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30 marzo 2003

L'Iraq raccontato dai media tra censura e imparzialità

Analisi sulla copertura dellla guerra nei media USA
Autore: Aniello Margiotta
Fonte: FEDERICO RAMPINI - 30.03.2003 - Repubblica.it

Per il 58 per cento degli statunitensi il diluvio di notizie
sull'avanzata dei marines verso Bagdad "trasmette molta paura"

Ma giornali e tv concordano: il conflitto va male
di

SAN FRANCISCO - Here is Abc, Good Morning America. Alle sette del mattino il nostro weekend comincia attorno al tavolo del breakfast con il familiare talkshow televisivo che Charles Gibson e Diane Sawyer animano da vent'anni. Oggi neppure Good Morning America cerca toni leggeri, si apre con un notiziario che è un pugno nello stomaco. "Bush avverte: sarà lunga, avremo altre vittime". Segue l'intervista dal fronte a Paul Ragan, psichiatra dell'esercito che segnala tra i soldati un aumento dei casi di combat-stress, "depressione, angoscia, panico". Alle otto The Early Show sulla Cbs si collega con il colonnello Will Grimsley della First Infantry Division, racconta il primo attentato-kamikaze: "Un'auto si è avvicinata al posto di blocco, quando i nostri quattro soldati si sono avvicinati il guidatore si è fatto saltare per aria. Tutti morti".

La guerra che i mass media ci raccontano ha cambiato volto anche qui. E' finita la guerra di plastica dei primi giorni, finiti i wargame hollywoodiani, i cartoni animati sulle bombe intelligenti commentati da generali in pensione. Arrivano notizie di una guerra vera e terribile. Il 42% degli americani si dicono "stanchi" di guardare le riprese televisive dall'Iraq ma tutti rimangono incollati allo schermo. Per il 58% il diluvio di news dal fronte "trasmette paura". Perfino le previsioni meteorologiche ci aggiornano sul tempo che fa nel Golfo. Dio usa le guerre per insegnare la geografia agli americani, scriveva il giornalista Ambrose Bierce, inviato al fronte nel 1914.

La stampa è dubbiosa e severa. Il San Francisco Chronicle apre su "Strage di civili a Bagdad" e "I marines bloccati in attesa di rinforzi". Il New York Times ha un'analisi su "Le due versioni della guerra", quella ufficiale di Washington, e quella dei militari Usa in Iraq. Sono i titoli che fanno impazzire Fox News, il network più vicino a Bush. All'ora del lunch irrompe sullo schermo della Fox Bill O'Reilly, il nuovo guru del giornalismo di destra, e fa il processo al New York Times: "Questo è disfattismo. Distorcono tutto, a leggere loro abbiamo già perso e sta vincendo l'Iraq, mentre è vero il contrario".

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Il Tg della Fox apre sulla notizia che "Terroristi di Al Qaeda combattono al fianco degli iracheni a Bassora", da una fonte militare britannica. Segue un servizio sulla distribuzione di acqua e cibo a Umm Qasr, con il capitano inglese Roger Robinson Brown che dice: "Abbiamo bisogno di far vedere queste immagini, dobbiamo convincere gli iracheni che siamo qui per aiutarli". Ma basta spostarsi sulla Cnn ed ecco da Bassora l'inviata Christiane Amanpour: "I soldati inglesi cercano di familiarizzare con la popolazione ma non è facile superare la diffidenza. Gli sciiti non hanno dimenticato come l'America li illuse e poi li tradì nel 1991, abbandonandoli alla vendetta di Saddam".

Nel pomeriggio il celebre anchorman della Nbc Tom Brokaw prende le redini della interminabile diretta televisiva Target Iraq. Brokaw si collega con l'inviato David Bloom al seguito della Third Infantry Division, lo interroga sulla dura dichiarazione del generale William Scott, secondo cui "questa non è la guerra che avevamo studiato a tavolino". "Tom, qui i soldati la pensano come il generale. Siamo interrati nelle trincee e non pensavamo di doverci stare così a lungo. Acqua e benzina cominciano a scarseggiare". Un altro servizio da Bob Arnot che è con i marines: "Il nemico sa tutto su di noi, usano vedette che si spostano sui cammelli e comunicano con i cellulari. La loro tecnologia povera vale quanto le nostra armi più sofisticate, i loro commandos non temono i nostri reparti speciali".

Su Abc Peter Jennings annuncia i servizi speciali di stasera: "Perché stiamo perdendo la battaglia della propaganda nell'opinione pubblica araba".
All'ora di cena arriva il vecchio Dan Rather con la sua voce baritonale, un simbolo del giornalismo americano dai tempi della guerra del Vietnam. Rather apre il Tg Cbs Evening News sulla Casa Bianca: "Sono passati dieci giorni da quando il presidente ha annunciato che eravamo in guerra. Se qualcuno sperava che l'avremmo già vinta, a quest'ora la delusione è brutale. Il 55% degli americani oggi pensa che abbiamo sottovalutato gli iracheni. Ma il presidente si infuria quando i giornalisti gli chiedono perché".

Alle nove di sera da Larry King sulla Cnn torna un po' di ottimismo con il generale di stato maggiore Peter Pace: "Il regime di Saddam non controlla più il sud, l'ovest e il nord dell'Iraq. Se fossi a Bagdad a quest'ora comincerei ad essere nervoso". Cnn manda in onda immagini di manifestazioni che si sono tenute oggi in diverse città americane, stavolta a sostegno delle truppe Usa in Iraq. Non molto affollate, ma fanno notizia. "Una parte dell'opinione pubblica pensa che oggi bisogna dare prima di tutto appoggio e solidarietà ai nostri soldati". E' la stessa ragione per cui il consenso a Bush regge, malgrado lo shock di una guerra che ha smentito i piani e tradito ogni attesa.

A tarda notte l'ultima parola spetta al talk show satirico di Jay Leno su Nbc: "L'hanno chiamata Operation Iraqi Freedom. Stavano per chiamarla Operation Iraqi Liberty ma si sono accorti che le iniziali erano O.I.L. (petrolio)". Di questo conflitto gli americani continuano ad avere una rappresentazione parziale dai loro mass media. Le immagini su morti e feriti civili in Iraq vengono date con il contagocce. "Sono atroci, cerchiamo di non turbare la sensibilità dei telespettatori", tenta di giustificarsi Wolf Blitzer su Cnn. Dilagano le interviste alle vedove di guerra, alle mogli dei prigionieri Usa, che "coprono" naturalmente solo una metà di questo conflitto. Ma anche con questi limiti, da tv e giornali arriva chiaro il messaggio che il conflitto sta andando male. E quando la Casa Bianca comincia a litigare con i suoi generali e ad accusare i mass media di disfattismo, per molti americani scattano ricordi inquietanti e improvvise analogie con il Vietnam.

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