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Florido e il monito di Malalai Joya
Sembra quasi che dalle nostre parti ci si diverta a farsi ridere dietro. Ma se spesso e volentieri ciò accade entro le nostre mura, questa volta abbiamo voluto esagerare. E così l’altro giovedì mattina, sin dalle prime ore della giornata, Taranto e la sua provincia erano in bella mostra sulla home page del sito del quotidiano Repubblica. La notizia è di quelle che ad una prima lettura si è portati a pensare ad uno scherzo di qualche hacker buontempone. Solamente che visti anche i tempi che corrono sulla libertà di stampa e via discorrendo, ben presto ci si accorge che siamo di fronte all’ennesima figuraccia consumata dalla nostra classe dirigente.
“La giunta provinciale di Taranto è stata annullata perché non rispetta le quote rosa così come dispone il regolamento dell'ente. Lo ha deciso il Tar di Lecce accogliendo il ricorso di un comitato cittadino (Taranto Futura), che ha chiesto l'annullamento delle nomine degli assessori perché tutti maschi. I giudici della sezione amministrativa (presidente Aldo Ravalli) hanno ordinato al presidente della Provincia, Gianni Florido, del Pd, di modificare la giunta entro trenta giorni in modo da assicurare la presenza di entrambi i sessi nell'esecutivo, composto ora da dieci assessori, tutti maschi”.
E ciò che sgomenta ulteriormente è che a commettere una “leggerezza” di tale portata, sia stata una giunta di centrosinistra peraltro appena eletta, con presidente Gianni Florido. Ora, premesso che la parità sessuale in questo paese sembra un’utopia, lascia davvero perplessi un “errore”(?) del genere. O forse, molto più semplicemente, si é trattato di una svista figlia di un’arroganza dettata da un’ignoranza e da un attaccamento al potere e alle poltrone davvero stucchevoli. Che nel 2009 andrebbero combattuti in maniera frontale e decisa, visto che da oltre 30 anni veniamo gestiti da politici che hanno preso il compito di amministrare la cosa pubblica come fosse una partita di bocce o giù di lì.
E allora, vista anche l’attualità del dibattito nazionale e internazionale sulla missione in Afghanistan, e visto e considerato che da sempre noi occidentali ci riteniamo migliori di tutte le altre culture e società presenti nel mondo, finendo poi per gestire lo Stato in egual misura e maniera, se non addirittura in maniera peggiore, credo sia giusto riflettere, e seriamente, su quanto accaduto nella nostra provincia. E per farlo vi lascio alle parole e alla storia di una donna afgana, Malalai Joya.
Era il dicembre 2003. A Kabul era stata convocata la Loya Jirga, il tradizionale gran consiglio afgano, per scrivere la nuova costituzione del Paese. Erano riuniti cinquecento mullah, comandanti mujaheddin, capi tribù e rappresentanti locali provenienti da tutte le province dell'Afghanistan. Tra questi c'era anche una sconosciuta ragazza di 25 anni, Malalai Joya, di Farah, provincia occidentale confinante con l'Iran. Era stata scelta come rappresentante perché lei, assistente sociale, conosceva bene i problemi della sua gente, soprattutto la drammatica condizione delle donne da lei assistite. Stupita per la presenza alla Loya Jirga di tanti famigerati signori della guerra e comandanti fondamentalisti, Malalai prese la parola, cambiando per sempre il corso della sua vita.
“Il mio nome è Malalai Joya della provincia di Farah”, disse Malalai. “ Con il permesso degli stimati presenti, in nome di Dio e dei martiri caduti sul sentiero della libertà, vorrei parlare un paio di minuti. Ho una critica da fare ai miei compatrioti, ovvero chiedere loro perché permettono che la legittimità e la legalità di questa Loya Jirga vengano messe in questione dalla presenza dei felloni che hanno ridotto il nostro Paese in questo stato. (...) Essi sono coloro che hanno trasformato il nostro Paese nel fulcro di guerre nazionali ed internazionali. Nella nostra società sono le persone più contrarie alle donne, e quello che volevano... (clamori, si interrompe). Sono coloro che hanno portato il nostro Paese a questo punto, e intendono continuare nella loro azione. Credo sia un errore dare un'altra possibilità a coloro che hanno già dato tale prova di sé. Dovrebbero essere portati davanti a tribunali nazionali e internazionali. Se pure potrà perdonarli il nostro popolo, il nostro popolo afgano dai piedi scalzi, la nostra storia non li perdonerà mai”.
Gianmario Leone
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