Multiculturalismo e cittadinanza
L’accordo politico e la creazione del concetto di cittadinanza
Il concetto di cittadinanza si può definire come il legame che esiste tra un individuo e la comunità costituita in senso politico, cioè dotata di istituzioni politiche, della quale egli fa parte. In questo senso, la cittadinanza non è sinonimo di identità poiché esistono diversi tipi di comunità e non tutte le comunità (religiose, economiche, culturali, linguistiche…) creano una cittadinanza. Il cittadino fa parte di una comunità politica.
In questo senso, la cittadinanza è un espressione dell’accordo originario concluso tra gli individui o/e le comunità che decidono di costituirsi politicamente. Non è sufficiente tuttavia l’esistenza di un accordo per fondare una cittadinanza. Questo accordo deve considerare gli individui della comunità politica in quanto tali e non esclusivamente come parte dei gruppi che si costituiscono. Non è per questo necessario una partecipazione individuale alla formazione del sistema politico : i sudditi del re di Francia si potevano considerare cittadini in quanto potevano essere considerati individualmente dai rappresentanti della comunità politica della quale facevano parte. Si potrebbe obiettare commentando che in questo caso non si tratta di un accordo vero e che i sudditi non sono cittadini perché vivono una situazione di oppressione e di dominazione. Eppure, nessuno obietterà al fatto di chiamare cittadini dell’Unione sovietica i russi al tempo dello stalinismo, o cittadini del Reich i tedeschi durante la tirannia hitleriana. Bisognerebbe allora sostenere che il cittadino nasce con i tempi moderni ; eppure esistevano cittadini romani o ateniesi.
Infatti ancora oggi, i processi migratori che si sono sviluppati nelle società europee influenzano gli spostamenti dei popoli all’interno del nostro continente, differenziandolo da altre realtà socio-politiche. Ci riferiamo, per esempio, al modello nord-americano, rispetto al quale quello europeo gode di maggiore omogeneità culturale e nel quale le motivazioni alla base dell’immigrazione sono state di tipo psicologico e sociale: il bisogno o addirittura la mera sopravvivenza. Gli individui che hanno compiuto questa scelta sofferta hanno un’identità politica diversa, legata all’organizzazione familiare e geografica dei gruppi in cui si muovono.
"Le popolazioni di immigrati in Europa - scrive la Facchi a riguardo - non hanno i caratteri definiti dei gruppi etnici nord-americani, né una organizzazione assimilabile. Sono prevalentemente composte da individui uniti in famiglie, reti di parentele o alleanze provvisorie costituite in base alla provenienza geografica. La loro organizzazione collettiva, oltre ad essere scarsa, è generalmente limitata a fini economici, lavorativi, culturali, religiosi, senza finalità politiche rivendicate pubblicamente. La maggior parte di essi non mostra, almeno pubblicamente, un interesse e un impegno finalizzato a mantenere la propria identità collettiva e a richiedere un’autonomia di gruppo".
E’ sulla base di queste constatazioni che il concetto di cittadinanza si può separare dall’appartenenza culturale dei cittadini e che il progetto politico perseguito dalle istituzioni deve mirare a difenderne l’identità, non fondandola sulla cittadinanza. Possiamo concludere che dal punto di vista concettuale, il termine cittadino non presuppone una forma di regime o di evoluzione storica predefinita.
In effetti, storicamente, l’accordo politico è spesso una pura finzione . Non è necessario un accordo volontario per creare una comunità politica. La teoria dell’accordo serve semplicemente come modello di riferimento per poter capire il senso della cittadinanza. Tuttavia, anche se la teoria dell’accordo è finzione dal punto di vista storico, la comunità politica e la cittadinanza non nascono dal nulla. Si costituiscono con lo sviluppo di diverse necessità, di processi storici complessi, fondati sull’interdipendenza e che portano alla spesso lenta creazione di comunità politiche. La costituzione della comunità politica e della sua forma moderna che conosciamo meglio, ovvero lo Stato, sono il risultato di una necessità che spinge gli uomini a collaborare, volontariamente o no, per vivere, possibilmente in pace.
Teoria della giustizia e cittadinanza
La filosofia pubblica si propone di individuare i criteri per organizzare questa convivenza pacifica. Questi criteri possono essere d’ordine religioso o nascere da un potere carismatico, tuttavia, nelle teorie moderne della filosofia pubblica, il criterio evidenziato è d’ordine razionale o ragionevole. La parola “accordo” aquisisce allora un senso perchè i criteri sono effettivamente considerati come scelti da individui liberi e uguali . Il problema principale da affrontare è allora d’ordine distributivo : come individuare un principio giusto per distribuire il bene collettivo.
Il filosofo inglese Bentham sostiene a proposito della teoria utilitarista : il criterio fondamentale è quello della massimizzazione di una qualche grandezza sociale (quale sia la “grandezza sociale” è determinato dalla società stessa. Può essere per esempio la felicità). La teoria contrattualista di Rawls, anche se diversa, procede dalla stessa ricerca di un principio unitario. « L’idea guida è (…) che i principi di giustizia per la struttura fondamentale della società sono oggetto dell’accordo originario. Questi sono i principi che persone libere e razionali, preoccupate di perseguire i propri interessi, accetterebbero in una posizione iniziale di uguaglianza. » L’accordo originario deve dunque corrispondere all’accordo che sarebbe stato concluso tra persone ignoranti della propria condizione e che decidono di associarsi. Queste teorie presuppongono tuttavia un certo tipo di condivisione da parte degli individui che si assocciano. Una condivisione di carattere extra teorico per i sostenitori della teoria della giustizia. A proposito della teoria di Rawls, Veca nota : « egli assume che il lettore condivida molte altre cose come la cultura pubblica di una società a tradizione democratica, alcuni punti fissi valutativi incorporati in un vocabolario di moralità e politica ereditato ed esemplificato nella Sittlichkeit democratica.”
Problema di identità e problemi di giustizia
Possiamo dunque costatare l’esistenza di una scala di valori originaria, condivisa da tutti gli individui che decidono di associarsi. Questa scala di valori originaria è intrinseca al concetto di organizzazione democratica della società. La teoria della giustizia permette la risoluzione di conflitti distributivi all’interno della sfera limitata della comunità che condivide il presupposto extra-teorico della Sittlichkeit democratica. Il multiculturalismo sembra essere un limite alle teorie della giustizia in quanto è definito dalla convivenza di culture diverse al punto di non condividere i principi necessari all’elaborazione di un criterio unico di giustizia. Il suo sviluppo nelle società democratiche modifica il problema classico affrontato dalle teorie della giustizia sviluppate dalla filosofia pubblica. Le teorie della giustizia, che esse siano contrattualiste o utilitariste o altro, si propongono di risolvere la questione della distribuzione dei beni, intesi in modo ampio. Il multiculturalismo, ossia la coesistenza di culture diverse e variate in una stessa comunità politica e sociale, si impone come limite fattuale a queste teorie in quanto crea una questione preliminare: quella dell’identità.
Il multiculturalismo opera una radicale riscrittura dei concetti di individuo, di emancipazione, di uguaglianza, di progresso e di futuro e può essere considerato quindi un movimento post-moderno che attinge a concetti modernisti.
Lungi dallo scomparire, il concetto di eticità diventa una dimensione importante della vita dei giorni nostri; il rapporto/confronto tra tradizioni e modi di vita differenti pone nuovi problemi relazionali, timori e speranze, chiusure e aperture nei confronti dell’altro, sollecitando la ricerca di modalità di gestione della convivenza inter-etnica, che trova nel multiculturalismo la risposta più recente ma anche più controversa.
Ai termini multietnicità e multiculturalismo si fa ricorso di volta in volta per designare una situazione di fatto, un progetto politico, una speranza, uno slogan. Vale dunque la pena di cominciare a distinguere i due concetti: la multietnictà – dal latino multus e dal greco εθνίκος popolo- è definita come una situazione di compresenza in uno spazio fisico o relazionale di diversi gruppi portatori di differenti patrimoni culturali. Per riprendere la classica definizione weberiana, essi sono fondati sulla credenza soggettiva della condivisione di un’unica comunanza d’origine che viene quindi a costituire l’elemento qualificante dell’etnicità.
Ciò premesso la multietnicità implica necessariamente la multiculturalità in quanto diversi gruppi etnici possiedono, per funzionare, una propria cultura con elementi diversi da quelli delle altre. Non si può però sostenere il contrario, cioè che la multiculturalità implichi sempre la multietnicità in quanto le diversità culturali sono ascrivibili a diverse variabili (religioni, ideologie) non solo alla variabile etnica. La dimensione culturale ha acquisito all’interno del problema del multiculturalismo una sua autonomia, in effetti il centro della questione è di salvaguardare e di valorizzare la distinta identità culturale delle minoranze, infatti tutte le identità sociali puntano al riconoscimento e alla richiesta di protezione e valorizzazione delle culture che soggiacciono all’identità sociali e individuali.
Il multiculturalismo invece può intendersi come strategia politica di gestione delle relazioni interetniche. Alla società multiculturale però si fa riferimento non solo per precisare la compresenza di culture diverse in una società ma anche un particolare modo di relazionarsi tra di esse; la società è definibile multiculturale nella misura in cui al suo interno, tutte le differenze di costume, cultura, etnia sono ugualmente rispettate. Questo implica l’utilizzo di un diverso paradigma socio- politico incentrato sui conflitti culturali e sulle iniziative per il riconoscimento e per il diritto alla differenza.
Nel campo delle opzioni politiche, il concetto di multiculturalismo pone una soluzione al problema della gestione della convivenza decisamente orientata alla valorizzazione delle diversità.
Il diffondersi delle proposte ascrivibili al multiculturalismo, come il cosiddetto “revival etnico”, costituisce appunto il segno evidente di una crescente rilevanza delle differenza e di una crescente attenzione nei suoi riguardi. Ogni società deve affrontare la questione delle differenze e la loro gestione, storicamente le democrazie liberali hanno visto il prevalere di una ideologia egualitaria con conseguente marginalizzazione delle problematiche connesse alle differenze .
Seguendo questa interpretazione, i conflitti principali da risolvere nelle società democratiche multiculturali non sarebbero più di tipo distributtivo ma identitario. Questi conflitti sarebbero irriducibili e le teorie della giustizia non potrebbero garantire la loro risoluzione . Considerando la questione sotto questo profilo (la differenza tra conflitti distributivi e conflitti identitari è l’irriducibilità dei conflitti identitari), la soluzione ideale al problema della convivenza multiculturale non esiste. Le uniche due vie per risolvere il problema sono quella comunitaria, fondata sull’idea che non può esistere un criterio condiviso di giustizia al di fuori di una comunità chiusa, ed è quindi necessario per difendere la libertà, difendere la libertà e l’autonomia delle diverse comunità umane, e quella unitaria, che presuppone, malgrado l’esistenza di forme culturali diverse, un processo di unificazione che può essere compiuto solo se una delle culture domina le altre. Queste due prospettive non ci sembrano accettabili. La prima perchè anacronista – la società multiculturale è un fatto – e perchè sembra incompatibile con l’etica democratica delle culture europee, fondata sull’universalità di certi valori umanisti, la seconda perchè rappresenta una nuova forma di dominazione e presuppone un modo di formazione necessariamente violento.
Il liberalismo politico come soluzione al problema identitario
Lo sviluppo del conflitto di identità ha portato gli stessi sostenitori della teoria della giustizia che rifiutano il paradigma comunitario o della dominazione, a sviluppare una nuova forma di contrattualismo capace di risolvere il conflitto identitario, come la teoria della giustizia come equità sembrava avere risolto il problema della giustizia distributiva.
La soluzione avanzata da Rawls è centrata sull’idea del consenso per intersezioni. Secondo questa teoria, l’accordo necessario non porta sull’insieme dei valori che ci identificano e che possono essere confliggenti tra di loro, ma solo su un sotto-insieme che comprende i valori politici fondamentali. Il liberalismo politico si fonda sulla condivisione di elementi costituzionali che trova origine nella riconoscenza della Ragionevolezza. La Ragionevolezza si distingue dal razionale in quanto non presuppone un sistema di valori sulla base del quale effettuare scelte razionali e si definisce “come la motivazione all’impiego di ragioni pubbliche, rivolte ad altri, per giustificare principi, scelte e condotte.” “In quanto siamo ragionevoli siamo disposti a costruire l’impianto di base del mondo sociale pubblico” dice Rawls, e questo a prescindere dalle differenze che possono esistere e continuare ad esistere tra di noi.
Salvatore Veca precisa che in realtà quest’affermazione dovrebbe essere intesa in un senso dinamico. Il fine morale (la costruzione di base del mondo social publico) non è sufficiente per rendere possibile il sistema fondato sulla Ragionevolezza. E’ necessario pensare l’accordo non come un’atto ma come un processo: “E ci ritroveremmo a maneggiare un modello di insorgenza del tipo di quello di Hume (…). Sarà allora perspicuo il fatto che la comune lealtà civile in una società democratica presuppone un processo, qualcosa come l’evoluzione, l’apprendimento e l’insorgenza di una stabilità di mutui riconoscimenti attesi, una volta data la quale è possibile ridurre l’incertezza quanto all’identità collettiva di cittadinanza e la ragionevolezza diventa il bene pubblico di una società pluralistica ben ordinata” .
Rimane vero tuttavia, anche con le precisioni di Veca, che il paradigma individuato da Rawls e ripreso dalle teorie del patriottismo costituzionale costituisce oggi una base teorica grazie alla quale è possibile individuare le componenti essenziale della cittadinanza moderna, intesa come condivisione di principi politici fondati sulla ragionevolezza. Il multiculturalismo come fatto storico implica lo sviluppo di una nuova forma di cittadinanza che sia fondata sull’unica teoria in grado di risolvere il problema del conflitto identitario in modo da limitare il comunitarismo e/o l’imperialismo culturale.
Identità, nazione e cittadinanza.
Se la ragionevolezza, e dunque l’accordo sociale originario sono frutto di un processo dinamico, bisogna accettare il fatto che questo processo sia lui stesso creatore di una forma di comunità. E’ dunque un fenomeno che si autoalimenta : l’accordo è necessario perchè esiste un conflitto identitario in una comunità (territoriale…) e nello stesso tempo l’accordo partecipa alla costituzione della comunità creando per esempio metodi comuni per risolvere certi conflitti.
La costituzione di questa nuova comunità è di origine ragionevole, non identitaria. Queste affermazioni non sono d’ordine esclusavimente teorico e si riscontrano nella storia della formazione di molti Stati moderni, che essi siano federali, come gli Stati Uniti o la Svizzera, o unitari, come la Francia o la Gran Bretagna. Se il caso più evidente è quello Svizzero anche la formazione di identità che sembrano oggi di carattere esclusivamente nazionale, culturale, linguistico… sono spesso di fatto il risultato di un processo di accordo politico o pubblico. La cittadinanza americana è spesso intesa come sinonimo di Libertà e il patriottismo americano è chiaramente ispirato dalla necessaria difesa della libertà. Anche il caso francese risponde a questa stessa logica: l’identità francese ha avuto molte radici, da quella cristiana (la Francia come figlia maggiore della chiesa) a quella rivoluzionaria (la Francia si identifica al progresso e alla sua massima: “liberté, égalité, fraternité”), tuttavia, il nazionalismo classico definisce la comunità francese come un “vouloir vivre ensemble” e dunque una volontà affermata di vivere collettivamente. L’accordo politico che costituisce la comunità politica è spesso all’origine di un’identità. L’origine del processo unitario è spesso legato all’individuazione di un obiettivo collettivo che costituisce una prima identità, che si rafforzerà di fatto con il tempo.
Infatti anche all’interno della stessa tradizione liberale, due distinte prospettive.
1) La prospettiva che sostiene la centralità delle comunità e ritiene che lo stato debba tutelare l’individuo nei suoi caratteri culturali, ma anche apprezzare e proteggere le comunità minoritarie;
2) La prospettiva che non attribuisce un valore alla comunità in sé, ma considera la comunità come uno dei luoghi in cui l’individuo può trovare spunti e motivi per la propria realizzazione. Se tale posizione prevale i diritti individuali non possono soccombere al volere della comunità e sono prioritari rispetto ad ogni altra forma di dipendenza.
A questo proposito è particolarmente esplicativo il confronto tra il modello sociale britannico e il modello francese, in quanto ci consente di comprendere in che misura il rapporto tra le culture influenza la creazione delle istituzioni politiche e la formazione del diritto positivo.
Nel modello britannico il governo rispetta le prerogative e le tradizioni culturali delle comunità etniche e le istituzioni favoriscono la creazione di comunità, auspicando l’armonia tra le razze e la parità nel trattamento delle minoranze. In questo modo la società nazionale è concepita come una “unità plurale composta da unità differenti che entrano in rapporto con lo Stato” e il governo sostiene l’istituzionalizzazione dei gruppi etnici e religiosi attraverso l’attribuzione di risorse politiche ed economiche.
Su un piano diametralmente opposto si muove il modello istituzionale francese, privilegiando le libertà individuali e non riconoscendo un ruolo politico all’appartenenza etnica. Il diritto di cittadinanza e di partecipazione politica è una prerogativa individuale, attiene al soggetto indipendentemente dalle sue origini e dal radicamento a tradizioni culturali o religiose. Ovviamente tale modello propugna una differente interpretazione dell’idea di eguaglianza. Il modello britannico pone l’accento sull’eguaglianza tra le culture, il modello francese sull’eguaglianza dei soggetti.
Quello che contraddistingue i diversi esempi non è la forma del processo (la creazione di un identità) ma quale parte di identità è legata al patto politico. Questo legame può essere assoluto, quasi esclusivo come nella società nazista o comunista, o limitato, come nel caso svizzero o nel paradigma federalista. Il nazionalismo è una forma di completa assimilazione trà identità e comunità politica e questo processo trattiene il mito secondo il quale la comunità politica è fondata su elementi identitari.
La cittadinanza federale come espressione della comunità multiculturale
E’ evidente osservando la storia che molti degli esempi citati di formazione della cittadinanza (Francia, Stati Uniti) hanno in seguito anche eventualmente dato luogo a delle forme di nazionalismo identitario violenti ed irrazionali. Questo forte senso di identità nazionale è la conseguenza del processo identificato, che si auto-alimenta sino a creare una certa unitarietà. In questo senso, l’identità francese si può infine solo dedurre dalla storia e dal territorio, visto il gran numero di fattori costitutivi. La moltiplicità e la forza di questi fattori costitutivi hanno creato un processo identitario durevole che non sembra più necessitare un’origine qualsiasi e che si autogiustifica. Tuttavia, questo processo non segue le stesse regole a seconda dei presupposti originari che la comunità rispetta.
In una società di tipo federale, uno dei principi originari è la protezione dell’identità delle componenti della federazione . Questo principio originario non nega la necessità di una benefica interazione tra le diverse entità della federazione. L’interazione tra le diverse componenti crea necessariamente una certa unità, tuttavia il processo unitario non è imposto e forzato ma accettato perchè controllato dagli individui e dalle stesse entità federate.
Il principio costitutivo della comunità politica federale è una forma di controllo del processo unitario. La comunità federale si preserva da forme violenti di processi unitari che nascerebbero da conflitti determinati a risolversi con la dominazione di una comunità sulle altre. Il federalismo si sviluppa perché esiste la necessità di un certo tipo di unificazione (politica, economica…) che trova il proprio equilibrio, e si sviluppa dunque pacificamente, nel rispetto delle differenze.
In questa ottica è possibile anche riconoscere a delle comunità tradizionalmente non presenti sul territorio federale e dunque non federate, il diritto ad un certo tipo di partecipazione agli affari federali. Il fatto che la comunità nazionale non riconosca necessariamente completamente i diritti politici e dunque non integri l’extracomunitario nella propria comunità politica, non impedisce di farlo al livello federale. Infatti, i presupposti validi per l’integrazione comunitaria federale non sono gli stessi di quelli di una comunità nazionale. La cittadinanza federale è in quest’ottica distinta da quella delle entità federate. Lo sviluppo di comunità non costituite politicamente sul territorio federale deve portare la Federazione a riconoscere prima gli individui in quanto cittadini, ma eventualmente anche riconoscere le stesse comunità . La rappresentazione di forme diverse di organizzazione comunitarie, che non siano strettamente statali, è possibile in un sistema federale, mentre risulta spesso di difficile realizzazione al livello nazionale perché si urta necessariamente alla cultura dominante.
Conclusione
La questione della cittadinanza in una società multiculturale rende necessario un patto capace di ridurre i conflitti identitari e risolverli in modo pacifico. Questo patto crea una nuova comunità politica, la comunità federale, che non è fondata sugli stessi presupposti che fondano generalmente le identità nazionali. Esiste dunque una forte differenziazione tra l'identità e la cittadinanza. La cittadinanza federale è l’unica che può integrare con efficacia membri di comunità e culture che non sono all’origine del patto politico, e dare a queste comunità una rappresentanza politica efficace perché fondata sul presupposto della necessaria preservazione delle differenze. Il fatto che questo principio sia affermato da un patto tra le entità preesistenti alla formazione della Federazione e abbia come primo obiettivo quello di proteggere queste stesse comunità non rende impossibile l’applicazione di questo principio ad altre comunità, che non siano nazionali o costituite in Stato. La differenziazione tra identità e cittadinanza è l’unica via per risolvere il conflitto identitario presente nelle società multiculturali e la cittadinanza federale sembra essere oggi la forma più adatta per realizzare questa differenziazione.
- La Direttiva 2003/109/CE del Consiglio relativa allo status dei cittadini di paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo
http://italy.peacelink.org/europace/articles/art_9364.html
Cittadinanza federale europea - 4° contributo:
- La cittadinanza europea e la cittadinanza cosmopolitica
http://italy.peacelink.org/europace/articles/art_9365.html
Cittadinanza federale europea - 3° contributo:
- Una cittadinanza a più livelli basata sulla residenza: il carattere "inclusivo" della cittadinanza europea
http://italy.peacelink.org/europace/articles/art_9363.html
Cittadinanza federale europea - 2° contributo:
- Sul popolo federale europeo
http://italy.peacelink.org/europace/articles/art_9339.html
Cittadinanza federale europea - 1° contributo:
- Cittadinanza nazionale e declino della democrazia
http://italy.peacelink.org/europace/articles/art_9338.html
- Per una Cittadinanza europea di residenza
http://italy.peacelink.org/europace/articles/art_9540.html
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