandestina, dal comunitarismo religioso o culturale e, infine, dagli intellettuali cosmopoliti e dalle Ong che si lasciano sedurre dall’ideologia postnazionale” .

Il nazionalismo repubblicano, come denuncia Balibar, guadagna “sorprendentemente terreno non solo nei cenacoli politico-letterari o nelle corporazioni come quelle degli insegnanti, degli impiegati del trasporto urbano o della polizia che vivono in prima persona il fenomeno della de-strutturazione della società e della crisi del servizio pubblico, ma nel comportamento dei responsabili della sinistra francese” . I suoi effetti si manifestano in diversi settori: per esempio nel funzionamento della giustizia, la cosiddetta double peine (doppia pena). Con questo istituto giuridico è possibile associare alle condanne penali degli individui di nazionalità straniera delle misure di espulsione o d’interdizione dal territorio francese, indipendentemente dai legami biografici o familiari che essi possono aver costruito nel frattempo. La doppia pena spiega bene quanto i diritti fondamentali, considerati solitamente “inalienabili” vengano, di fatto, modulati in funzione dell’appartenenza nazionale e in una prospettiva sicuritaria . Altro effetto del nazionalismo repubblicano è l’uso continuo di un eccesso di potere, tipico della sovranità statale, in particolare, rispetto ai grandi temi della politica economica, della sicurezza collettiva, dell’informazione nei quali non riesce più a dare delle risposte. Questa dinamica del potere dello Stato-nazione è definita da Balibar come “sindrome dell’impotenza dell’onnipotente” . E’ proprio per tentare di ricostruire nell’immaginario collettivo un mito della sovranità che si sviluppa un razzismo istituzionale, decisamente più efficace del sistema dei pregiudizi o delle ideologie di rifiuto dell’altro. Quindi, lo Stato mostra la forza che egli pretende di avere e rassicura, allo stesso tempo, coloro i quali lo immaginano e lo pensano finito . Il nazionalismo, altra conseguenza, stigmatizza lo straniero in quanto tale. I cittadini nazionali, infatti, pensano che i loro diritti possono avere ancora un valore se i diritti degli stranieri appaiono come inferiori, precari o subordinati ai meccanismi, quasi sempre escludenti, dell’integrazione. Pertanto, la grande equazione istituita dagli Stati moderni tra cittadinanza e nazionalità – che fornisce un contenuto all’idea di “sovranità del popolo” – comincia a funzionare capovolgendo i termini del suo significato democratico: “la nazionalità non ha più un valore storico all’interno del quale è possibile costruire la libertà individuale e l’uguaglianza collettiva ma diventa l’essenza stessa della cittadinanza e cioè la costruzione di una comunità assoluta a cui tutti gli “altri” devono aderire” . Si pensi al concetto di “preferenza nazionale” utilizzato nel dibattito politico dalle forze più nazionaliste . Da qui l’opinione diffusa secondo la quale sia preferibile dare lavoro prima ai cittadini italiani (o francesi, tedeschi etc.) e poi agli “stranieri”. Tale opinione ignora che una quota consistente della popolazione (nazionale) disoccupata è spesso in attesa di una occupazione idonea alla propria formazione, scegliendo quindi di non svolgere determinate attività per le quali gli “immigrati” sono più disponibili come manodopera non qualificata.
Sul futuro della democrazia l’autore sviluppa la seguente considerazione: “il minimo che si può affermare è che questo tipo di repubblica non riesce ad opporre nessun tipo di resistenza nei confronti di coloro i quali intendono trasformare i criteri dell’inclusione e dell’assimilazione [all’origine propri del valore della nazionalità] in criteri dell’esclusione e dell’epurazione” .

Verso un’immigrazione ri-colonizzata e verso un “apartheid” europeo?

Nella sua analisi Etienne Balibar introduce due idee-forti, a tratti provocatorie, ma efficaci: “l’immigrazione ri-colonizzata” e “l’apartheid europeo”. Mi limito a presentarle nei loro aspetti essenziali. Con la prima egli vuole riflettere sull’”eredità coloniale”, all’origine della graduale assolutizzazione della nazionalità e dei valori nazionali. “A partire dagli anni ’80 – scrive Balibar – si è messo in moto un autentico processo di ri-colonizzazione delle relazioni sociali”. Inoltre, l’ideologia della sicurezza contribuisce a creare “una confusione sistematica tra i poteri amministrativi e giudiziari, tra autorità politiche e poliziesche, nei luoghi di lavoro e nelle abitazioni. Il mito di una eguaglianza reale tra stranieri e nazionali si è completamente dissolto ma viene giustificato dall’idea secondo cui gli immigrati godono del diritto di cittadinanza altrove e cioè da loro. Dinanzi all’assenza di diritti civili, della libertà d’impresa, d’associazione e d’opinione, del diritto alla dissidenza etc., non vi è nessun’altra forma di protezione per gli immigrati e al contempo viene riservato un trattamento diverso per chi arriva da altre nazioni dominanti ed occidentali o per i membri della borghesia internazionale. Secondo il vecchio modello di classificazione delle etnie costruite ed inventate dal colonialismo con lo scopo di dividere e gerarchizzare i dominati, le categorizzazioni razziali, amministrative e culturali degli immigrati di diverse generazioni e di provenienze altrettanto differenti, servono, come ha dimostrato Wallerstein , a dividere la forza lavoro globale creando un sistema concorrenziale su scala mondiale”. Sul punto l’autore conclude: “gli immigrati rappresentano un pericolo perché rimettono in questione la posizione dei dominanti e denudano, rendono visibile, il non-diritto delle società occidentali” . Tuttavia, ciò che appare a prima vista come un pericolo può diventare una chance, una possibilità di rinascita della vita civica. E qui s’introduce la seconda idea-forte. La ri-colonizzazione della forza lavoro, da una parte, è l’esito dei processi di globalizzazione, dall’altra risulta essere accentuata anche dall’Unione europea. Il Trattato di Maastricht, infatti, prevede l’attribuzione della cittadinanza europea ai soli nazionali dei paesi membri escludendo cioè tutti i lavoratori immigrati. Si crea, in sintesi, un nuovo tipo di discriminazione che non esisteva, in modo così evidente, nelle singole nazioni. Una simile situazione genera forme di razzismo specificatamente “europee”. Si pensi agli oltre 13 milioni di persone provenienti dai paesi “terzi”, installati da una o più generazioni in diverse nazioni europee; essi sono diventati, ormai, completamente indispensabili all’economia, alla cultura e alla civiltà in Europa, ma sono anche una massa di cittadini di seconda categoria, indipendentemente dal fatto che possano avere o meno un permesso di soggiorno. Catherine Wihtol de Wenden definisce questa moltitudine la “sedicesima nazione europea” (ora ventiseiesima, dopo l’allargamento) .
Per allargare la cittadinanza alle diverse componenti del popolo europeo, Balibar non esita a suggerire che “occorre generalizzare ed estendere lo jus soli sino ad ottenere una cittadinanza basata sulla residenza, altrimenti si rischierebbe un regime di esclusione del tutto simile a quello del sistema dell’apartheid e in contraddizione flagrante con l’ambizione di costruire un modello democratico di respiro continentale e mondiale” .

L’emergere della cittadinanza cosmopolitica

L’istituzione della cittadinanza europea , per quanto limitati siano per ora i suoi contenuti, deve essere interpretata come una tappa del processo di pacificazione tra i popoli europei. In sostanza, l’Ue realizza nella storia la prima forma pacifica di convivenza tra cittadini di differenti nazioni. La cittadinanza europea istituisce uno status giuridico post-nazionale, ma pre-cosmopolitico, nella misura in cui dall’Ue devono necessariamente restare esclusi altri popoli. A questo punto è opportuno soffermarsi sul carattere evolutivo della cittadinanza europea intesa come una dimensione embrionale della cittadinanza cosmopolitica. I diritti cosmopolitici ampliano la portata e rafforzano i contenuti dei diritti liberali, politici e sociali. Attraverso la conquista dei diritti cosmopolitici il cittadino può finalmente liberarsi dalla condizione di minorità morale e civile in cui lo relegava l’ideologia del nazionalismo.

L’attribuzione dei diritti politici in base al criterio della residenza, indipendentemente dalla nazionalità, è un principio che è applicato in tutte le Federazioni di Stati. Il pieno sviluppo di questa concezione della cittadinanza porterà alla sua progressiva estensione a tutto il pianeta attraverso la realizzazione di una cittadinanza cosmopolitica. L’unificazione europea, proprio perché la sua essenza consiste nel processo di superamento del principio nazionale, ha permesso di compiere dei progressi sulla via del riconoscimento dei diritti politici anche ai cittadini extra-comunitari. Inoltre, Danimarca, Irlanda, Olanda, Svezia e Norvegia, hanno riconosciuto il diritto di voto attivo e passivo nelle elezioni comunali a tutti i cittadini residenti, quindi anche a quelli extra-comunitari . Anche l’Italia si appresta a riconoscere questi diritti. Tutto ciò è espressione dell’emergere in seno alla società europea dei principi di una cittadinanza cosmopolitica. Il fatto che i diritti elettorali siano stati, per ora, riconosciuti solo a livello delle elezioni comunali mostra che non sono ancora maturate le condizioni per estendere questi diritti al livello al quale si prendono le decisioni relative alla politica internazionale. Tuttavia la partecipazione al voto sul piano locale permette agli emigranti di influire su politiche che hanno una grande rilevanza per le loro condizioni di vita, come quelle della casa, dell’istruzione e della sanità e favorisce un loro effettivo inserimento nella comunità che li accoglie. Inoltre, nulla si oppone già oggi all’estensione a tutti i residenti dei diritti elettorali a livello provinciale e regionale . D’altra parte, la prospettiva della trasformazione degli Stati nazionali in Stati membri della Federazione europea crea le condizioni per estendere il riconoscimento di questi diritti anche a livello nazionale. Quanto alla Federazione europea, se saprà collocarsi nel solco delle grandi trasformazioni rivoluzionarie che l’hanno preceduta, non è da escludere che essa possa affermare progressivamente il principio del riconoscimento dei diritti politici ai residenti sul proprio territorio. Solo con l’applicazione di questo principio a tutti i livelli essa potrà far valere la propria natura di formazione politica multinazionale, aperta al resto del mondo, che le permetterà di presentarsi come la prima tappa sulla via dell’unificazione del genere umano.

Conclusioni

Nel tracciare le conclusioni è possibile individuare alcuni elementi essenziali ed una proposta per il futuro (si veda il punto 6).

1) Il dibattito intorno alla cittadinanza europea è molto diffuso ed è sempre più legato alla questione dell’immigrazione.

2) Tra le varie posizioni delle forze politiche e del mondo culturale, due sono le concezioni della cittadinanza che si oppongono:

a) l’una è astratta e statica al contempo, ad essa s’ispirano le forze della conservazione e quelle reazionarie. Può riconoscere alcuni obiettivi della trasformazione sociale e dell’eguaglianza, ma rimane confinata nella dimensione dello Stato nazionale. Le uniche autorità competenti all’allargamento del diritto di cittadinanza sono le amministrazioni statali.

b) L’altra è più evolutiva e tenta di articolare i diritti dell’uomo e i diritti del cittadino insieme ad un’ampia partecipazione di tutti gli individui alla vita civile. Include l’obiettivo di una cittadinanza basata sulla residenza e non unicamente sulla nazionalità.

3) Tra coloro che si riconoscono in questa seconda concezione della cittadinanza (le forze democratiche, tra cui i federalisti) non c’è ancora un’idea chiara di azione per raggiungere l’obiettivo .

4) La Costituzione europea se da una parte, accoglie senza migliorare la cittadinanza europea come prevista dal Trattato di Maastricht; dall’altra, proietta l’integrazione europea in un nuovo contesto, anche in seguito all’allargamento dell’Ue, ed offre degli strumenti innovativi per avviare una nuova dinamica intorno al tema della cittadinanza (si pensi all’istituto di democrazia diretta dell’art. 46).

5) Nel prossimo futuro, tutte quelle forze politiche che condividono l’obiettivo di promuovere una cittadinanza europea basata sulla residenza e che tenda verso la cittadinanza cosmopolitica, avranno l’occasione di costituire un fronte comune.

6) In particolare, il tema della cittadinanza potrebbe essere un prezioso terreno d’incontro tra i federalisti e la società civile (le associazioni d’immigrati) per avviare una battaglia comune sul prossimo obiettivo strategico al fine di far avanzare il processo di unificazione europea in senso federale. Non è da escludere un sostegno alla nostra prossima campagna da parte di coloro che vivono in prima persona le contraddizioni e le ingiustizie generate dal vuoto dell’Europa politica: gli “immigrati”, gli “emigranti” o, in generale, i migranti. Questi, come tutti coloro che aspirano a rappresentare i loro interessi (i partiti, le associazioni di cittadini etc.), una volta compreso il legame intrinseco tra l’obiettivo della Federazione europea e l’estensione del diritto di cittadinanza, potrebbero rivelarsi energie preziose per le nuove iniziative popolari. Un’indagine in questa direzione potrebbe anche riscoprire altre risorse militanti.
7) Un brano dello splendido libro Noi senza patria di Ursula Hirschmann (sposa di Spinelli), sembra suggerire proprio questo: “Noi déracinés dell’Europa, che abbiamo cambiato più volte di frontiere che di scarpe, come diceva Brecht – questo re dei déracinés -, anche noi non abbiamo altro da perdere che le nostre catene in un’Europa unita e perciò siamo federalisti” .

Note: Cittadinanza federale europea - 3° contributo:
- Una cittadinanza a più livelli basata sulla residenza: il carattere "inclusivo" della cittadinanza europea
http://italy.peacelink.org/europace/articles/art_9363.html

Cittadinanza federale europea - 2° contributo:
- Sul popolo federale europeo
http://italy.peacelink.org/europace/articles/art_9339.html

Cittadinanza federale europea - 1° contributo:
- Cittadinanza nazionale e declino della democrazia
http://italy.peacelink.org/europace/articles/art_9338.html

- Per una Cittadinanza europea di residenza
http://italy.peacelink.org/europace/articles/art_9540.html

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