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Un tipo finlandese
Fra le tante cose che ci ha dato Roma il 18 marzo (le strade e le piazze che abbiamo attraversato, i monumenti ogni volta più incredibilmente veri, l'allegria della gente, i colori, 'la bandao' strepitosa di Poggibonsi, e le ragazzine che avanzavano nel corteo a passo di danza sul ritmo dei tamburi, una marea animata di gente) la cosa più bella erano i sorrisi delle persone: quello di Giuliana Sgrena che si è aperto su un viso serio e sofferto, di uomini e donne non più giovani avvolti nelle bandiere iridate che si riconoscevano e si abbracciavano, di ragazzine col viso dipinto col segno della pace, quel ragazzo con lo sguardo sognante che cantava tra sé e quell’uomo goffo con la bandiera rossa che ballava di gioia...
C’era un senso diffuso di contentezza per essere lì, in una città magnifica in una luminosa giornata di primavera: quel cercarsi continuo con gli occhi, e la curiosità di vedere cosa c’era scritto sui cartelli e sugli striscioni, il cavalluccio di cartapesta col Berluskan...
Ognuno a suo modo esprimeva un proprio sentire, dai cittadini americani con le loro bandiere, ai gruppi di partito organizzati, a quelli in bicilcletta, le famiglie, i singoli con un cartello scritto a mano con la frase del cuore : 'il sonno della ragione genera mostri'...
Io avevo a fianco la mia bambina compunta che controllava se stavo composta e ogni tanto rientrava nel gruppetto delle amiche a ridere e commentare. Abbiamo camminato tanto e sembrava che avremmo continuato ancora...
Quando siamo arrivati in piazza Esedra i comizi erano finiti da tempo e la gente cominciava a riporre striscioni e bandiere, a gruppi si salutavano e si separavano.
Mancava un finale da ricordare, ma c’era una grande bandiera iridata stesa a terra nel centro della piazza; alcune persone sedevano sui bordi chiacchierando a gruppetti e qualcuno s’era disteso per far ridere gli amici, come a esibire la stanchezza per la lunga marcia; altri, sorpresi e incuriositi, scaricavano sulla scena le ultime foto.
Io mi ricordo il sorriso di un tipo 'finlandese', a cui mando un saluto da Venezia.
Poi tutti in fila al panificio in Campo dei Fiori (ultrastrapieno di fiori) per un trancio di pizza e di nuovo a piedi fino al Colosseo, come un fiume al tramonto che va verso la foce.
Siamo saliti sulla metro fino a Ponte Mammolo, in compagnia di quei ragazzi romani che si prendevano in giro a vicenda vociando prima di separarsi con abbracci a fermate diverse.
E poi, un altro viaggio nella notte verso casa, stanchi ma contenti, attraverso il paesaggio spaziale dell’autostrada.
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ps: di situazioni incresciose a cui accennano alcuni giornali noi non abbiamo avuto alcun sentore.
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