C.P.T.: centri di accoglienza o lager ?
Ci sono degli avvenimenti, come le numerose ingiustizie che si susseguono nei centri di permanenza temporanea, che sorprendono in se stessi, ma soprattutto per come vengono propinati all’opinione pubblica.
L’Italia legge dopo legge, c.p.t. dopo c.p.t. sta diventando sempre più pericolosamente un paese xenofobo e per nulla accogliente, e questo è un dato incontestabile (peraltro c’è una certa parte politica che non solo non lo contesta ma ne fa uno dei punti di forza del proprio manifesto programmatico).
Il simbolo della crescente xenofobia sono proprio i centri di permanenza temporanea che di fatto sono delle prigioni o peggio dei lager come, sia alcuni autorevoli esponenti delle istituzioni, sia uomini e donne che hanno avuto la sfortuna di vivere al loro interno, li hanno definiti.
Ultimo, ma solo in ordine di tempo, Manuel Logrono cittadino dominicano regolarmente residente in Italia da 26 anni.
Manuel era in possesso di un permesso di soggiorno scaduto nel corso della propria detenzione nella casa circondariale di Vasto (perché ovviamente non era riuscito a rinnovare il suo contratto di lavoro di coreografo) dove era entrato in contatto con le Suore Comboniane e con i responsabili della cooperativa “Il Noce”, che si occupa del reinserimento degli ex-detenuti sia dal punto di vista sociale che da quello lavorativo, i quali si erano resi disponibili a garantirgli un alloggio ed un lavoro.
Al termine della detenzione però, nonostante fosse affetto da ansia e depressione che lo avevano già spinto in precedenza a tentare il suicidio, Manuel veniva condotto al c.p.t. di Bologna e gli veniva notificato il decreto di espulsione.
Manuel iniziava pertanto uno sciopero della fame, mentre diverse associazioni cominciavano a sostenerlo attraverso una serie di appelli di solidarietà.
A seguito di queste proteste la vicenda si è poi risolta positivamente ed il Sig. Logrono ha avuto la possibilità di raccontare la sua drammatica esperienza in un incontro pubblico con una rete nazionale di associazioni antirazziste; la sua frase più ricorrente -“preferivo tornare in carcere, li almeno ogni tanto si vede il cielo”- rende l’idea della indegna quotidianità che migliaia di immigrati sono costretti a vivere all’interno dei c.p.t. sparsi in tutta Italia.
I centri di permanenza temporanea sono una vergogna per il nostro paese, sono dei luoghi degradati e degradanti dove viene perpetrata ogni genere di violenza e dove le persone che vi sono rinchiuse perdono la propria identità, oltre che la propria dignità.
La salute mentale dei reclusi è seriamente compromessa dalla permanenza in questi luoghi a metà tra il lager e il manicomio.
Eppure è profonda la deformazione della realtà operata dai media, quelli asserviti alla classe politica dirigente naturalmente, che determinano pericolosamente l’orientamento socio-politico di una buona fetta dell’opinione pubblica, giocando sempre più su di un equivoco di fondo che riguarda i centri di permanenza temporanea che sono, subdolamente e strumentalmente presentati come dei centri di prima accoglienza o, letteralmente, dei centri di permanenza.
Insomma è come se definissimo le carceri “istituti di alloggio temporaneo”, non cambierebbe la sostanziale funzione di detenzione.
La differenza è che l’opinione pubblica conosce (a grandi linee) che cosa sono gli istituti di pena e perché le persone vi sono rinchiuse mentre ignora ciò che succede nei c.p.t. e che al loro interno sono trattenute persone che non hanno commesso alcun reato (o che hanno già scontato la loro pena).
All’opinione pubblica insomma, a seconda della convenienza politica, i c.p.t. vengono presentati o come carceri dove sono rinchiusi i malavitosi stranieri (proseguendo l’opera di criminalizzazione di questi ultimi) o come un confortevole centro di prima accoglienza che il popolo italiano generosamente “concede” agli immigrati.
Molto più probabilmente i c.p.t. non sono altro che dei monumenti alla vergognosa e progressiva degenerazione della nostra società.
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