Protocollo di Kyoto: E ora tassiamo gli Usa

Fonte: Il Manifesto - 16 febbraio 2005

Il Protocollo di Kyoto è entrato in vigore oggi. E' un evento storico. Tuttavia, dovrebbe essere l'occasione per valutare il compito enorme che abbiamo davanti nel combattere il cambiamento del clima. Secondo quanto ha riferito la settimana scorsa una task force internazionale a Tony Blair, l'inquinamento che provoca il riscaldamento terrestre sta raggiungendo livelli «pericolosi» e la Terra potrebbe arrivare al «punto di non ritorno» in un decennio. Per evitare ulteriori cambiamenti, che mettono a rischio miliardi di persone, nei prossimi due decenni le emissioni di anidride carbonica vanno ridotte di oltre il 30%. Sebbene lontano dalle necessità, il Protocollo di Kyoto fornisce l'unico ambito operativo per affrontare questa sfida con un'azione mondiale. Pertanto i paesi europei, la Russia, il Canada e il Giappone hanno continuato ad aderire al Protocollo anche dopo il ritiro degli Stati Uniti. E hanno ragione.

Ora, con l'entrata in vigore di Kyoto, il paese più inquinante al mondo deve entrare in gioco. Il protocollo di Kyoto potrebbe sopravvivere fino al 2012 senza l'adesione degli Usa, ma non dopo quella data, quando le riduzioni dovranno essere effettive e rilevanti.

Il tentativo di coinvolgere gli Usa nel dopo-Kyoto si è rivelato compito difficile. Per di più, per il nostro clima non serve una versione più blanda del Protocollo di Kyoto, ma il contrario. Pertanto, noi proponiamo una soluzione alternativa: una pressione economica che preveda tasse alle frontiere e contromisure. Finché gli Usa affronteranno la questione clima in modo separato dal resto del mondo, l'Ue dovrebbe imporre aggravi fiscali sui beni importati dagli Stati Uniti e, come misura alternativa, compensare i costi aggiunti di produzione dei beni europei esportati negli Usa. Una tassa europea del clima sui prodotti americani sarebbe applicabile soo su una quantità limitata di prodotti, quali acciaio, prodotti chimici, cemento e prodotti agricoli. La maggior parte delle industrie non risente della politica del clima, bensì trae vantaggi dall'innovazione e dall'efficienza energetica che essa genera. Ci rendiamo conto che le barriere commerciali rischiano di acuire i contrasti esistenti tra gli Usa e l'Ue. Tuttavia, pensiamo che sia urgente una seria azione mondiale circa il clima.

E' chiaro che l'applicazione di barriere commerciali relative alla politica del clima sarà esaminata dall'Omc. Noi riteniamo che questa potrà ritenerla accettabile. Gli autori della New Economics Foundation hanno esaminato in dettaglio la questione, e hanno dimostrato che l'Unione Europea ha buone possibilità di vincere ogni eventuale conflitto relativo a questa tassa. Le misure commerciali attinenti al clima costituiscono delle contromisure. L'Omc consente alle nazioni di applicare contromisure per compensare il vantaggio competitivo in campo commerciale di cui beneficiano le aziende straniere quando ricevono sussidi dai loro governi. In questo caso il governo Usa, sebbene non conceda sussidi in forma diretta, favorisce indirettamente la sua industria evitando di assoggettarla a una politica climatica. Il ricorso a restrizioni commerciali correttive è consentito in particolare quando sia stato realizzato «uno sforzo in buona fede per raggiungere un accordo internazionale». Ed è chiaro che l'Ue e altri paesi hanno realizzato un serio sforzo per un accordo sul clima che includesse gli Stati Uniti. Nel maggio 2004 il commissario europeo Lamy ha citato possibili misure economiche: «E' anche importante rivedere l'ambito d'azione regolato dall'Omc allo scopo di uniformare il terreno di gioco».

La verità è che sta venendo a mancare il tempo per affrontare la questione del cambiamento climatico. L'applicazione di misure economiche da parte dell'Ue - incluse misure commerciali nei confronti di chi non osserva il Protocollo di Kyoto - sarebbe utile, appropriata e legittima.

Valerio Calzolaio, DS, Italia; Christin Hagberg and Carina Ohlsson, Socialdemocraterne, Svezia; Torben Hansen, Socialdemokraterne, Danimarca; Ulrich Kelber, SDP Germania; Bart Martens, SP-A Belgio; Genevieve Perrin Gaillard, Francia; Diederik Samsom, PvdA Olanda; Alan Simpson, Labour Party, Gran Bretagna

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