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4 agosto 2006

Come l'America la fa franca con la giustizia internazionale. Intervista con Michael Mandel

Autore: Giuseppe Serra

Michael Mandel è professore di Diritto penale Internazionale alla York University di Toronto, in Canada. Ha insegnato in diverse università italiane e in Israele . È copresidente dell'Associazione Avvocati contro la guerra, fondata in Canada nel 2001 con sede in 13 Paesi. Mandel ha gentilmente risposto ad alcune domande rivoltegli da un collaboratore di Diorama che ne ha curato anche la traduzione.

Professor Mandel, vorrei iniziare citandole una frase del suo ultimo libro (Come l’America la fa franca con la giustizia internazionale, Ega, 2005): «La guerra in Iraq è stata la terza guerra illegale condotta dall’America in appena quattro anni. Ciascuna di queste guerre (Iraq, Afghanistan, Kosovo) è stata orribile e sanguinaria, ma la guerra in Iraq si è doppiamente distinta per la sua crudezza e per essere in flagrante violazione del diritto». Le affermazioni qui contenute mi pare esprimano forti sospetti circa l’illegalità, dal punto di vista del diritto internazionale, delle guerre americane …

Ci sono sempre delle buone ragioni buone per diffidare degli avvocati quando fanno affermazioni di questo tipo, con questo grado di certezza: ma non penso che la materia si presti ad alcun dubbio, e comunque, nel testo, tento di presentare tutti i lati della questione in modo imparziale, cosicché i lettori possano ragionare con la propria testa. Voglio però ribadire che le tre guerre erano tutte chiaramente illegali.

Ritorniamo al conflitto iracheno: come sappiamo, in quel caso, venuta a cadere la giustificazione della legittima difesa, la formula che rese valida la possibilità di un’invasione militare divenne quella di “intervento armato umanitario”. Ma la guerra, per quanto connotata da più o meno appropriate giustificazioni umanitarie, secondo Lei segna comunque l’affermazione di una logica antitetica a quella del diritto. Come mai?

Malgrado i tentativi, soprattutto da parte dei grandi poteri militari occidentali, di interpretare le norme in modo del tutto arbitrario, non c’è nel diritto internazionale la possibilità di un intervento militare, unilaterale e umanitario – “unilaterale” nel senso di non-autorizzato dal Consiglio di Sicurezza in una risoluzione. L'uso della forza, per essere legale (con l’unica eccezione dell’autodifesa), deve essere approvato dal Consiglio di Sicurezza, e come tutti sanno, non c'era nessuna autorizzazione di questo tipo per l'invasione dell’ Iraq – è stata esplicitamente negata. Gli Stati Uniti ed il Regno Unito non hanno potuto convincere neanche un terzo dei membri del Consiglio che questa guerra valeva il costo terribile in vite umane che sicuramente è stato pagato. Ricordiamoci che il Consiglio di sicurezza è per 2/3 eletto dall'Assemblea Generale che rappresenta i popoli del mondo i quali, senza ombra di dubbio, sono rimasti scettici sul fatto che i presunti benefici della guerra abbiano più valore dei costi sopportati dai civili.

Per giustificare un intervento umanitario ci deve essere una catastrofe imminente, non altrimenti risolvibile. La terribile condizione delle popolazioni dell’Iraq, nel 2003, era stata causata soprattutto dalle sanzioni, mantenute in vigore dall’America per oltre 12 anni. La guerra americana in Iraq ha ucciso oltre 100.000 iracheni dal 2003, e che giovamento ha portato? Il caos. La tortura sistematica. La guerra civile. Anche quello sciocco della Casa Bianca sa che tutto ciò non ha niente a che fare con la filantropia. La ragione per cui è negato per legge l'intervento unilaterale, militare umanitario è perché tutti sanno che esso viene ormai usato dai superpoteri bellici come un pretesto per i propri fini. E intanto si continua a versare il sangue delle persone innocenti.

L”intervento umanitario” è stato un tema importante della guerra in Kosovo del 1999. La Nato, in quel caso, difese la guerra come «un’azione giusta e necessaria», un’operazione di salvataggio a favore degli albanesi del Kosovo ormai alla mercè di un regime genocida, come ha dimostrato poi il caso Racak. Anche in questo caso la guerra era ingiustificata?

Sì. Per la decade intera del novanta, gli americani e l’Europa Occidentale hanno seminato la tragedia nei Balcani per i loro fini egoistici. Gli Stati Uniti, e gli stessi alleati NATO (qui Canada ed Italia hanno le loro colpe) hanno avuto il potere di evitare una catastrofe in Kosovo. Invece, hanno tentato disperatamente di prendere le parti degli albanesi del KLA (Kosovo Liberation Army,) per provocare una crisi da usare poi come un pretesto per una soluzione militare.

Hanno insomma manipolato i fatti?

È quello che è accaduto. Racak è un esempio perfetto di questo genere di manipolazione. La strage di Racak è l’emblema dell’accusa di genocidio rivolta contro i serbi, anche se le prove addotte sono assolutamente insufficienti. Tutto fa pensare a una battaglia svoltasi tra formazioni armate serbe e albanesi. La debolezza delle prove e sopratutto la cinica strumentalizzazione dell’avvenimento da parte della Nato, per scatenare una guerra già decisa per altri motivi, sono discusse ampiamente nel mio libro.

Tuttavia i difensori della legalità della guerra in Kosovo sono stati molto più numerosi di quelli hanno difeso l’intervento militare in Iraq?

È vero, sebbene il numero di questi difensori non dovrebbe essere esagerato. La maggior parte del mondo non è stata ingannata dal tentativo di trasformare le forze armate americane in un’organizzazione benefica, tanto è vero che la guerra è stata ufficialmente condannata da 133 nazioni nel South Summit del 2000. Detto questo, si deve però ammettere che nei paesi ricchi Clinton ha goduto (immeritatamente) del favore degli intellettuali, più di Bush. Poi, le motivazioni imperialistiche erano più nascoste in Kosovo rispetto all’Iraq, ma c’erano.

E come mai l’opinione pubblica occidentale non si è resa conto di queste motivazioni?

Perchè una macchina propagandistica, molto organizzata, ha lavorato a pieno regime dal 1992 per tentare di fare dei serbi i nuovi nazisti. Gli europei, nei Balcani e nel Kosovo, sono stati dei collaboratori avidi degli americani, e in seguito si sono gettati con l’America sull’Iraq. L'esperienza del Kosovo avrebbe dovuto spingere le persone ad esaminare più attentamente i presunti benefici della guerra.

La legittima difesa è stata poi utilizzata per intervenire militarmente in Afghanistan. Oramai da più parti si sostiene che la sfida lanciata dalle organizzazioni terroristiche abbia cambiato le regole d’ingaggio, costringendo il diritto internazionale a derubricare le guerre a “operazioni di polizia”. Lei cosa ne pensa?

Questa tesi è stata fortemente ed ufficialmente respinta dall’ONU nel 2004 e 2005. Sarebbe il caos e solo il più forte potrebbe trarne vantaggio. In Afghanistan non c’erano le condizioni per una guerra unilaterale di legittima difesa. Per questa c’è bisogno di un attacco continuo, almeno imminente (non di un attacco che aveva cessato da tempo di essere tale), senza alternative e possibili soluzioni pacifiche da cercare attraverso le Nazioni Unite. La difesa, poi, deve essere proporzionale all'attacco. Quando ha aggredito militarmente l’Afghanistan, l’America non solo non era sotto attacco ma i taleban stavano cercando una soluzione pacifica, anche consegnando Bin Laden a un tribunale imparziale. Tutto era pronto per un una mediazione da parte delle Nazioni unite che avrebbe portato effettivamente molti benefici alla popolazione afgana. Invece gli Stati Uniti hanno scatenato una guerra area ferocissima, mettendo in campo armi sofisticatissime e ponendosi sullo stesso terreno, fondamentalista e violento, dei taleban. Il risultato? Ventimila civili innocenti hanno perso la vita, ma non Bin Laden. Altro che «operazione di polizia».

Certamente, la situazione di estrema povertà, il fondamentalismo, i signori della guerra, insomma tutte le cose negative che esistevano in Afghanistan nel 2001, ora con l’intervento bellico sono state modificate solo superficialmente.

Come mai l’opinione pubblica occidentale, quando accadono eventi come l’attentato alle Torri Gemelle, dimostra di non essere troppo favorevole ad una mediazione pacifica ma è propensa a un intervento militare?

Non credo che sia vero, almeno secondo i sondaggi effettuati fuori dagli Usa subito dopo il 9/11. Negli USA c’è una cattiva informazione. Anche in questo caso la macchina propagandistica ha funzionato a pieno regime per disinformare e produrre menzogne. Si è parlato di “guerra giusta”, ma il dovere di una nazione democratica è quello di assicurare i responsabili del crimine alla giustizia e di condannarli solo dopo averli sottoposti a un giusto processo; questo deve avvenire senza mettere in pericolo le vite delle persone innocenti, cosa che invece non accade con le ciddette guerre giuste.. Invece, in sei mesi, il numero dei morti civili in Afghanistan ha superato di gran lunga quello di tutti gli atti terroristici islamici (11 settembre compreso) messi in atto contro gli americani e gli europei. Questo fatto può essere identificato soltanto come terrorismo americano. Ora sappiamo, naturalmente, che l’autodifesa non ha avuto niente a che fare con l'attacco all’Afghanistan, le strategie erano ben altre. Gli Stati Uniti hanno usato quel povero popolo per preparasi alla guerra di cambiamento di regime progettata per l’ Iraq. Una sorta di riscaldamento muscolare, insomma. Secondo la relazione di un testimone oculare, Richard Clarke, un alto dirigente della sicurezza americana , il giorno dopo l’11 settembre, Bush e Rumsfeld complottavano già per usare l’attentato come un pretesto per la guerra contro Saddam. Erano quindi relativamente privi di interesse per l’Afghanistan.

Tirando le somme: per aver iniziato varie guerre senza una giusta causa, gli Stati Uniti hanno commesso, come stabilì nel 1946 il Tribunale di Norimberga, il crimine internazionale supremo, ovvero: aver intrapreso una guerra di aggressione. Tuttavia dobbiamo registrare la presenza di una Corte penale internazionale, che ha sede all’Aia, e che dovrebbe processare i responsabili dei crimini di guerra. Perché tale Corte non interviene anche sul crimine supremo e soprattutto: qual è il senso di un diritto internazionale penale che permette a chi inizia una guerra di uscirne indenni?

Questo è realmente il tallone di Achille del Tribunale Penale Internazionale. Lo spirito di Norimberga era proclamare che non aveva senso punire i crimini di guerra senza punire le persone, a cominciare dai responsabili della guerra stessa. Non mettere in pratica questo principio significa legittimare l'aggressione. L'aggressore è responsabile di tutta la tragedia della guerra. Ora l'ICC (International Criminal Court) ha escluso l'aggressione dal novero delle violazioni contro il diritto internazionale per tentare di convincere gli americani, i veri aggressori seriali, a farne parte. Attualmente l'ICC sta tentando disperatamente di mostrare agli statunitensi che non hanno niente da temere dal tribunale; che il tribunale non perseguirà una nazione potente, anche se usa illegittimamente la forza; preferisce occuparsi dei soliti sospetti, processando, ad esempio, gli ugandesi dell’Lra (Lord’s Resistance Army), quando tutti sanno che le disgrazie degli africani sono essenzialmente cagionate dall’avidità dei paesi ricchi. La debolezza dell’ICC concede agli americani di mettere impunemente sotto pressione alcuni stati da loro considerati “canaglie”, come il Sudan.

Insomma, sembra che il diritto penale internazionale non coinvolga le scelte degli Stati Uniti i quali, per legittimare le proprie guerre e le conseguenti distruzioni, hanno coniato l’espressione “danni collaterali”. È un’altra questione giuridica: ma il diritto penale internazionale accetta una tale formula?

Nella pratica il diritto penale internazionale accetta la distinzione fra danni di guerra causati intenzionalmente e danni che invece sono frutto di errore: un errore inevitabile, non previsto, dovuto alla necessità della guerra. Il danno collaterale è un reato solo quando viene causato “inutilmente”, cioè senza «necessità militare» e senza le dovute precauzioni (anche in questo caso, però, il reato viene perdonato dai tribunali corrotti, come l'ICTY, quando viene perpetrato dagli americani). La distinzione stessa pero è un tradimento dei principi di Norimberga, perché a Norimberga è stato riconosciuto che uccidere in una guerra illegale è un assassinio: l’illegalità dell’intervento armato, che qualifica gli americani come aggressori, non può assolverli dall’aver causato “danni collaterali”. Non è necessario che la morte dell’innocente non sia voluta. In Italia avete il concetto di ‘strage' nell'articolo 422 del Codice Penale: “Chiunque al fine di uccidere, compie atti tali da porre in pericolo la pubblica incolumità è punito, se dal fatto deriva la morte di una o più persona, con l’ergastolo”. Nessuna delle possibili difese riconosciute per legge (“L’esercizio di un diritto”; art. 51; “difesa legittima”; o “necessità”; art. 54) potrebbe assolvere un aggressore. Ma il diritto penale internazionale protegge il danno collaterale, rifiutando di trattare l’aggressione come un crimine ed interpretando i suoi statuti arbitrariamente per escludere il danno collaterale stesso dalla categoria dei crimini contro l'umanità

L’11 marzo 2006 si è spento nella prigione del Tribunale Penale internazionale all'Aja l’ex presidente jugoslavo Slobodan Milosevic. Il leader serbo era sotto processo per oltre 60 capi d'accusa, tra cui genocidio e crimini contro l'umanità relativi alla guerra nei Balcani. Questa risposta giuridica dell’ICTY, che si preparava ad emettere la sentenza definitiva, è stata fatta passare come una novità assoluta nel panorama internazionale. Come vede, Lei, questo processo? Era veramente colpevole Milosevic?

Il processo era una farsa fin dall'inizio. Il Milosevic è stato incriminato nel mezzo della guerra senza una qualunque investigazione, ovviamente per soddisfare gli aggressori della NATO, che hanno voluto una giustificazione per una campagna di bombardamenti che iniziava a disgustare il mondo. La mia vecchia collega Louise Arbur ha agito in un modo scandalosamente parziale quando si è trattato di esaminare le prove contro i serbi. La NATO era colpevole molto più di Milosevic, ma questo tribunale ha visto fondamentalmente se stesso come una divisione legale della NATO e non come un corpo giudiziale indipendente. La Serbia è stata ricattata e costretta a consegnare Milosevic in piena violazione della sua costituzione. I giudici che Milosevic ha affrontato sono stati selezionati dalla NATO. Quando il giudice inglese è morto nel mezzo del processo, la scelta del suo sostituto è stata affidata a Tony Blair! I giudici hanno rotto tutte le regole di imparzialità procedurale, malgrado la propaganda dei mezzi di comunicazione. La prova era debole e contraddittoria. Nessun tribunale vero avrebbe condannato Milosevic. Cosa che invece è avvenuta. In definitiva, l’unica vera sconfitta l’ha subita il diritto internazionale e non, come ha affermato qualcuno, il fatto che non si sia potuto emettere, per Milosevic, la sentenza di condanna definitiva al carcere a vita.

Da quanto detto, se escludiamo l’autodifesa e gli scopi umanitari, è chiaro che dobbiamo trovare le vere cause delle guerre americane: si tratta di un disegno imperialistico, come molti affermano?

Le discussioni legali erano tutte le cortine fumogene. Una volta evaporate, siamo stati lasciati in balia di un superpotere rapace, avido, con sempre meno da offrire al mondo, a causa dei suoi giganteschi livelli di consumo, se non un pugno di ferro. E questo pugno è abbastanza grande - gli americani spendono per i loro armamenti quanto venti nazioni occidentali messe assieme – per far sì che il potere rimanga nelle mani dei mediocri come Bush e di quelli che lo sostengono, perché possano vedere nella miseria del mondo la grandezza delle loro fortune personali, delle loro ambizioni insignificanti e delle loro folli ideologie.

A cura di Pietro G. Serra


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