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I Tempi della maturità per i Laici sono ancora lontani.
Ho visto Annozero, dalla prima all'ultima sequenza, con la massima concentrazione possibile. Devo confessarlo: non è stato facile vincere la noia. La domanda resta ineludibile: qual è lo stato di salute di un Paese in cui si ha bisogno di una trasmissione così per indignarsi o per gridare alla libertà d'informazione? Direi' pessimo. Comincio da Marco Travaglio e dalla commossa lettera indirizzata al suo maestro Montanelli: quel Montanelli sempre più celebrato, non solo come grande giornalista, ma addirittura come importante scrittore. Ma davvero l'Italia ha bisogno d'un mito cosi? Dell'inventore, in politica, della raffinata metafora del "votare turandosi il naso", del perentorio semplificatore d'ogni problema: in gloria dell'eterno piccolo borghese italiano, quello che ha fatto la peggiore storia nazionale.
A pensarci bene non è un caso che si sia iniziato con un omaggio del genere. Santoro, in tempi televisivi, non fa altro che colmare il vuoto lasciato da Montanelli: altrettanto fazioso e spiccio, altrettanto abile nel farsi carico di quel moralismo e di quel giustizialismo facile da cui una democrazia vera dovrebbe difendersi come dal peggior nemico. Altrettanto bravo, il Santoro, nel farci credere che il suo populismo forcaiolo, il suo perbenismo, rappresenti invece il non plus ultra della libertà e della spregiudicatezza civile.
Ma vengo al tema della trasmissione: Chiesa e pedofilia. Che Santoro ha orchestrato - di sicuro non aiutato dai due partners laicisti: lo spento Piergiorgio Odifreddi, il concitato giornalista della Bbc Colm O'Gorman - su un ripetitivo refrain: l'accusa alla Chiesa e a Ratzinger d'aver sempre man¬tenuto un atteggiamento di omertà nei confronti dei preti pedofili. L'impianto della trasmissione m'è parso di un anti-clericalismo davvero puerile. Che cosa si voleva dimostrare insistendo su un vecchio documento come il «Crimen sollicitationis» del 1962? Non ci sarebbe bisogno di dirlo: basterebbe un solo prete santo, uno solo, a garantire l'Istituzione, a salvarla per sempre. Cosi come resta puerilmente anticlericale la pretesa che la Chiesa – come ogni Istituzione di Potere costitutivamente votata alla sua sopravvivenza - non metta in atto, per lo scopo, tutte le risorse e la sua millenaria prudenza. La Chiesa non è più quella di Giordano Bruno: non ha il monopolio della forza, il potere di condannare al rogo. E non coincide con tutta la società: per questo, non possiamo chiederle di rinunciare al suo diritto d'azione e di parola. Come noi laici non possiamo rinunciare al nostro. Dalla Chiesa si può entrare e uscire: ma non si può chiederle d'accettare, nel suo seno, l'inaccettabile . Inaccettabile, piuttosto, mi pare la posizione di chi difende i suoi sacrosanti diritti, magari in nome di una diversa idea di natura da quella cattolica, ma che, nello stesso tempo, chiede il consenso del Papa. Ecco il punto: la Chiesa si guarda dentro, riflette, ma senza derogare ai suoi principi. Com’è emerso dalle serene parole di monsignor Fisichella. Ma noi laici siamo stati mai capaci d’accettare la condizione d’orfanezza in cui la morte di Dio ci ha precipitati? La nostalgia risentita e moralistica con cui, ad Annozero, si guardava al Papa e la Chiesa, alla loro autorità, la dice lunga: i tempi della maturità, per i laici, sono lontani.
Massimo Onofri
La Nuova Sardegna, 2 giugno 2007
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