Un progetto Kantiano: La pace attraverso il diritto di Hans Kelsen
Kelsen e la dottrina della pace kantiana
La prima frase dell’opera di Kelsen Peace through law è un’affermazione che possiamo definire kantiana : « Peace is a state characterized by the absence of force. » La pace kantiana, ossia l’idea che la pace possa essere garantita solo dall’impossibilità concreta dello stato di guerra, si fonda sulla stessa definizione concettuale della pace intesa come assenza di forza. La pace non procede da un equilibrio delle forze capace di garantire lo status quo (la tregua) ma dall’assenza di forze. Ora, Kant come Kelsen riconoscono che la pace (sociale) è garantita in una comunità umana non dall’assenza di forza ma dal monopolio della forza da parte dello Stato. Anzi, Kelsen afferma il monopolio della forza, e dunque l’effettività di un sistema giuridico sanzionatorio, come principio di garanzia dell’ordine sociale.
Questo slittamento tra una concezione teorica della pace e la sua applicazione pratica, che necessita in realtà non la distruzione delle forze ma il loro concentramento e il monopolio del loro uso, non dev’essere inteso come una negazione del concetto teorico, che rimane comunque vero, ma dev’essere analizzato in chiave strategica. Avremo modo di precisare questa questione. E’ necessario tuttavia notare che questo doppio approccio è presente anche nell’opera di Kant, Per la pace perpetua, e si può evidenziare dalla struttura stessa del saggio, diviso in due parti che corrispondono a due fase storiche del processo di pacificazione. La prima parte contiene le regole provvisorie che gli Stati devono rispettare per garantire progressivamente la realizzazione di uno stato pacifico reale, descritto nella seconda parte (Gli articoli definitivi).
Se accettiamo che la marcia verso la pace perpetua, intesa come assenza della forza, può essere realizzata solo attraverso il proseguimento di uno stato di pace garantito dal monopolio della forza, e dunque la sussistenza della forza, allora possiamo collocare il saggio di Kelsen nella tradizione kantiana.
In effetti, il saggio di Kelsen non nega l’idea concettuale della pace perpetua, ma si pone come obiettivo di individuare, ad un momento preciso della storia, quale possa essere la strada più indicata per seguire il disegno di Kant. La risposta di Kelsen è contenuta nel titolo : il diritto.
Il diritto come strumento di pacificazione dei conflitti
La questione della natura del diritto è al centro dell’opera di Kelsen, e costituisce l’unico tema di riflessione del suo saggio più famoso, La teoria pura del diritto . Il suo lavoro sul positivismo giuridico e l’elaborazione della teoria pura, che avrà un’influenza fondamentale nell’evoluzione della scienza giuridica, non devono però oscurare l’obiettivo che Kelsen si proponeva apertamente di perseguire : la pacificazione. « War is a mass murder, the greatest disgrace of our culture (…) To secure world peace is our foremost political task, a task much more important than the decision between democracy and autocracy, or capitalism and socialism ; for there is no social progress possible as long as no international organization is established by which war between the nations of this earth is effectively prevented. »
Come assicurare un progresso verso la pacificazione ? A questa risposta Kelsen dedica la sua opera piu « politica », indicando un cammino alla comunità internazionale. Un cammino che deve essere realista, e dunque accettabile per gli Stati. Kelsen rifiuta dunque l’idea di creazione di una federazione mondiale, progetto troppo ambizioso nell’immediato per diversi motivi legati essenzialmente all’organizzazione di un sistema democratico mondiale. Avremo modo di commentare quest’ultimo aspetto. L’idea di un’organizzazione politica di tipo statale al livello mondiale sembra impossibile a Kelsen, spettatore di un mondo che si divide in due appena finita la guerra e che vede svilupparsi i conflitti regionali coloniali. Tuttavia se un’organizzazione politica internazionale sembra difficile da creare, Kelsen intravede la possibilità di sottomere gli Stati non ad un’altra organizzazione statalista ma ad un sistema giuridico. La necessità di limitare la sovranità è individuata chiaramente da Kelsen. Questa limitazione può nascere solo dalla creazione di un ordine giuridico internazionale che sottometta la decisione degli Stati a delle regole accettate a priori. Si ripropone dunque la teoria del contratto sociale, che Kelsen boccia come ipotesi storica di formazione degli Stati nazionali, ma che promuove come metodo per la nascita di un ordine internazionale fondato sul diritto .
Il riconoscimento di un diritto internazionale permette in effetti la trasformazione di conflitti politici, sociali o economici internazionali in conflitti legali, regolati dal diritto. In questo senso, anche senza Stato internazionale, il diritto è strumento di pacificazione perché offre un mezzo di risoluzione che non sia fondato esclusivamente sulla forza. In realtà questa virtù pacificatoria del diritto attraverso l’organizzazione della forza è al centro della sua natura. Il diritto esiste per regolare i conflitti e non esclude l’esistenza della forza : « Force and law do not exclude each other. Law is an organization of force. » Resta ad assicurare l’affermazione di un ordine internazionale senza concentrazione della forza dei diversi Stati al livello internazionale e dunque senza monopolio del suo uso da parte di un’istituzione sovranazionale.
La corte di giustizia internazionale e la formazione del diritto internazionale
L’origine della guerra secondo Kelsen non è da ricercare esclusivamente e prioritariamente nel campo economico. Riprendendo le analisi di Robbins , sostiene l’idea secondo la quale « the unlimited sovereignty is the decisive cause of war ». Bisogna dunque limitare la sovranità degli Stati. Per questo, Kelsen suggerisce un sistema di Corte internazionale per risolvere ogni conflitto internazionale tra Stati. Questa corte dovrebbe avere una giurisdizione obbligatoria.
La Corte internazionale può funzionare anche senza Stato internazionale. Il principio dell’uguaglianza di tutti gli Stati dev’essere affermato. Quest’uguaglianza è un’uguaglianza in senso giuridico, ovviamente non reale. Kelsen non ignora il fatto che gli Stati sono diversi in potenza, forza ed influenza. Egli riafferma soltanto il fatto che in senso giuridico gli Stati sono uguali se vengono trattati ugualmente da un autorità indipendente, come può essere una Corte di giustizia.
I tribunali internazionali sono di fatto gli unici mezzi reali per limitare la sovranità di uno Stato. In effetti gli Stati che decidono la creazione di un tribunale, accettano la sua giurisdizione e devono sottomettersi alle decisioni dei giudici anche se sono sfavorevoli. Ovviamente, questo non garantisce che gli Stati non abbiano ricorso alla forza per garantire i loro interessi. Tuttavia, in tale caso l’uso della forza sarà illegale e giudicato tale dalla Corte.
Infine, Kelsen rifiuta l’idea secondo la quale una Corte non può esistere senza un sistema di creazione della norma giuridica. Infatti, la creazione stessa della Corte assicura lo sviluppo di un diritto, essenzialmente di origine giurisprudenziale, ma che può integrare elementi di diritto internazionale classico tale i trattati o le convenzioni internazionali.
La questione dell’effettività del diritto: la bellum justum e la Corte penale internazionale.
La questione dell’effettività del diritto non è sottovalutata da Kelsen. Anzi, la sanzione costituisce uno degli elementi costitutivi di un ordine giuridico. Kelsen ha rinunciata all’ipotesi di un monopolio della forza internazionale capace di formare un sistema giuridico di tipo statalista. E’ tuttavia necessario organizzare il sistema di sanzioni delle violazione del diritto internazionale. La guerra non è esclusa dal sistema kelseniano, ma può essere accettata (dunque legale o giusta) solo come una reazione contro un’aggressione . La definizione di un bellum justum permette di affermare il concetto dell’illegalità della guerra. In questo senso è possibile qualificare un’aggressione, un atto bellico, come un delitto internazionale, che può, e deve essere punito.
Il fatto che un atto internazionale possa essere qualificato di delitto permette di individuare un responsabile della violazione dell’ordine internazionale. La responsabilità degli atti internazionali è paragonabile al concetto classico di responsabilità penale. Può esistere una responsabilità collettiva ma anche una responsabilità individuale.
La responsabilità collettiva è, nell’ordine internazionale, prevalentemente ma non esclusivamente la responsabilità degli Stati. Per assicurare l’esecuzione di sanzioni è necessario un trattato per creare una « Lega per il mantenimento della pace », che possa assicurare l’effettività delle sanzioni. Kelsen non ignora le difficoltà legate a questo progetto, ma rimane convinto che l’organizzazione di una (il)legalità internazionale sia l’unico modo per avviare questo processo. L’esecuzione delle sanzioni non deve pertanto essere il fatto di un’organizzazione internazionale; è possibile, afferma Kelsen, lasciare agli Stati l’uso eventuale della forza necessaria all’esecuzione di una sanzione .
Kelsen non si limita ad affermare la classica responsabilità collettiva, accettata dalla dottrina internazionalista. Afferma la possibilità di individuare una responsabilità individuali per atti internazionali. Questa responsabilità è prevista in vari sistemi internazionali regolati da trattati, e potrebbe essere riconosciuta globalmente per ogni tipo di atto internazionale. Per creare un tale sistema è necessario un trattato che riconosca questa responsabilità, essenzialmente per crimini di guerra e istituisca una Corte penale internazionale.
La Corte penale internazionale, come la Corte di giustizia internazionale rappresentano le garanzie dell’esistenza dell’ordine giuridico internazionale, che secondo Kelsen deve poter regolare conflitti tra i soggetti internazionali classici (gli Stati e le organizzazioni internazionali) ma deve anche poter considerare l’individuo come responsabile, non solo in virtù di legislazioni nazionali, ma sulla base di disposizioni legali internazionali. Anche in questo caso la questione dell’esecuzione delle sentenze è risolto senza la creazione di un monopolio della forza: “The orders and sentences of the international court should be executed by the State designed in the order or the sentence of the court. If a State fails to fulfill its obligation to exectue an order or sentence of the international court, the collective sanctions provided by the Covenant constitutions the League as a judicial community should come into operation.”
E’ evidente alla lettura di questa conclusione che il problema della pace non è risolto in maniera definitiva. La questione della formazione di un’autorità politica, e dunque la necessaria concentrazione della forza, è l’unica via per risolvere il problema del rispetto della legalità internazionale. Kelsen considera tuttavia necessario disegnare un percorso che gli Stati del 1945 sarebbero disposti a seguire. Questo disegno non può essere perfetto perché sono assenti i presupposti necessari per costruire un modello di pace perpetua, ossia l’eliminazione della forza. Non è neppure immaginabile, a suo tempo, un sistema di tipo statalista a livello mondiale, organizzando una concentrazione della forza, sul modello degli Stati nazionali, che potrebbe assicurare il rispetto della legalità e dunque la pace. Tuttavia, malgrado questi limiti dettati dai fatti politici, Kelsen rimane convinto che l’affermazione del diritto sia necessario alla pacificazione, e cerca dunque un modo per affermare progressivamente ma ineluttabilmente la prevalenza del diritto.
Conclusione sulla questione del diritto alla pace e prospettive europee
Il saggio di Kelsen, oltre ad essere un contributo importante per risolvere gli eventuali problemi giuridici legati all’elaborazione di un ordine giuridico internazionale, è degno di interesse perché illustra in maniera esplicita e chiara il ruolo del diritto come strumento per la pacificazione dei conflitti. La trasformazione dei vari conflitti politici, economici o sociali in questioni legali, e la successiva effettività del diritto, costituiscono un mezzo efficace per garantire la risoluzione delle controversie, interne come internazionali, senza ricorso alla guerra. Il diritto si impone come sinonimo di risoluzione pacifica dei conflitti.
Tuttavia, i limiti alla pacificazione sono costituiti dagli stessi elementi fondanti della teoria del diritto internazionale kelseniana. Gli Stati continuano ad essere i detentori della forza, il limite della loro sovranità è in fine assicurata non da un autorità politica superiore ma dagli obblighi legali o contrattuali con gli altri Stati della comunità, anch’essi detentori degli strumenti necessari a garantire l’effettività del diritto. La forza, anche se non concentrata diventa controllata e il suo uso regolato. Qui risiede il carattere realista del progetto di Kelsen.
E’ necessario sottolineare le conseguenze di questo realismo. L’affermazione di un ordine giuridico internazionale, al contrario della creazione di un ordine giuridico statale, non permette l’eliminazione totale dei conflitti armati. La guerra rimane un fenomeno, un fatto giuridico, del ordine internazionale. In quanto fatto, può essere legale o illegale. Questa caratteristica rende dunque possibile l’illegalità della guerra o meglio di quasi tutte le guerre. Tuttavia, come si evidenzia dalla controversia sull’interpretazione delle risoluzioni dell’ONU da parte del Consilio di sicurezza, la questione dell’illegalità può essere risolta definitivamente solo con l’istituzione di una Corte giuridica internazionale obbligatoria ed indipendente (che oggi non esiste).
Bisogna comunque accettare che la guerra non è del tutto impossibile – anzi per poter limitarla è necessario riconoscere l’esistenza giuridica di un diritto alla guerra: non può dunque esistere un diritto alla pace. In effetti, è impossibile in un ordine giuridico riconoscere due diritti assoluti e incompatibili. Il diritto alla pace può esistere solo se esiste un illegalità totale della guerra. La finzione giuridica dell’illegalità totale della guerra (come proclamata dal Patto Briand-Kellogg) favorisce in realtà gli Stati che decidono di non rispettare tale patto perché non può esistere nessuna sanzione se non esiste un monopolio della forza e la guerra rimane di fatto possibile. O meglio, un tale sistema suppone di risolvere il problema dell’unificazione mondiale della forza, un problema che riconosciamo, con Kelsen, impossibile da risolvere nell’immediato.
Se il diritto alla pace rimane un obiettivo politico ideale, bisogna accettare che quest’ultimo non può essere oggi obbiettivamente tutelato. L’unico modo per tutelare un tale diritto sarebbe l’eliminazione completa della forza nelle relazioni internazionali, e dunque l’unificazione politica del mondo. Questa unificazione è un obiettivo politico perché rimane l’unico modo per realizzare la pace reale e assicurare dunque un diritto alla pace ad ogni individuo del pianeta. Ma il processo di pacificazione non è ancora arrivato in questa fase ultima (non sono rispettate le tre regole definitive del progetto kantiano: tutti gli Stati devono essere repubbliche, sono legati tra di loro da un patto federativo che garantisce la risoluzione dei conflitti, è garantito il diritto cosmopolita all’ospitalità). Bisogna dunque creare i presupposti necessari alla maturazione dell’ordine internazionale. Il primo passo dice Kelsen, consiste nel limitare le guerre, attraverso il diritto, e questo passo consiste anche nel riconoscere, paradossalmente, un diritto alla guerra.
Infine, vorrei concludere con qualche osservazioni relative alla costruzione europea. L’analisi del ruolo del diritto e della Corte di giustizia europea nel processo di integrazione europea è un esempio del processo kelseniano di pacificazione tramite il diritto. Senza la costituzione di una corte con una giurisdizione obbligatoria e internazionale, il diritto europeo non si sarebbe affermato come gerarchicamente superiore, l’autonomia dell’ordine giuridico comunitario non sarebbe stata affermata. Per chi conosce la virtù pacificatoria del diritto, questi processi sono fondamentali nel mantenimento di una pace europea e nella costruzione di una comunità politica che possa creare, a termine, un monopolio della forza sovranazionale. E’ però necessario in questo processo unificatorio su scala europea evidenziare una prospettiva mondiale che sola può assicurare il perseguimento dell’obiettivo della pace. Questa prospettiva non è oggi raggiungibile tramite un processo di integrazione politica classico per gli stessi motivi indicati da Kelsen, e definiti nel progetto di pace perpetua di Kant. E’ dunque necessario riaffermare oggi, al livello mondiale, la necessità di costituire i presupposti kelseniani che sembrano gli unici a poter avviare un processo di unificazione su scala mondiale. Se la costituzione del Tribunale penale internazionale segna sicuramente un passo verso il completamento del progetto di pace tramite il diritto, le controversie nate con la seconda guerra dell’Irak e la disputa politico-giuridica sull’interpretazione delle risoluzione del Consiglio di sicurezza mostra oggi i limiti dei nostri progressi in materia di risoluzione dei conflitti tramite il diritto internazionale. E’ evidente che la costituzione di una corte di giustizia internazionale, con giurisdizione obbligatoria, resta un obiettivo per i federalisti / pacifisti a livello mondiale.
Infine, il processo di integrazione europea permette di evidenziare anche un modo per risolvere il problema delle sanzioni a livello internazionale. La costituzione di organizzazioni regionali che assicurino un certo tipo di concentrazione della forza favorisce indubitabilmente l’affermazione di un sistema sanzionatorio capace di superare lo scoglio della sovranità degli Stati nazionali. Questo è vero a livello regionale, come lo dimostra la pratica europea, in particolare per quel che riguarda il rispetto del patto di stabilità economico e delle regole del mercato unico, ma si rivela vero anche nel caso di decisioni di organi internazionali su dispute con soggetti esterni all’organizzazione regionale. E’ significativo l’esempio dei progressi notevoli in materia di risoluzione delle dispute commerciali in seno all’OMC, progressi dovuti essenzialmente alla rappresentazione unica dell’Unione in materia commerciale. La formazione di grande aree regionali integrate riduce la complessità del sistema giuridico internazionale, favorendo dunque la sua effettività e la sua affermazione come metodo di pacificazione. I due processi, l’unificazione politica su scala regionale e l’elaborazione di un sistema giuridico internazionale sono obiettivi complementari e ampiamente interdipendenti.
- Multiculturalismo e cittadinanza
http://italy.peacelink.org/europace/articles/art_9366.html
Cittadinanza federale europea - 5° contributo:
- La Direttiva 2003/109/CE del Consiglio relativa allo status dei cittadini di paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo
http://italy.peacelink.org/europace/articles/art_9364.html
Cittadinanza federale europea - 4° contributo:
- La cittadinanza europea e la cittadinanza cosmopolitica
http://italy.peacelink.org/europace/articles/art_9365.html
Cittadinanza federale europea - 3° contributo:
- Una cittadinanza a più livelli basata sulla residenza: il carattere "inclusivo" della cittadinanza europea
http://italy.peacelink.org/europace/articles/art_9363.html
Cittadinanza federale europea - 2° contributo:
- Sul popolo federale europeo
http://italy.peacelink.org/europace/articles/art_9339.html
Cittadinanza federale europea - 1° contributo:
- Cittadinanza nazionale e declino della democrazia
http://italy.peacelink.org/europace/articles/art_9338.html
- Per una Cittadinanza europea di residenza
http://italy.peacelink.org/europace/articles/art_9540.html
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