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disamparada - una storia affascinante
Disimparada (La Guaritrice)
La Riflessione 2006
Pag. 252 – euro 15,00
E’ un libro che si legge d’un fiato, tanto la trama che assomiglia ad un rincorrersi, ad un accavallarsi di fughe e scoperte, assorbe, incuriosisce, affascina il lettore. Ma non si tratta certo di un dipanarsi di fatti, personaggi e sentimenti convulso e confuso. L’autrice che è solida ed esperta, sa guidare i rivoli, ma anche i torrenti impetuosi ed appassionati della sua storia, con accurata maestria. E’ un romanzo veloce ed indugiante assieme, in cui appare evidente una sedimentata conoscenza della Dettori del romanzo europeo del XIX secolo. Ma non si tratta di romanzo nato vecchio, tutt’altro: i personaggi, le trame, le invidie, gli amori, le inquietudini, le sofferenze, gli sforzi per combattere preconcetti ed antiche paure sono universali, sono senza tempo, o meglio sono tutto il tempo dell’umanità.
Certo il libro è inserito in un contesto storico, che è quello del XVII secolo, ed è inserito in una realtà geografica che è quella di un villaggio della Sardegna. Ma entrambi gli aspetti sono per l’autrice un pretesto, per narrare di umanità universale. Si potrebbe rilevare che il romanzo appare quindi come un romanzo storico, ma lo sfondo, l’ambientazione non sembrano sempre rigorosamente documentati come un esperto storiografo avrebbe voluto. Ma credo che il romanzo non debba necessariamente rispondere a simili esigenze. Uno dei più grandi romanzieri, Alessandro Dumas, che pure ambienta rigorosamente la storia dei tre moschettieri nella Parigi dei primi decenni del secolo XVII, fa passeggiare D’Artagnan in rue Servandoni, dimenticando che l’architetto fiorentino che dà il nome alla via, sarebbe nato circa un secolo dopo quella passeggiata e la strada gli sarebbe stata intitolata solo agli inizi del XIX secolo, ma naturalmente una tale licenza non credo influisca sulla eccezionale qualità artistica di quel romanzo di Dumas.
Per ritornare al bel romanzo della Dettori, che come si vede è in buona compagnia, credo che il fascino del suo racconto sia nella finzione narrativa libera, simile ad un gioco in cui si può costruire obbedendo solo alla propria fantasia ed alla propria creatività.
Il libro si muove analizzando i preconcetti, che impacciano, incattiviscono, incatenano gli esseri umani rendendo loro la vita più difficile, angusta e dolorosa di quanto non possa essere di suo. La protagonista del libro, che non casualmente è una donna, combatte i preconcetti e proprio da questi è avversata. L’ostilità crescente che sembra travolgerla inesorabilmente per distruggerla si scioglie d’un colpo: sono sufficienti poche parole liberatorie di un frate a svuotare l’incantesimo. Ciò appare come metafora della inconsistenza di tanti pregiudizi che angustiano, pesanti ed incombenti, il nostro mondo, ma pure in grado di essere annientati se appena si scoprissero i valori umani della razionalità, dell’intelligenza, dell’amore. E così il malato del romanzo condannato senza rimedio ritorna miracolosamente tra i sani, rigenerato da nuove consapevolezze e capace di aiutare gli altri a scoprire la verità oltre il preconcetto.
Certo la scelta della Dettori è quella di un romanzo ed è magica, e d’altra parte nell’economia del suo libro la soluzione non poteva essere sociologica, ma la comunicazione acquista la stessa pregnanza e aggiunge un patos emotivo avvincente e convincente.
L’augurio è quello di una buona, appassionante lettura, oltretutto il libro ha molte più cose da dire di quanto non faccia questo breve scritto.
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