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Forum: Musica

28 ottobre 2003

Khorakhanè (a forza d'essere vento)

Una delle ultime canzoni di Fabrizio DeAndrè.
Autore: Federico Razzoli

Khorakhanè (a forza d'essere vento) si trova su "Anime Salve", l'ultimo album di Fabrizio DeAndrè, scritto a quattro mani con Fossati.

Khorakhanè è il nome di una tribù zingara di origine serbo-montenegrina. L'amore infinito che DeAndrè riversava su chiunque possa essere definito un "avanzo" della società civile (ladri, assassini, prostitute, travestiti, drogati, pazzi, condannati a morte...) non poteva non toccare anche i nomadi. Quelli che ai semafori offendono il nostro senso della decenza, avvicinandosi con piedi e mani neri perchè non lavati da giorni, per chiederci una parte della loro paga giornaliera. Ma "se questo vuol dire rubare", "lo può dire soltanto chi sa di raccogliere in bocca il punto di vista di Dio". E Fabrizio, in Dio, non ci credeva.

Khorakhanè
(a forza d'essere vento)

Il cuore rallenta la testa cammina
in quel pozzo di piscio e cemento
a quel campo strappato dal vento
a forza di essere vento

porto il nome di tutti i battesimi
ogni nome il sigillo di un lasciapassare
per un guado una terra una nuvola un canto
un diamante nascosto nel pane

per un solo dolcissimo umore del sangue
per la stessa ragione del viaggio viaggiare
Il cuore rallenta e la testa cammina
in un buio di giostre in disuso

qualche rom si è fermato italiano
come un rame a imbrunire su un muro
saper leggere il libro del mondo
con parole cangianti e nessuna scrittura

nei sentieri costretti in un palmo di mano
i segreti che fanno paura
finchè un uomo ti incontra e non si riconosce
e ogni terra si accende e si arrende la pace

i figli cadevano dal calendario
Yugoslavia Polonia Ungheria
i soldati prendevano tutti
e tutti buttavano via

e poi Mirka a San Giorgio di maggio
tra le fiamme dei fiori a ridere a bere
e un sollievo di lacrime a invadere gli occhi
e dagli occhi cadere

ora alzatevi spose bambine
che è venuto il tempo di andare
con le vene celesti dei polsi
anche oggi si va a caritare

e se questo vuol dire rubare
questo filo di pane tra miseria e sfortuna
allo specchio di questa kampina
ai miei occhi limpidi come un addio

lo può dire soltanto chi sa di raccogliere in bocca
il punto di vista di Dio

Cvava sero po tute
i kerava
jek sano ot mori
i taha jek jak kon kasta
Poserò la testa sulla tua spalla
e farò
un sogno di mare
e domani un fuoco di legna

vasu ti baro nebo
avi ker
kon ovla so mutavia
kon ovla
perché l'aria azzurra
diventi casa
chi sarà a raccontare
chi sarà
ovla kon ascovi
me gava palan ladi
me gava
palan bura ot croiuti
sarà chi rimane
io seguirò questo migrare
seguirò
questa corrente di ali

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