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19 luglio 2007

PER TARANTO

Come la servitù militare di questa città ha deviato e trasformato il modo di vedere dei tarantini
Autore: ALDO C. MARTURANO

PER TARANTO

Dopo anni di assenza dalla città natìa quando vi si ritorna naturalmente si rimane sempre delusi per lo sviluppo che si era sperato trovare e che invece non c’è. Si cercano i motivi di tale insuccesso (a seconda dei punti di vista) negli stereotipi che qualcuno ci ha appiccicato sul groppone come accidia, dolce far niente, clima caldo, sud degradato etc. etc. In verità sono migliaia sebbene pochissimi abbiano dei fondamenti reali, ma restano come marchi a fuoco sulla nostra pelle. Tanto che a volte si ha vergogna di dire: Sono nato là!
Sfacelo, ruberie a livello istituzionale, strani attaccamenti alla religione cattolica a livello popolare, costruzioni senza senso sorte col solo scopo di impressionare il passante, degrado della Città Vecchia (ma anche della Città Nuova) sono tante altre cose che ci fanno crescere un magone grosso così. Per uno come me che fa lo storico di professione, si va poi a cercarne i motivi almeno per potersi giustificare e confrontare con realtà più dinamiche e più avanzate come sono la vicina Bari o, persino, Lecce. Ed ecco che salta agli occhi proprio tutta la storia di questa città, destinata già mille anni fa a stare in coda alla Roma imperiale, passata attraverso arabi e bizantini, patria di personaggi anche abbastanza celebri in qualche campo dello scibile, ma che poi nessuno ricorda più. A mio avviso tutto è cominciato dopo l’Unità d’Italia con la decisione di legare Taranto ai bisogni militari del nuovo stato italiano e questo servaggio ha deciso il destino degli ultimi cento anni della città e dei suoi cittadini.
Leggo nell’articolo a firma di Mario Scionti, Indagini Ricerche e Documentazioni redatte…, in LA CITTA’ AL BORGO, Mandese 1983, come alle richieste del Consiglio Comunale sui bisogni della città ad espandersi sulla riva dell’odierno Borgo, dato che l’altra riva era impegnata dal Porto Mercantile e dalla Ferrovia, soltanto dopo un anno dalla richiesta, nel 1862, il Ministero della Guerra accettò di rispondere… in piccola parte e imponendo severe condizioni! Nella nota 4 riportata dallo stesso Scionti si legge che Il M.d.G. in una lettera al sottodirettore del Genio Militare di Taranto del 18 aprile 1862 chiede che (in altre parole impone) “… le aree delle fortificazioni da demolire a spese del Comune rimangano libere e non siano alienate né edificate e all’incontro potrà essere permessa la fabbricazione…purché…” dettando tutte le condizioni minuziosamente imprescindibili. Non andrò oltre nella ricerca delle varie servitù che furono imposte a questa città da quel momento quanto invece dirò che in pratica lo sviluppo civile e demografico della gente non fu considerato come necessario dalle autorità militari visto il piccolo numero di abitanti, mentre fu considerato prioritario lasciare i terreni liberi (o con l’opzione dell’esproprio forzato) intorno all’Isola della Città Vecchia affinché i bisogni militari avessero tutto lo spazio necessario ad essere soddisfatti con immediatezza.
E così è passato più d’un secolo da quando Taranto è stata militarizzata e chiusa nella ferrea morsa dell’ideologia della guerra. Poi è scoppiata l’ultima guerra mondiale voluta e sostenuta dai fascisti e i tarantini sono stati “cacciati” (si diceva sfollati) dalle loro case a causa del pericolo di essere bombardati. La stessa rada di Mar Grande è stata per anni ingombrata da residui di scafi mezzo affondati, tanto che le navi mercantili che venivano a scaricare il carbone fossile per le Ferrovie a volte erano quasi impedite ad entrare se il tempo era particolarmente ventoso! E i pescatori? Anche questi coi loro pescherecci di media taglia dovevano stare attenti a mine galleggianti e ai relitti. Ma perché i relitti non si eliminarono subito questi pericoli?
A parte l’orgoglio del fotografo ufficiale e tradizionale tarantino di ritrarre il ponte girevole come attrattiva e simbolo della città, questo aggeggio non aveva un ruolo secondario nella vita cittadina. Anzi! Al passaggio delle navi da guerra fatto sempre nella luce del giorno si apriva e spaccava la città in due, senza alcuno scampo per chi non avesse fatto in tempo ad andare dall0’altra parte! File di autobus si formavano in attesa della chiusura… Né la Marina dette mai autorizzazioni a costruirne uno di pietra fino a pochi anni fa come quello che oggi si chiama Ponte di Punta Penna-Pizzone perché disturbava la base! Eppure anche Taranto vanta monumenti ed antichità famose! Nessuna autorità però ebbe mai i fondi necessari però per il loro mantenimento o ricostruzione fino a qualche anno fa! La ragione? Sempre la stessa: Gli scavi non sono permessi, sebbene si sappia dai documenti che l’Arsenale stesso è stato costruito su una necropoli e sui templi annessi! Dunque i monumenti potevano anche continuare a decadere, come l’anfiteatro che rimase sottoterra perché o si trovava lo spazio per edificare le case dei nuovi borghesi ricchi o dei vecchi nobili oppure occorreva spostarsi lontano dalla città (Statte, Martina etc.) e sempre per colpa dei vincoli militari! Insomma tutta la vita della città era condizionata dalle attività militari della Marina da Guerra!
E’ chiaro che ciò causò la nascita di atteggiamenti, abitudini di vera rinuncia a qualsiasi lotta contro un nemico invisibile, ma potentissimo. Naturalmente per il controllo sociale della gente lavoratrice fu richiesta e trovata una trionfale alleanza con la nobiltà locale e con la chiesa cattolica che insieme esaltavano, forse era la moda del tempo, l’eroismo dei marinai e dei soldati morti, ma poi inauguravano monumenti e targhe di vie dedicati solo a persone altolocate e senza alcuna rinomanza culturale degna d’essere ricordata dalla popolazione tutta! La toponomastica della Città Vecchia è, a mio avviso, l’unica rimasta intatta da questa invasione di nomi ingloriosi e sconosciuti ai più. Persino il grande Giovanni Paisiello, nel ‘700 diventato direttore dell’odierno Teatro Marinskii di San Pietroburgo, non ebbe un monumento fino a pochi decenni fa! Addirittura l’unico teatro che c’era nella Città Vecchia fu demolito e mai più ricostruito e le opere di Paisiello dovevano essere rappresentate in altre lontane città! Il grande musicista infatti non era nobile né era santo come il Beato (ora santo) Egidio da Taranto e quindi non serviva ricordarlo!
Mi fermo qui per non dover riempire pagine e pagine di questi obbrobri perpetrati nel passato, benché poi vorrei discutere sul tarantino e sulle sue frustrazioni collettive ataviche dovute proprio alle servitù militari che questa città ha subito per tanto tempo.
All’unità d’Italia la città conta poche migliaia di persone che dipendono per la loro vita dalle attività marinare: pescatori, mitilicultori e simili. Nell’entroterra peraltro il contadino c’è e nelle sparse masserie rurali trae il suo sostentamento insieme al rappresentante del padrone latifondista (di solito costui risiede a Napoli, l’ex capitale del Regno Borbonico) dalle coltivazioni che riesce a fare oltre a quelle che rendono meglio sul mercato e che quindi il padrone ordina di preferire. Soprattutto il commercio del vino locale, diventato vino da taglio e non buono per i palati delicati per volontà di qualche ignoto uomo politico affarista, o anche quell’olio d’oliva fiorisce col nord del paese. Quando poi viene deciso l’armamento moderno della città ossia la costruzione della Base Navale Militare, alla gente locale viene offerto in cambio dello sconvolgimento del suo territorio qualche centinaio di posti di lavoro da manovali, abbandonando perciò il lavoro tradizionale marittimo! Ai giovani si offre la possibilità di arruolarsi nella Marina, ma senza alcuna speranza di salire lungo la scala delle gerarchie poiché a Taranto non esisterà nessuna Accademia! I gerarchi militari verranno dal nord e nelle condizioni di povertà e di sottosviluppo della città si barricheranno sempre più nei loro palazzi riservati e recintati, evitando accuratamente il contatto con i rappresentanti del popolo al Comune e invece coltivando i legami con la chiesa e la nobiltà che sono la loro difesa dalla barbarie popolana. Persino agli equipaggi delle navi sarà vietato (consigliato!) di far comunella coi locali e di evitare la Città Vecchia perché “pericolosa”!
A poco a poco il tarantino viene schiavizzato e indottrinato all’obbedienza cieca e perde la sua individualità politica. Quasi il 70 % della popolazione attiva risulta dipendente dell’Arsenale negli anni 70-80 e quindi sottoposta a controlli sindacali e a selezioni sociali talvolta insopportabili, ma ineludibili visto che la politica è fatta a livello locale per molti anni sempre e solo dalla nobiltà e dal latifondo, ambedue interessati ad avere buone relazioni con la Marina per i loro affari di compravendita!
C’è qualche pionieristico tentativo imprenditoriale come la costruzione dei Cantieri Navali del Mar Piccolo, ma a quale prezzo e con quali limitazioni! Certo ci sono le imprese agricole che producono l’olio o il vino, legumi mediterranei e prodotti caseari non ben conosciuti sul mercato nazionale e dunque di bassissima rendita, ma che farne dei disoccupati esistenti? Non parliamo poi delle cooperative di pescatori che per i troppi impedimenti posti dalle autorità navali languono in una continua litigiosità e mancanza di crediti dalle banche locali, salvo il ricorso agli strozzini locali.
Una cosa che subito si nota è la volontà di tenere Taranto isolata dal resto della regione… per ragioni militari. La ferrovia non viene modernizzata che molto tardi (nell’ultimo dopoguerra e non è ancora oggi completata), le strade sono pochissime col resto del nord: con Bari ad es. c’è solo una strada costruita dal fascismo con spirali impossibili sulla quale un veicolo del 1960 per coprire i 70 km di distanza in linea d’aria fra le due città pugliesi impiegava circa due ore! Il Porto Mercantile non viene né ingrandito né meglio attrezzato e la ragione è semplice: Non si vogliono navi estranee che passino per Mar Grande a spiare quanto la Marina Militare ha di segreto! E così niente linee marittime con nessuna altra costa come invece ce le ha Bari o Brindisi persino con nazioni “ostili” come Albania e Jugoslavia!
E se un ragazzo si vuole emancipare studiando? Niente di più impossibile: L’unica università più vicina è a Bari (fondata nel 1925!) mentre il Liceo scientifico Battaglini a Taranto ha meno di 50 anni! La Marina incoraggia invece il sorgere di scuole per artigiani perché è soltanto di operai che ha bisogno e non di intellettuali e tanto meno di ricercatori politicamente inaffidabili!
A lungo andare l’impossibilità a creare un’industria locale, l’impossibilità di emanciparsi attraverso lo studio, l’isolamento forzato creato persino dalla burocrazia statale che si adopera ad impedire una troppa mobilità dei cittadini (nei rilasci dei passaporti ci vuole sempre il nulla osta della Marina, testimonianza personale di un Comandante dei Carabinieri ora in pensione!) porta il tarantino a sognare di emigrare, a sognare di cercare lavoro al nord o all’estero oppure a sognare di entrare nel circuito lavorativo statale rappresentato anche in questo caso dalla Marina Militare!
Neanche l’amore trova libero sfogo in questa città, se uno dei partners è legato alla Marina!
Finalmente nel 1964 lo stato centrale decide che la città debba diventare la fornitrice di tubi speciali per la costruzione del grande gasdotto da Urengòi a Trieste e poi quello dall’Algeria alla Sicilia (il gas importato viaggia liquido sotto pressione). I contratti sono previsti durare una ventina d’anni e possono dare lavoro a molta gente sia nel momento della costruzione che successivamente durante la produzione dei tubi. Comincia così una gara di corsa fra Roma e Taranto dei politici e degli affaristi per ottenere il beneplacito della Marina, la quale ormai prevedendo la sua smobilitazione per lo sviluppo che stanno avendo le forze aeree e la guerra condotta non più nel modo tradizionale e in cui il Mediterraneo non rappresenta più un mare da controllare, rinuncia (ma parzialmente) alla sua “tutela” del territorio e lascia la parte meno interessante del territorio intorno alla propria base perché si costruisca il Centro Siderurgico, affinché si ampli e riattrezzi il porto (ringrazio Rocco Tancredi per le informazioni a riguardo). Permette persino la presenza di compagnie private come la Shell (Cementir e Italsider sono compagnie dell’IRI a quei tempi) perché questa garantisce, se fosse il caso, la nafta per navi anche alla Marina.
Sorge un problema politico in quegli anni del dopoguerra: Il PCI! Quasi tutti gli operai dell’Arsenale Militare sono sindacalizzati, ma con i sindacati cosiddetti gialli ed ora con i nuovi operai al Siderurgico (quelli specializzati vengono anche dal nord) c’è la minaccia che il PCI e dunque la CGIL riesca ad avere un peso sempre maggiore nel mondo del lavoro locale. C’è un senatore comunista più ribelle degli altri che va fronteggiato e affrontato per isolarlo: Odoardo Voccoli! Una vox clamans in deserto… sebbene i socialisti abbiano anch’essi un gran peso alle elezioni locali e nazionali…
Tutto questo è forse un segno che la città si sta risvegliando? Ha capito di doversi liberare del manto di piombo della Marina? Ma come, se ancora la maggior parte dell’economia cittadina dipende dalla guerra, pardon! dalla difesa negli anni ‘70?
Ecco questa è Taranto e di qui nasce quella odierna: quella del Palazzo degli Uffici in ristrutturazione da decenni, quella del risanamento della Città Vecchia mai completato, quella del Museo Nazionale in decadenza, quella de Talassografico in quiescenza, quella dell’allegra sindachessa Di Bella o di Cito, ma anche quella del Serafico Pompiere Sociale e defunto Mons. Motulese o quella di Diego Maturano, poeta socialista e democratico che si rifiutò molte volte benché ne fosse continuamente sollecitato a prendere la tessera del PNF.
Dulcis in fundo, Taranto mi parsa ancora oggi pochissimo mutata quando, profondamente offeso per questo, nella visita del Presidente Napolitano di qualche settimana fa questo grande comunista è stato costretto a partecipare alla Festa della Marina Militare all’interno dei famosi Muraglioni militari senza poter dare un saluto alla città passando per le vie dove tanta gente l’avrebbe calorosamente accolto!

© 2007 Aldo C. Marturano

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