Il dilemma non è così semplice, e la risposta non è così facile. E’ necessario prima di tutto trovare termini comuni per intenderci. Spesso si pensa che l’essere buoni cattolici includa automaticamente l’essere anche bravi cittadini, e può essere anche vero.
Esco dalla stazione centrale di Roma e mi avvio verso la fermata del 75. Raggiunta la fermata noto fra le altre persone in attesa un uomo, o donna, perché non riesco a distinguere il genere. E’ un’occhiata veloce, non mi soffermo a fissare la persona.
Li guardo, seduti attorno ai tavoli, nel buio profondo. Chi si buca e chi invece aspira dalla bottiglietta di plastica adattata per l’uso del crack. La luce è quella dei mozziconi di candela che servono per preparare la droga. Sono gli uomini e le donne spazzatura di Castel Volturno.
Ogni tanto mi affaccio sul dolore e la sofferenza psichica, la sofferenza dell’anima. Non la mia ma quella di persone che incontro nella mia giornata. Sono un fortunato perché nella mia vita non ho mai avuto bisogno di tranquillanti, psicofarmaci o altro tipo di medicine per i problemi di carattere psichico. Per la verità in tutta la mia vita ho fatto poco uso delle normali medicine e solo ora che con il passar degli anni sono diventato fisicamente più vulnerabile ricorro a qualche aspirina e in alcune occasioni a qualche antibiotico per la bronchite cronica.
I fuochi d’artificio concludono, quasi sempre, la festa del santo patrono. Lo spettacolo pirotecnico finale è entrato nelle aspettative dei partecipanti alla festa. Al Sud l’organizzazione delle feste patronali parrocchiali è diventato un autentico business, un affare che coinvolge molte persone che più che esprimere devozione verso il Santo da festeggiare ne approfittano per fare soldi.
Ogni tanto Castel Volturno è sulla stampa nazionale. Ultimamente i giornalisti hanno presentato Castel Volturno come l’inferno, caricando le tinte, esagerando dati, e mettendo in evidenza soltanto gli aspetti negativi.
Sorrido leggendo la “Storia del Signor Enea e l’uva” sulla Repubblica di oggi”. Una storia di prepotenza esercitata dal potente su un povero contadino proprietario di un campo di filari di uva, che si vede obbligato dal potente che gli ruba l’uva a dover offrirgliela.
Sento il bisogno di chiarire le mie idee. Assisto in questi giorni, ancora una volta, al dolore esposto in pubblico dal solito circo mediatico, che continuamente si alimenta e amplifica le nostre tragedie.
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