Forum: Film
"It’s my character".
"It’s my character".
È questa la risposta che, nella favoletta così abilmente raccontata da Mr. Arkadin, lo scorpione dà alla rana, quando stupita gli chiede perché l’abbia punta con la coda velenosa durante il traghettamento del ruscello, pur sapendo che sarebbero affogati entrambi. Così forse avrebbe risposto ognuno di quei personaggi wellesiani da Elsa Bannister a Mr. Arkadin, da Quinlan a Rankin, che trovano nella morte la conseguenza delle loro azioni. Così forse avrebbe risposto lo stesso Welles a tutti quegli americani che, spaventati e ipnotizzati dalle sue parole, nel 1938 credettero che i marziani avessero invaso la Terra.
"It’s my character": un’affermazione forte, un’accettazione assoluta di ciò che si è, indistintamente ed inevitabilmente, e delle conseguenze delle proprie azioni. E chissà quante volte lo stesso Welles, amato e odiato per ciò che era, ha dovuto ammettere con se stesso l’inevitabile forza del proprio modo di essere.
In verità, quale sia stata la vera natura di Welles è ancora un mistero. Chi è stato davvero Orson Welles? Un grande affabulatore? Un enfant prodige? Un genio maledetto? Un ingenuo? Un incompreso? O semplicemente uno di quei grandi uomini dei quali è impossibile dare una definizione esaustiva in una sola parola? Anche Thompson, arrivato alla fine della sua ricerca, deve ammettere che non è possibile definire chi davvero sia stato un uomo attraverso una parola.
Decisamente fuori del comune questo ragazzino che a soli sedici anni si presenta ad una delle più grandi compagnie teatrali dublinesi fingendo di essere un grande attore. Estremamente dotato, se adolescente debutta sostenendo dei ruoli che sarebbero spettati ad un vecchio ed esperito autore, e fortunato se grazie ad una delle sue più grandi e pericolose burle consegue il debutto nel cinema con un contratto tra i più vantaggiosi con l’Rko. Un debutto reso ancora più ridondante del previsto per le controversie, le novità e i problemi suscitati da "Quarto potere", film ad oggi deputato come manuale di cinema, ma solo ieri guardato con tale diffidenza da portare Von Stroheim ad affermare di non essere riuscito a capire di cosa trattasse per quasi tutta la prima parte.
Welles è dunque un autore che fin da subito fa mostra delle sue grandi capacità, ma anche della sua grande personalità e del fatto di non aver paura di affermare le proprie idee per quanto siano controcorrente; d’altra parte solo chi conosce bene le regole può essere pronto a superarle, modificarle e distorcerle. Perché mostrare la realtà vuol dire anche saper guardare nel più profondo di essa, saperne vedere le sfaccettature e i diversi piani con un occhio diverso, strano, e spesso deformante: in primo luogo attraverso la profondità di campo, o deep focus, scelta che Welles seguirà per tutta la sua carriera e che renderà spesso poco amati i suoi film, perché usare un soft focus significa mostrare al pubblico un’unica azione su un solo piano, mentre con il deep focus le cose cambiano. Utilizzare la profondità di campo vuol dire smettere di accompagnare il pubblico nella visione di un film: il deep focus esige dallo spettatore non solo una maggiore attenzione a ciò che si sta raccontando in secondo piano, ma anche una capacità di scelta, perché decidere di mostrare in una sola scena più di un piano d’azione, rendendo nitidi e leggibili non solamente gli eventi che si svolgono in primo piano ma anche quelli che avvengono in secondo piano, costringe inevitabilmente a scegliere quale dei due seguire.
Tuttavia a Welles non basta, e così compie un’altra scelta significativa, decidendo di utilizzare nelle riprese il grandangolo: questo strumento non solo gli permette di ampliare il campo visivo, connotando maggiormente gli ambienti in cui si svolge l’azione, ma gli permette soprattutto di dare un carattere particolare a ciò che si vede, lasciando che la stessa immagine possa adattarsi all’incubo che si sta raccontando. Molti dei film di Welles, infatti, mostrano ciò che potrebbe accadere al materializzarsi delle paure più profonde: con l’uso del grandangolo si rende visibile la distorsione della realtà e ciò che significherebbe vivere in questo brutto sogno. Usato negli interni, il grandangolo distorce lievemente i limiti dell’inquadratura, rendendo sfuggenti gli angoli delle pareti; utilizzato invece sui volti degli attori, li rende più grandi del naturale, sproporzionati e incombenti. La drammaticità che in questo caso acquista la scena è significativa, la distorsione significante. È esemplare, in questo caso, la sequenza del dramma che si consuma nella stanza d’albergo di Susan ne "L’infernale Quinlan", con l’arrivo dei Grandes e la violenza perpetrata a danno di lei. I volti dei delinquenti che ghignano ironici a Susan, forti della loro superiorità, si fanno avanti incombenti sullo schermo nella loro spaventosa fisicità, deformati nella loro ironica crudeltà.
Lo stesso eccesso si riconosce nella sequenza della stanza di Sanchez, dove è il messicano a vivere un incubo. Il grandangolo ingigantisce le teste che si alternano sulla scena, mentre la luce proveniente dal basso rende i volti spettrali e la scena risulta simile ad un delirio.
Inoltre Welles utilizza nuove angolazioni decidendo di posizionare la macchina da presa in basso rispetto all’attore, che in questo modo si erge imponente in tutta la sua fisicità. Questa scelta, oltre ad apportare al personaggio una nuova connotazione fisica, lo arricchisce psicologicamente creando all’interno del film una serie di tensioni tra i personaggi naturalmente più forti e gli antagonisti più deboli.
Del resto, con una ripresa dal basso verso l’alto, Welles sceglie di mostrare ciò che si trova sopra la testa del personaggio, rendendo necessaria la costruzione di soffitti all’interno della scena. Questa novità incide sulla struttura del set; se infatti all’interno della scena si mostrano i soffitti, dove si metteranno le luci? Ebbene, Welles apporta il suo contributo anche nell’illuminazione. Le luci dei suoi film sono particolari: spesso fendono geometricamente lo spazio simili a lame di luce, creando degli effetti decisamente suggestivi, come la luce spettrale che entra nella stanza della biblioteca Thatcher mentre Thompson sta consultando gli archivi; altre volte vengono posizionate dal basso verso l’alto come ne "L’ispettore Quinlan" o scolpiscono i paesaggi e i volti dei personaggi come le maschere tragiche del "Macbeth".
Queste ed altre particolari scelte stilistiche si possono ritrovare ne "L’ispettore Quinlan".
Il film, dopo il "Macbeth" (suo ultimo lavoro americano), segue i dieci anni travagliati di esilio europeo a cui era stato sottoposto Welles, il quale era stato tacciato come regista difficile ed inaffidabile, colpevole di creare problemi alla produzione. I motivi di queste accuse erano chiari: il regista aveva lasciato in sospeso molti più lavori di quelli che aveva portato a termine e quando li aveva ultimati non erano stati privi di ostacoli. Esemplari, in questo caso, due opere: "It’s all true" e "Othello".
I problemi relativi al primo film, un documentario sull’America del sud, furono molteplici e tragici: durante le riprese di uno dei quattro racconti che doveva comporre l’opera, morì uno degli attori dell’episodio dei "Quattro uomini su una zattera". Inoltre, nel caso specifico di questo film, si aggiunsero, al precipitare degli eventi, alcune circostanze d’ordine politico. L’opera era stata infatti commissionata da Rockefeller -allora capo dell’ "Office of the Coordinator of Inter-American Affaire" e finanziatore del Rko- al fine di promuovere le relazioni culturali tra i due paesi. Quando Rockefeller fu sostituito da Floyd Odlum, il progetto venne reputato, giornalieri alla mano, come una pazzia, e ciò determinò la fine e l’incompiutezza del lavoro.
Altra storia quella riguardante l’"Otello"; basti pensare che ci vollero ben due anni di lavorazione per terminare il film: in questo lungo periodo si girò in tempi e luoghi alterni, a seconda delle disponibilità economiche. Durante questi intervalli Welles lavorò come attore per altri film, cercando, in questo modo, di procurarsi il denaro necessario per terminare il suo lavoro.
L’"Othello" fu un film sfortunato fin dall’inaugurazione del primo ciak, momento in cui gli attori si accorsero che erano stati rubati loro i costumi di scena; questa circostanza costrinse il regista a girare alcune scene nel bagno turco, dove, a parte gli asciugamani, non sarebbero servite altre suppellettili. Il film fu comunque amato e pensato con tutto il cuore da Welles che, nonostante fosse stato costretto a girare in luoghi e tempi diversi, seppe dare ad esso un’organicità ed una continuità notevoli che solo un grande progetto e una forte volontà avrebbero permesso.
"L’ispettore Quinlan", dunque, segna il ritorno in America del grande regista. Il film, il cui contenuto è decisamente poco ortodosso per quegli anni, gli viene stranamente commissionato dalla Universal, che in quel periodo era specializzata in commediole romantiche e idilli. Il tema non solo è inusuale per la casa di produzione, ma soprattutto contrasta il fenomeno del perbenismo artistico che dominava la classe degli anni cinquanta, ma non c’è da stupirsene, dato che questo lavoro supera ciascuna delle frontiere sociali del periodo: quella sessuale, quella razziale, quella geografica, quella legale, quella morale, mentre gli spettatori sono chiamati per primi a tralasciare ogni remora se vogliono fruirne. Come è noto, Welles riscrisse la sceneggiatura basata sul romanzo di Masterson, e il film uscì con il titolo "The touch of evil". Le riprese iniziarono nel 1957 e, come racconta il regista, durante l’inizio del girato egli decise di aggiungere le scene con Marlene Dietrich; un’idea che l’attrice, sua amica, accettò subito. Quando la produzione se ne accorse, si preoccupò del fatto che la Dietrich non fosse nel preventivo, ma Welles spiegò che se non fosse stato messo il nome dell’attrice nel film non avrebbero dovuto pagarla. Naturalmente, alla fine, la Universal decise di aggiungerla tra le buste paga, rendendosi conto di quel che avrebbe significato avere il suo nome in cartellone.
Effettivamente va detto che nello star system del periodo non era cosa di poco conto poter vantare nello stesso film stelle del calibro della Dietrich e di Charlton Heston.
La storia de "L’infernale Quinlan" è un insieme delirante di eventi che vanno ben oltre il normale buongusto: i signori Vargas, in viaggio di nozze, vengono loro malgrado coinvolti in un omicidio. L’auto di Linnaker viene fatta saltare in aria da una bomba. Dato che il fatto è avvenuto alla frontiera, Vargas, poliziotto messicano della squadra narcotici, viene incaricato di seguire il caso accompagnando nelle indagini l’ispettore americano Quinlan. Nel frattempo sua moglie Susan viene avvicinata e intimidita dalla banda dei Grandes: infatti il poliziotto ne ha incarcerato uno dei componenti, e questi vorrebbero che egli smetta di interessarsi alla loro famiglia.
In seguito Vargas subisce un attentato e tenta di convincere la moglie ad aspettarlo oltre il confine, in terra messicana, dove sarà al sicuro fino al termine delle indagini, ma la moglie Susan decide di aspettarlo in un albergo, al confine, in terra americana.
In seguito Quinlan, noto razzista, cerca di incastrare Sanchez accusandolo di aver ucciso Linnaker in quanto si opponeva all’amore tra un messicano e la propria figlia. Per convincere Vargas della ragione della propria accusa, Quinlan mette delle prove false nell’appartamento di Sanchez, ma il poliziotto messicano si accorge del tranello e inizia un’indagine privata per incriminare l’ispettore americano. Indagando su di lui, Vargas scopre che non è la prima volta che l’investigatore ha costruito prove false per incastrare un colpevole. Nel frattempo Quinlan, vedendo nel messicano un pericolo, decide di gettare discredito su di lui, e architetta una messinscena: dopo aver fatto rapire la moglie di Vargas dai Grandes e averla fatta drogare, strangola il vecchio della banda e lascia il corpo accanto a Susan di modo che sia incolpata dell’omicidio. Tuttavia, il suo piano fallisce, poiché l’investigatore dimentica il proprio bastone nella stanza e questo viene trovato da Menzies, fedele compagno di Quinlan che, rendendosi conto di quali bassezze sia capace l’ispettore, aiuta Vargas ad incastrarlo. Menzies dopo aver chiamato Quinlan, il quale, mezzo ubriaco, si trova da Tanya, inizia a farlo parlare mentre Vargas ne registra la confessione, ma l’investigatore, intuendo cosa stia succedendo, spara a Menzies con la pistola del poliziotto messicano; in questo modo potrà distruggere il nastro e, dopo aver ucciso anche Vargas, invocare la legittima difesa. Ma Menzies, morente, salva Vargas sparando a Quinlan. Nel frattempo Sanchez ha confessato la propria colpevolezza; anche questa volta l’intuito di Quinlan aveva visto giusto.
Il particolare amalgama della storia viene rispettato da Welles che riesce a costruire un film vorticoso e geniale.
Welles sceglie di ricoprire il ruolo di Quinlan: non è infatti la prima volta che l’attore decide di dare vita ad un personaggio malvagio e conflittuale. Da Mr. Arkadin a Rankin, da Mr. Clay a Macbeth, i personaggi portati sullo schermo dall’attore sono sempre stati pieni di tensione e drammaticità, che anche questa volta non mancano. Il trucco curatissimo ed eccessivo aiuta inoltre l’attore a rendere Quinlan una figura grottesca, quasi una caricatura vivente: l’aspetto imponente dell’investigatore, accompagnato dall’eccessiva pinguedine, è rafforzato dalla deformità fisica, dal momento che, essendo zoppo, si muove a fatica e lentamente; tale attributo, tuttavia, non toglie al personaggio nulla della sua forza e della sua maestosità. Del resto, Welles non era nuovo nello scoprire le possibilità e la magia del trucco: abituato a decisive trasformazioni che lo avevano portato a somigliare a Nettuno per Mr. Arkadin e ad invecchiarsi per Mr. Clay e per Falstaff, non mancò di utilizzarlo per essere il giovane Kane. Infatti, come ammette lo stesso Welles, non potè essere se stesso neanche impersonando un giovane, dato che la natura lo aveva privato della possibilità di esser stato mai davvero tale. Questo è un paradosso se si pensa a tutte le volte che hanno definito quest’uomo simile ad un adulto con il viso da bambino.
Quinlan è, inoltre, un uomo solo: la moglie è stata uccisa da un messicano, e da allora gli unici affetti che gli sono rimasti sono stati quelli del fedele compagno Menzies e di Tanya (Dietrich). Mentre Menzies ha un’adorazione totale per l’amico, Tanya è una figura diversa, quasi materna, simile al personaggio di Sophie per Arkadin. I loro incontri sono nostalgici e teneri, quasi sempre accompagnati dal dolce suono della pianola che si trova in casa di Tanya, simile a quello di un carillon che addolcisce e dà pace all’investigatore. Quinlan, d’altra parte, è anche un enorme bambino, tanto burbero da intenerire, con quella sua passione per i dolci che spesso sgranocchia mentre pensa; una figura, dunque, che alla fine non si può detestare, ma che, come tutti i cattivi di Welles, risulta simpatica. Egli è infatti anche un uomo a suo modo morale: non ha mai abusato del potere a proprio vantaggio, e crede di non aver mai usato il suo intuito erroneamente. D’altra parte se i suoi metodi sono illegali ed egli risulta colpevole nell’utilizzarli, è pur vero che la sua accusa contro Sanchez verrà poi confermata.
All’inizio del film si ha uno dei piani sequenza più noti e virtuosistici della storia del cinema: la ripresa inizia ad altezza uomo con l’introduzione della dinamite nel bagagliaio di un’automobile, si alza poi con una gru panoramica sino a superare il tetto di un palazzo mentre segue la macchina attraverso i vicoli che la portano alla strada principale. In seguito la macchina da presa ridiscende e descrive sinteticamente la cittadina di Los Robles con il suo traffico umano e sociale, e sceglie di interessarsi ad una coppia esteticamente diversa dall’usuale magma cittadino, fino ad accompagnarla oltre il confine, dove si dirige anche l’automobile. Il rallentamento dell’azione viene suggellato da un bacio tra Vargas e Susan, e dal contemporaneo scoppio della bomba.
La scelta di Welles di girare tutto in sequenza è decisamente affascinante: in primo luogo ciò significa essere al sicuro da qualsiasi intervento da parte della produzione in sede di montaggio, e in secondo luogo, a livello linguistico, significa dare in un solo movimento ed attimo tutte le maggiori e necessarie informazioni che servono allo spettatore per capire cosa si appresta a vedere, rendendolo partecipe del tempo della storia e facendolo diventare protagonista dell’avventura nel suo presentarsi. Bisogna aspettare l’esplosione, ossia ciò che simbolicamente rompe il susseguirsi tranquillo e naturale degli eventi, per ricominciare ad utilizzare il montaggio.
Inoltre nel piano della narrazione è importantissima questa sequenza iniziale poiché racchiude in sé tutte le tensioni che si fronteggeranno nel corso della vicenda. Il superamento del "No trespassing" è già avvenuto ed è presente all’interno della coppia dei Vargas: mentre lui è messicano lei afferma già poco prima della frontiera di essere californiana. Il passaggio della frontiera serve solo a far scoppiare ciò che è già insito in nuce e sono inevitabilmente chiari il parallelismo che si attua tra la coppia Vargas e quella Linnaker e i motivi dell’omicidio. La somiglianza tra le due coppie sarà ancora più evidente a fine film, dove la macchina dei Vargas richiamerà visivamente quella dei Linnaker; la bomba è scoppiata e, passata la frontiera, nulla sarà come prima neanche per i coniugi Vargas.
Se all’arrivo di Quinlan sul luogo del delitto Vargas resta comunque una figura in secondo piano davanti al troneggiare dell’americano, il cui arrivo si carica d’attesa grazie all’usuale coro di presenti (che spesso Welles utilizza nella presentazione di un personaggio di rilievo), man mano che la storia procede anche il poliziotto messicano acquista una sicurezza maggiore che lo innalza agli stessi livelli dell’investigatore. Il variare delle relazioni tra i due personaggi viene visivamente sottolineato dalla macchina da presa che registra il crescendo di tensioni e lo scontro tra queste due forti personalità. Il poliziotto messicano infatti è un uomo retto e non è abituato ai modi di Quinlan; la stessa inquadratura esplica la differenza che c’è tra i due: mentre l’ispettore viene sempre ripreso dal basso e spesso con angolazioni di tipo obliquo (le stesse che vengono utilizzate nella casa di Sanchez quando si avvera il più brutto dei suoi incubi), Vargas viene ripreso ad altezza naturale almeno fino a quando non cambierà il suo comportamento.
Il passaggio ad una realtà diversa da quella accettata e conosciuta avviene per Vargas all’indomani del rapimento della moglie: è a questo punto che il poliziotto cambia, che la macchina muta angolazione e che, inevitabilmente, Quinlan e il messicano diventano molto simili.
Quando Vargas vaga alla ricerca della moglie è fuori di sé e non è più disposto a comportarsi da “bravo ragazzo”; la sua entrata nel locale dove si trovano i Grandes è paradigmatica del cambiamento dell’uomo. Egli arriva a sollevare di peso e sbattere contro il muro uno dei nipoti del gangster, scena che inevitabilmente richiama quella in cui Quinlan solleva il vecchio Grandes e lo strangola. Adesso i due giganti si fronteggiano allo stesso livello e spesso il messicano è superiore all’ispettore. Vargas è cambiato e il passaggio del confine risulta irreversibile: nulla, da questo momento in poi, sarà come prima.
Tuttavia, se Vargas è arrivato a somigliare all’ispettore, questa volta Quinlan non riuscirà a sfuggire alle proprie azioni: ha superato il limite, ha seguito la propria natura e ora lo aspetta la morte. Quinlan trova la morte, preannunciata dalle parole di Tanya, per mano del suo migliore amico; una lacrima aveva rigato il suo volto dopo aver sparato a Menzies, e adesso, mentre ferito si alza per dargli un ultimo sguardo, sarà il dito accusatore del compagno puntato verso di lui a macchiarlo con il sangue delle sue vittime e spingerlo nel fiume. "Era uno sporco poliziotto, ma a suo modo anche un grand’uomo, ma cosa importa ciò che si dice di un morto?". È Tanya l’ultima a vedere Quinlan e a farne questo strano elogio funebre; l’unica a conoscerlo così bene da ammirarlo, a suo modo, anche se incapace di adorarlo come faceva Menzies. E anche Welles fu un grande uomo: un uomo che ha saputo portare avanti le proprie scelte con volontà, e che, malgrado le critiche, ha saputo rispettare ciò che gli chiedeva la sua natura, la sua genialità. E se alla fine anche il cinema può mentire, e Welles si sente vicino ad uno dei più grandi falsificatori di Picasso, non si può non ammettere che egli abbia saputo raccontare qualche verità e creare delle “storie immortali”. Dunque altro non si può fare che salutarlo, come ha fatto Tanya, con un "Adios", sapendo che ognuna delle sue grandi scoperte sarà sempre ammirata e ricordata come un’altra Xanadu.
Bibliografia di riferimento:
Caccia R. Invito al cinema di Orson Welles, Milano, Mursia 1997.
Naremore J. Orson Welles, ovvero la magia del cinema, Venezia, Marsilio 1993.
Salotti M. Orson Welles, Genova, Le Mani 1995.
Welles O. Bogdanovich P. Io, Orson Welles, Milano, Baldini Castoldi 1996.
Commenti
Inserisci il tuo commento