Forum: Segnalazioni
propaganda e rock per gli irakeni da radio Sawa
http://www.lastampa.it/edicola/sitoweb/Esteri/art4.asp
CANZONI, NOTIZIE E «SOFT POWER»: RADIO SAWA, L’EMITTENTE USA IN ARABO
Jennifer Lopez e Bush, libertà via etere
15/4/2003
LA musica è struggente, le parole flautate: «Tu che mi hai strappato il cuore...». Stacco. Omar Hakim, idolo delle teenager forbite dell’università Al Ahzar, Il Cairo, come delle spianate accaldate della Mecca, pesta la batteria su melodia arabeggiante. Stacco. La musica è struggente, le parole flautate: vi si parla di ascesa a caduta (di un amore, ma la dinamica è la stessa per le tirannidi). Sting e Craig David, idoli delle teenager dei salotti di Londra come dell’asfalto di Brooklyn, intonano «Rise and fall». Melò arabo tardoromantico e pop industriale anglo-americano occupano, in rapida successione, l’etere sopra Baghdad. Sono le 20,30 dell’Iraq nuova èra, onde medie 1548, e questa è Radio Sawa: la Radio Londra della prima guerra del Golfo postmoderna, dopoguerra in modulazione di frequenza, versione americana spiegata a un popolo-alias-pubblico arabo. Serve altro per correre ad ascoltarla? No: anche perché a Radio Sawa, il broadcast trasmesso da Washington in lingua araba nelle principali capitali musulmane, è affidato il compito più impervio, e probabilmente di lunga durata, del dopoguerra: la missione della colonizzazione culturale, convincere gli iracheni che George W. Bush «non è un lupo» (parola attestata nel gr delle nove di sera), «gli americani entrano a Baghdad da liberatori», «i curdi otterranno finalmente giustizia» e insomma, signori e signore, se non vi bastano questi argomenti: ecco a voi l’ultimo di Jennifer Lopez. Per chi volesse, onde corte di Amman 98.1, Kuwait City 95.7, Dubai 90.5, Abu Dhabi 98.7, Doha 92.6, ma da qualche giorno Radio Sawa sta trasmettendo senza posa da Baghdad. Utilizza, in parte, i C-130 che fanno da appoggio alla neonata tv angloaraba «Toward freedom» (verso la libertà), ma potrebbe farne a meno: le bastano le onde medie in modulazione di frequenza. La si capta con un satellite, una parabola oppure Internet: radiosawa.com. Questo è ciò che si è visto (sul sito) e sentito in due giorni, con l’aiuto di una traduzione dall’arabo, nella «radio dei liberatori»: si è ascoltato a ripetizione il discorso del presidente Bush (lanciato in ogni giornale radio, potrebbe venire a noia anche ai meglio disposti). Si è notato che a quello del premier inglese Tony Blair è stato concesso molto meno spazio: diciamo, un rapporto di quattro a uno (secondo legge ferrea del dopoguerra postmoderno: tot soldati impegnati, tot ore di diretta radio). Si è constatato, quindi, che l’offensiva curda a Nord, con annessa presa di Kirkuk, Mossul e Tikrit, è stata raccontata con un avverbio che denota il tono delle aspettative che aveva generato: «Finalmente». Baghdad viene descritta con lo stesso aggettivo usato da Cnn, «ugly», brutto posto: soltanto, nella lingua del Corano. È il lieto fine della guerra postmoderna, le informazioni asimmetriche in inglese e arabo dicono, infine, la stessa cosa? Musica: dopo la pioggia (di bombe), «Purple rain» (di Prince). È il soft power, come esportare la democrazia con una canzonetta, o un’illusione (acustica)? Sarà per via della tendenza mediorientale al romanticismo (praticamente: come nel pop occidentale), o per la convinzione - parole del segretario alla Difesa Donald Rumsfeld - che «cominceranno ad amarci quando inizieranno a sentire le nostre canzoni e guardare i nostri film», di certo Mouafac Harb, uno dei creativi di «Sawa», va preso in considerazione come uno stratega del Pentagono quando dice: «Oggi la musica araba ha un ritmo rock. Se mixi suono arabo e occidentale, funzionano proprio bene insieme». Il resto basta ascoltarlo. Ricordando questo: nella regione del Golfo il 65 per cento della popolazione ha meno di 25 anni. Prima: un popolo da liberare. Adesso: un «bacino d’utenza», selezionato su 27 milioni di iracheni e 250 milioni di arabi in tutto. Dopo i target (dei bombardamenti), «il» target: le aspirazioni dei diciottenni musulmani. Non è impossibile centrarlo. Provate a sentire una canzone di Muhammad ‘Abduh: perfino Jennifer Lopez, dopo, farà il suo effetto. E jeans e giubbottini strizzati di prodotti di marketing paraoccidentali dal nome arabo (per esempio Shaquira) non suoneranno, alle orecchie di tante ragazze irachene, leggermente più allettanti delle «romanze» melodiche («e noi abbiamo Saddam, e voi fate quello che vi pare») proposte fino a otto giorni fa dalla tv satellitare del Raíss? C’è perfino una canzone che non sai più se araba oppure occidentale, «Aisha» dell’algerino Cheb Khaled. Quando la trasmettono viene ascritta, pare, agli occidentali: perché «Sawa» osserva la par condicio più rigorosa, una hit araba, una angloamericana. Amen. Poi sì, serviranno anche le notizie: Radio Sawa ha affidato il suo canale Baghdad a Fadel Meshaal, un giovane free lance iracheno al quale non è parso alto tradimento lavorare per il nemico-forse-diventato-amico. Le sue corrispondenze dicono cose come «non uscite dalle case, Baghdad resta un luogo molto pericoloso», oppure «ultime resistenze a Tikrit». Stacco: intervista dal Nord a un oppositore del vecchio regime, la voce dice: «Per Saddam è finita». Doppia sigla, voce di donna poi di uomo: «Questa è radio Sawa». Musica, che è quello che conta. Ancora Hakim. La morale della nuova «radio Londra» è un moderatismo pensato per piacere a tutti. I melodisti arabi più arrabbiati (prototipo: l’egiziano Shaaban Abdel Rahim; imperdibile hit: «Odio Israele, amo Amr Moussa») parrebbero esclusi dalla programmazione. I melodisti occidentali più scadenti parrebbero ricevere insperata luce. La rivale Al Jazeera assicura, «l’audience araba è nostra, radio Sawa è destinata ad abortire», ma può perfino succedere che la vera sconfitta del Raíss arrivi quando nei fast food di Baghdad un Mcfelafel sarà accompagnato da una brutta canzone prodotta a Minneapolis.
Jacopo Iacoboni
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