Forum: Segnalazioni
la militarizzazione dell'informazione in Irak
http://www.ilmanifesto.it/oggi/art26.html
La polizia dei giornalisti
Guardie private per la Cnn, l'informazione è militarizzata
AMEDEO RICUCCI
Solo poche righe sono state dedicate domenica, dalla stampa italiana, alla notizia che a Tikrit una troupe della Cnn ha risposto al fuoco di un gruppo di fedayn che ne ostacolava, armi in pugno, l'ingresso in città. E' passata infatti sotto silenzio la scelta fatta dal network di Atlanta di ricorrere a una società privata per garantire la sicurezza in Iraq dei propri giornalisti non «embedded». La società in questione si chiama Ake Group ed é un'agenzia inglese di body-guard molto speciali, specializzati nella sopravvivenza «in ambienti ostili» e reclutati soprattutto fra ex-marines, Delta Forces e Sas. Sono stati i mercenari della Ake, armati di tutto punto, a garantire alla Cnn il passaggio clandestino della frontiera fra la Turchia e l'Iraq. E sono stati sempre loro ad organizzare il convoglio della Cnn e di altri grandi network americani che ha attraversato qualche giorno fa la frontiera giordana, in direzione di Bagdad. Ufficialmente, solo a Tikrit la scorta della Ake Group avrebbe aperto il fuoco, per «leggitima difesa». Reporter Sans Frontieres ha già duramente stigmatizzato questo comportamento, che inaugura di fatto un nuovo modo di fare giornalismo, contrario a tutte le regole della professione. «E' un precedente molto pericoloso - ha dichiarato il segretario di Rsf, Robert Menard - che rischia di mettere in pericolo tutti gli altri giornalisti che stanno coprendo la guerra». «Una cosa è indossare giubbotti anti-proiettili e muoversi in auto blindate - ha aggiunto - altro è ricorrere a società private che non esitano a sparare. Così si finisce per non distinguere più i giornalisti dai combattenti».
A pensarci bene, in realtà, la scelta della Cnn è del tutto omogenea alla logica del Pentagono, che ha fatto di tutto per «militarizzare» l'informazione su questa seconda guerra in Iraq. Incastonando i giornalisti nella propria macchina militare, il Pentagono ha dato infatti all'opinione pubblica internazionale l'illusione di una guerra «in diretta», che però veniva vista tutta dalla parte della coalizione anglo-americana. Telecamere e macchine fotografiche sono state sempre accuratamente posizionate sui tank oppure dietro i soldati a stelle e striscie, mai dietro gli iracheni, generando in noi spettatori un'efficacissima quanto ineludibile sensazione di partecipazione alla «liberazione» del Paese. E non a caso, quando la prospettiva si é invertita - come per i giornalisti indipendenti, non «embedded», rimasti a Bagdad sotto i bombardamenti - la cronaca di questa guerra si è fatta più realistica, a volte drammatica. Con tutti i rischi del caso, vedi le cannonate finite «per errore» sui giornalisti che stavano all'Hotel Palestine.
A guerra finita, ci sarà molto da riflettere sulla copertura che hanno offerto i media e, soprattutto, su come rischia di cambiare il loro ruolo. Ma è significativo che il Pentagono si dichiari già «molto soddisfatto» della sua nuova politica di «apertura», dopo che per anni i media erano stati tenuti il più possibile lontani dal campo di battaglia. Come ha spiegato alla Afp il numero due dell'Ufficio Stampa del Pentagono, Bryan Whitman, «grazie ai quasi 600 giornalisti che sono stati incorporati nella macchina bellica siamo riusciti a far vedere come sono ben equipaggiate, addestrate, dirette e motivate le forze armate americane». La «militarizzazione» della Cnn, con le sue guardie del colpo che sparano a destra e a manca, è da questo punto di vista solo la punta dell'iceberg, in un meccanismo complesso che rischia di stravolgere le regole dell'informazione, minacciandone l'indipendenza e l'autonomia. A farne le spese, come sempre, è l'opinione pubblica, cui la guerra viene servita sempre di più come uno spettacolo pre-confezionato, destinato soprattutto a non turbare le coscienze.
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