Forum: Lettere
Colpo di spugna
Tutto era iniziato o, forse è meglio dire, finito, con un colpo di spugna. Lavoravo in un pub del centro, uno dei tanti che illuminano debolmente come stelle ammalianti le vie strette e labirintiche del centro storico.
Lo facevo da qualche mese, ma non senza un po’ di entusiasmo. Era l’unico modo, d’altra parte, per permettermi gli studi universitari fuori sede senza dover rinunciare a quei miei piccoli vizietti come la lettura e qualche buona “aspirata” . L’ambiente non era male. Alla fine soliti visi, facce spaesate di studenti che di notte giravano a branchi per farsi coraggio, sguardi maliziosi e bavosi di separati o divorziati in cerca di materiale nuovo e fresco. Bastava guardarli un attimo per capire da dove venivano, cosa cercavano e soprattutto cosa avrebbero fatto uscendo dal locale. Una di quelle sere affollate mi diressi ad un tavolo attorno al quale si erano appena seduti, come indiani accovacciati attorno ad un fuoco, coppie e ragazze single agghindate come vetrine natalizie. Sulla trentina. Armata della mia umida spugnetta liberai il tavolo dagli scarti delle precedenti consumazioni e cominciai il rito della pulizia. Movimenti circolari in senso orario a cominciare dal bordo più vicino al mio ventre, poi cerchi sempre più ampi che mi permettevano di raggiungere gli angoli opposti e che mi costringevano a piegarmi, quasi a distendermi sull’asse. Posizione alquanto erotica pensavo. E lo pensavo mentre lo facevo. Chissà chi mi stava a sentire. Probabilmente i pensieri sono parole di fumo che escono dalla nostra pelle, sono odori, soavi o acri che alcuni di noi sono in grado di captare, se solo vi prestano attenzione. Così, mentre con una certa voluttà il mio braccio eseguiva quei movimenti circolari sul tavolo di legno scuro, nodoso, graffiato, inciso di nomi e parole scritti con forza, epigrafi di un’età a cui appartenevo senza volerlo, il mio sguardo si posò su un particolare che in tanti giorni di lavoro non avevo mai notato. Al centro di quella tavola era inciso sbiaditamente il mio nome insieme a quello di Giulio, l’amore della mia adolescenza ingenua, la passione delle mie notti insonni, il sogno dei miei giorni malinconici. Quell’incisione l’avevamo vergata con un temperino sul tronco di un albero il giorno in cui, marinando la scuola, avevamo imboccato la strada sterrata della campagna arida degli ultimi giorni di maggio. La calura era insopportabile ed esausti avevamo gettato i nostri corpi pesanti sotto un grande carrubo ridendo affannosamente senza motivo. O forse il motivo c’era. Avevamo scoperto l’amore. O almeno sembrava esserlo. Non avevo mai dimenticato quei momenti e nemmeno Giulio che presto mi aveva voltato le spalle per una ragazza più grande di me e poi era partito verso nord per diventare ingegnere. Una risata cristallina ed invadente mi riportò a quel pub del centro storico, a quel tavolo che avevo smesso di lucidare per lucidare i miei più bei ricordi. I ragazzi, che come indiani fumavano attorno a me, sghignazzavano fissandomi. Fu così che passai l’ultimo colpo di spugna…..
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