LETTERA APERTA AGLI AMICI DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO

LA CHIESA, IL POTERE, LA MAFIA

QUANDO IL PASTORE LASCIA IL SUO GREGGE: IL “CASO” BREGANTINI

3 gennaio 2008
Raffaello Saffioti (Associazione Casa per la Pace “D. A. Cardone”.)
Fonte: Il grido dei poveri, mensile di riflessione nonviolenta

PERCHE’ QUESTA LETTERA?

Mons. Giancarlo Bregantini - foto

Questa lettera vuole essere un contributo al Movimento Nonviolento che nel suo Congresso Nazionale a Verona (1-4 novembre) ha approvato una mozione col titolo “Resistenza nonviolenta contro il potere mafioso”, risultante dal lavoro di una commissione specifica del Congresso stesso.
In preparazione del Congresso, la rivista “Azione nonviolenta” aveva dedicato al tema un suo numero monografico (6, giugno 2007) e a Palmi aveva avuto luogo un incontro regionale nella sede dell’Associazione Casa per la Pace “D. A. Cardone”, con la partecipazione di Pasquale Pugliese.
Il successo di quell’incontro, per il numero e la qualità dei partecipanti, esprimeva l’esigenza di costituire in Calabria una rete di persone e gruppi che si richiamano alla cultura della nonviolenza.

Nei giorni scorsi Il Movimento ha dato con un suo documento l’adesione all’Appello di Comunità Libere “Vincere nella Locride per resistere in Calabria”, lanciato, insieme al Consorzio Sociale GOEL e al consorzio “Calabria Welfare”, per costruire un’ “Alleanza contro la ‘ndrangheta e le massonerie deviate, per la democrazia e il bene comune!”. Nell’Appello si legge: “Abbiamo bisogno che il vuoto lasciato da mons. Bregantini sia colmato da una grande ‘alleanza’ di soggetti che hanno a cuore i nostri obiettivi”.

Dopo il trasferimento del Vescovo della diocesi di Locri-Gerace Giancarlo Bregantini alla diocesi di Campobasso s’impone una riflessione sul tema proposto dal titolo di questa lettera. La riflessione è provocata anche dal silenzio di Comunità Libere nel caso della intimidazione mafiosa subita a Vibo Valentia da Antonio D’Agostino e dalla sua famiglia. E’ un silenzio grave e inspiegabile che perdura anche dopo la lettera inviata a Comunità Libere da Francesco Tassone il 2 novembre scorso. Ricordiamo che all’incontro di Palmi un contributo qualificante era stato dato, tra gli altri, dalla rappresentanza di Vibo Valentia, attraverso un documento a firma di Antonio D’Agostino e Francesco Tassone, direttore della rivista “Quaderni del Sud-Quaderni Calabresi” e coordinatore del Movimento Meridionale.
Lo stesso D’Agostino aveva dato un contributo importante anche ai lavori della sesta Commissione del Congresso con un documento che illustrava la vicenda dell’intimidazione mafiosa di cui era stato vittima.

Nel documento del Movimento Nonviolento indirizzato a Comunità Libere, tra l’altro, si legge: “… più che il trasferimento del vescovo Bregantini, ci sembrano molto preoccupanti i segnali di ambiguità, anzi di collateralismo e prossimità ai poteri occulti che gran parte della politica calabrese sembra esprimere trasversalmente”.
Io penso che il Movimento dovrebbe cogliere “i segnali di ambiguità e prossimità ai poteri occulti” che provengono dal mondo cattolico oltre che da quello politico, senza distinguere il livello regionale da quello nazionale. La ricerca di questi segnali è necessaria, anche se difficile.
Per chi vive lontano dalla Calabria è difficile capire a fondo come si vive in questa regione, capire pure come funziona il sistema di potere clientelare-mafioso e il ruolo che giocano la Chiesa come istituzione, gli ecclesiastici ed i cattolici in genere.

Questa è la ricerca che propongo con questa lettera agli amici del Movimento Nonviolento, ricordando la lezione di Aldo Capitini sulla Chiesa cattolica.


ALDO CAPITINI E LA CHIESA CATTOLICA

Sono molteplici le opere di Aldo Capitini che documentano il suo pensiero sulla Chiesa cattolica e scandiscono le vicende della sua vita, dal periodo fascista fino alla morte (1968), attraverso la guerra, il dopo-guerra, il pontificato di Pio XII, gli anni del Concilio (1962-1965) e i primi anni del post-Concilio.
Ricordiamo alcuni titoli: Elementi di un’esperienza religiosa (1937), Vita religiosa (1942), Il problema religioso attuale (1948), Nuova socialità e riforma religiosa (1950), Religione aperta (1955), Discuto la religione di Pio XII (1957), Aggiunta religiosa all’opposizione (1958), Atti dell’Assemblea Costituente sull’art. 7 (1959), Battezzati non credenti (1961), Severità religiosa per il Concilio (1966).

Il rapporto di Capitini con la Chiesa cattolica fu un rapporto drammatico, che divenne a un certo punto di scontro inevitabile. “La Chiesa osteggia il suo movimento di religione, proibisce ai fedeli la frequentazione del Centro di orientamento religioso, spinge a un controllo poliziesco delle sue attività, interviene presso le autorità, affinché Capitini sia allontanato dall’insegnamento universitario, e, quando nel 1955 esce Religione aperta, l’opera che presenta in modo organico la sua esperienza e la sua riflessione su cosa sia e debba essere la vita religiosa, ne condanna la dottrina, inserendola nell’Indice dei libri proibiti” (Rocco Altieri).

L’atto che consuma il rapporto di Capitini con la Chiesa cattolica è la lettera del 27 ottobre 1958, indirizzata all’Arcivescovo di Perugia, con la quale Capitini chiese di essere cancellato dal registro dei battezzati della sua parrocchia, in quanto non intendeva più dirsi cattolico (1).

“La polemica con la Chiesa cattolica” è il titolo di un capitolo dell’ottimo testo di Rocco Altieri, La rivoluzione nonviolenta. Per una biografia intellettuale di Aldo Capitini (Biblioteca Franco Serantini, Pisa, 1998), dal quale è estratto il passo precedente e che può aiutare nel seguire il percorso di Capitini sul tema della Chiesa cattolica.
Stralcio qualche brano.

“Capitini ha perso da tempo ogni speranza in un rinnovamento interno della Chiesa cattolica. Da quando ha assistito allo schiacciamento del movimento modernista e alla sciagurata alleanza col fascismo gli è parso subito chiaro che il problema di una riforma religiosa si poneva in termini estranei alla Chiesa romana.
Da allora non si ritiene più cattolico e preferisce chiamarsi un libero religioso. Perciò, il suo proposito di riforma non è di una istituzione o di un credo particolare, mira piuttosto a liberare la vita religiosa dai vincoli dogmatici e sacramentali imposti dalla casta sacerdotale” (p. 74).

“La stessa figura di Gesù è stata stravolta dalla teologia cattolica. Accentuando in Lui i caratteri miracolosi, regali, facendone un figlio di Dio pari al Padre, dotato di assoluta sapienza e infinita potenza, Gesù è stato chiuso nella nicchia dell’adorazione. Così, sulla sua figura di sommo sacerdote è stato costruito un sistema complesso di dogmi e di sacramenti, è stato affermato il primato di Pietro e dei suoi successori. La monarchicizzazione di Gesù ha portato, insomma, ad avere un capo per la istituzione romana.
Contro l’idolatria che i sacerdoti hanno fatto di Gesù, Capitini propone il ritorno a quello che gli sembra il suo essere più autentico, così come si coglie nei primi tre Vangeli, i più antichi.
(…) Gesù non è un re, ma un fratello che ci sta accanto, aperto amorevolmente a ogni essere che soffre, che muore e risorge in tutti i crocifissi del mondo, annuncio di una realtà liberata. Non più sugli altari è condiviso interiormente da tutti” (p. 75).

“La polemica con la Chiesa cattolica non si attenua neanche con l’apertura del Concilio Vaticano II. Capitini segue con interesse le vicende e gli esiti finali del Concilio, dedicando uno studio accurato ai testi approvati dall’Assemblea, riflessioni che sono pubblicate nel libro Severità religiosa per il Concilio.
Capitini è deluso per uno sviluppo tutto interno alla Chiesa istituzionale, per un rinnovamento troppo prudente e incerto, incapace di quel coraggio profetico che è l’unica possibilità di ridare dignità alla religione, facendone la punta avanzata del rinnovamento del mondo” (p. 78).

“Se l’istituzione ha frenato in senso conservatore, Capitini, comunque, non liquida l’avvenimento conciliare, perché avverte come esso abbia messo in movimento un moto di apertura alla base della chiesa, moltiplicando i fermenti del rinnovamento. Perciò dichiara:
Ma gli esseri sono più delle istituzioni; i cattolici, con nuovo fervore, cercano, incontrano, discutono, s’impegnano.
Severità religiosa per il Concilio;
rispetto per la Chiesa;
affetto per i cattolici” (p. 79).

A quasi quarant’anni dalla morte di Capitini, c’è da chiedersi se si possa considerare attuale il suo pensiero sulla Chiesa cattolica. Io credo che quel pensiero sia più che attuale, anche perché il pontificato di Benedetto XVI sembra correggere o ignorare le aperture che la Chiesa aveva avuto col Concilio. Sono convinto che il Movimento Nonviolento oggi abbia un forte bisogno di riprendere la lezione del suo fondatore.

IL POTERE NELLA CHIESA

A questo punto va posto il tema del potere nella Chiesa.
La vita della Chiesa oggi è molto diversa da quella delle prime comunità cristiane fondate dagli Apostoli.
La Chiesa cattolica, nata “senza un modello strutturale ben definito” (Benigno Papa), nel corso della sua storia bimillenaria si è via via distaccata dalle sue origini apostoliche, modellando la sua organizzazione sull’autorità civile più dispotica, configurandosi come istituzione gerarchica, con al vertice il Papa, monarca assoluto.

Il papa Pio XII ha enunciato chiaramente il principio gerarchico il 2 ottobre 1945: “I membri della Gerarchia ecclesiastica hanno ricevuto e ricevono la loro autorità dall’alto e non debbono rispondere dell’esercizio del loro mandato che o immediatamente a Dio, a cui soltanto è soggetto il Romano Pontefice, ovvero, negli altri gradi, ai loro superiori gerarchici, ma non hanno nessun conto da rendere né al popolo, né al potere civile” (2).

Sono molto lontani i tempi della Chiesa primitiva.
“Non ancora terminato il primo secolo, la prima lettera di San Clemente romano parla dei ‘ministri nominati con il consenso di tutta la comunità’ (44,3) e nella Didaché, di epoca un poco più recente, viene data questa indicazione: ‘Eleggete i vostri vescovi e diaconi, degni del Signore’ (15,1); sebbene non si conosca l’esatto procedimento, nel secolo III ci sono chiare testimonianze di un suffragio di tutti i membri.
D’altro canto, si distingueva molto bene, come dimostra san Cipriano, fra l’elezione (populi suffragium), l’accettazione e l’ordinazione da parte del collegio episcopale (episcoporum consensus) e l’origine divina (divinum iudicium). Le sue parole sono così espressive e ‘moderne’, che meritano qualche citazione:

‘Il popolo, obbediente ai precetti del Signore […], ha il potere di eleggere vescovi degni e di ricusare quelli indegni. Sappiamo che è di origine divina eleggere il vescovo in presenza del popolo e a vista di tutti, perché tutti lo approvino come degno e idoneo con testimonianza pubblica[…] Dio comanda che dinnanzi a tutta l’assemblea venga eletto il vescovo[…] Questo osservavano gli Apostoli, non solo per l’elezione di vescovi e presbiteri, ma anche per quella dei diaconi’” (3).

“Benché non sia corretto leggere la Chiesa come una democrazia in senso strettamente politico, è difficile negare che nei suoi valori costitutivi, come la libertà, l’uguaglianza, la fraternità, si racchiuda l’anima più autentica dei principi democratici.
Lo stesso spirito di servizio, che Gesù pone a fondamento della comunità, ha rovesciato il tradizionale schema del potere e impresso al cammino della Chiesa un inequivocabile carattere egualitario, partecipativo, libero, dunque non ‘democratico’ ma molto di più” (4).

Il teologo della Liberazione belga-brasiliano José Comblin su “Chiesa e potere” ha scritto:
“Non è necessaria un’esegesi minuziosa per vedere che Gesù introduce un nuovo modo di esercitare l’autorità, una nuova relazione di potere.
(…) Il problema delle strutture è chiaro nella Chiesa di oggi. Vi sono vescovi più umani, parroci più umani – cristiani – che non puntano sul potere, che consultano o prendono in considerazione le opinioni degli altri, che governano con pazienza e tolleranza, che aprono uno spazio per la libertà e la responsabilità dei laici. Ma, in ogni momento, può venire un altro che voglia l’applicazione rigorosa della legge canonica che gli attribuisce poteri esclusivi. Le strutture dell’attuale codice attribuiscono all’autorità un potere assoluto, senza diritto di difesa, un potere esclusivo senza partecipazione. Qualunque vescovo o parroco può distruggere tutta la libertà creata dal predecessore. (…) Gli autori di tali distruzioni possono invocare la legge che attribuisce loro un potere assoluto, dittatoriale.

Lo stesso Gesù denuncia la forma con cui gli scribi e i farisei esercitano l’autorità.
(…) Di fatto, in 20 secoli molte delle antiche relazioni di dominazione nelle società umane sono entrate nella Chiesa. Le relazioni che esistono oggi non procedono dalla volontà di Gesù, ma dalla penetrazione di strutture di dominazione proprie delle culture nelle quali la Chiesa si stabilì.
(…) La nostra questione è la seguente: come si è potuta legittimare questa crescita della concentrazione di potere nelle mani del clero e poi nelle mani del papa?
(…) Il Vaticano II ha ricevuto durante le sue assemblee molte denunce di clericalismo, burocraticismo, ecc. Non ha potuto nascondere le critiche rivolte per 15 secoli e mai accolte. Da lì è emersa una teologia rinnovata del popolo di Dio e del ruolo della Chiesa nel mondo. Tuttavia, quando si tratta di definire il ruolo dei vescovi e del clero, tanto nella Lumen Gentium quanto nei documenti dedicati esplicitamente al clero, la dottrina è quella tradizionale e non tiene conto dei problemi sollevati. Si moltiplicano le esortazioni morali, ma nulla cambia nelle strutture. Non si tocca il problema del potere e la relazione tra la ricerca del potere e la definizione del clero prevalsa per 15 secoli. Si torna alla dottrina conservatrice tradizionale” (5).

IL TRASFERIMENTO DEL VESCOVO BREGANTINI

Tutto questo excursus storico, pur sommario, su un tema così impegnativo come “Il potere nella Chiesa”, è servito per affrontare la vicenda del trasferimento d’autorità del Vescovo della diocesi di Locri-Gerace, Giancarlo Bregantini.
E’ una vicenda clamorosa, che ha provocato molte reazioni e proteste di istituzioni, cittadini e fedeli, e rimane di scottante attualità (6).

Nel documento del movimento “Noi siamo Chiesa” dell’8 novembre 2007, intitolato “Un provvedimento irresponsabile”, si legge:
“La rimozione di Mons. Bregantini dalla diocesi di Locri è un provvedimento irresponsabile ed è contro il rinnovamento della Chiesa e contro la Calabria civile, propositiva e fattiva. Il trasferimento … lascia stupefatti e smarriti. E’ forse possibile non ritenerlo una conseguenza di pressioni che il Vaticano, assumendosi gravissime responsabilità, ha subito e che sono state esercitate da tutti i poteri mafiosi e forti nei cui confronti si è elevata costantemente la forte denuncia del vescovo di Locri?
… Non si tratta con tutta evidenza di un promoveatur ut amoveatur ma solo di un vergognoso amoveatur e basta…” (7).

Nel documento delle “Comunità cristiane di base italiane”, intitolato “Una vittoria del sistema mafioso”, dell’8.11.2007, si legge:
“L’allontanamento da Locri del vescovo mons. Giancarlo Bregantini è un gesto molto grave che di fatto colpisce ancora una volta l’annuncio limpido del Vangelo quando questo disturba poteri forti e ne denuncia le collusioni con certe strutture ecclesiastiche.
…L’allontanamento da Locri di mons. Bregantini sarebbe una vittoria del sistema mafioso e un depotenziamento del movimento che in Calabria e in tutto il paese tenta faticosamente e coraggiosamente di opporsi alle varie mafie, le quali inquinano la convivenza civile compresa la stessa comunità ecclesiale e seminano violenza…” (7).

Tra i tanti altri documenti, un particolare risalto merita la “lettera aperta a Sua Santità, Benedetto XVI”, di Frédéric Vermorel, monaco eremita professo, del Monastero S. Ilarione di Caulonia (RC).

“Santo Padre, il grido che sale dal Popolo di Dio a causa dell’allontanamento di P. Giancarlo M. Bregantini dalla sede episcopale di Locri-Gerace ci interpella nel profondo. (…) Sul versante ecclesiologico, tre questioni emergono con prepotenza: * lo scandalo recato ai piccoli * la ferita inflitta alla dignità del Popolo di Dio * lo scarso rispetto della dignità episcopale. Molti sono rimasti sconvolti dalla notizia del trasferimento di P. Giancarlo. Molti si sono sentiti traditi dai pastori della Chiesa. L’eminente dignità dei poveri è stata ancora una volta calpestata da chi, più di tutti, dovrebbe tutelarla. Purtroppo, tutto ciò non potrà che alimentare la silenziosa apostasia che colpisce le nostre Chiese.
Il comportamento della Curia romana è stato vissuto come uno schiaffo dato al volto della Chiesa, sposa di Cristo, Popolo di Dio.
Nessuna considerazione è stata dimostrata per il fatto che la Chiesa di Locri-Gerace era entrata nel secondo anno di preparazione al sinodo; nessuna attenzione al fatto che questa Chiesa, piccola, povera, piena di contraddizioni ma coraggiosa, è oggi segno di speranza per tanti in Italia e fuori Italia nella lotta contro il malgoverno, la malasanità, i poteri occulti della ‘ndrangheta e della massoneria…
Il Concilio Vaticano II ha sottolineato con forza l’eminente dignità del vescovo, figura di Cristo pastore e sposo, responsabile perciò della porzione del Popolo di Dio a lui affidata e, assieme a Lei, Santo Padre, e sotto di Lei, con gli altri vescovi, responsabile di tutto il Popolo di Dio.
Ora la vicenda del trasferimento di P. Giancarlo dimostra, accanto a tanti altri esempi, una riduzione della figura episcopale a semplice prefetto della Santa Sede.
Santo Padre,
urge una conversione della Chiesa al suo Signore, che si è fatto schiavo di tutti.
Urge una riforma radicale dei modi di elezione dei vescovi.
Urge una riforma della Curia romana che le restituisca la sua funzione di semplice collaboratrice del Papa, aliena da ogni carrierismo, gusto dei titoli altisonanti e qualsivoglia forma di prepotenza.
Oda, Santo Padre, il grido che sale dalla Calabria, amara ma amata terra”.

Il provvedimento vaticano è stato variamente letto e interpretato.

“Ma la lotta alla ‘ndrangheta non è l’unica chiave di lettura per comprendere il provvedimento di trasferimento emesso dal Vaticano nei confronti di mons. Bregantini. Ci sono infatti da considerare anche aspetti più prettamente ecclesiali. Bregantini, insieme a ormai pochi altri vescovi italiani, è considerato un progressista. Un fatto che, nell’era della normalizzazione ruiniana dell’episcopato italiano, è visto in modo sempre più ostile dalle gerarchie. Per quanto sia sempre stato molto prudente nell’esprimersi su questioni intraecclesiali, a Bregantini viene imputato di essere un antimilitarista (nel 1995 sottoscrisse un documento di Pax Christi che chiedeva la smilitarizzazione dei cappellani militari); un pacifista (fu tra gli oppositori senza se e senza ma della guerra in Iraq), di aver troppo spesso criticato l’acquiescenza della Chiesa nei confronti della criminalità, di dialogare con quelle realtà ecclesiali invise alle gerarchie perché critiche o semplicemente aperte al confronto con la società e le diverse culture. (…) Bregantini individuava nella Chiesa italiana una ‘debolezza sulla speranza’, quella che ‘si manifesta nel proclamare una speranza vuota, che ‘sale su come un palloncino’, svaporata, che ‘si tira fuori dai problemi’ e non aiuta ad affrontarli. Una speranza esautorata da una “Chiesa stanca”, di “basso profilo”, senza il coraggio profetico e di denuncia di padre Pino Puglisi, o di mons. Tonino Bello.

Tutte queste ragioni hanno fatto sì che, alla fine, la corda – già tesa da tempo – si spezzasse. Tanto che, contrariamente ad una prassi consolidata, la nomina di Bregantini a Campobasso è stata decisa dal prefetto della Congregazione per i Vescovi, il card. Giovanni Battista Re (su istanze informali di alcuni vescovi calabresi), senza nemmeno consultare il Nunzio Apostolico in Italia (che, dopo un sondaggio tra l’episcopato, avrebbe dovuto presentare al prefetto una terna di candidati), né la plenario della Congregazione per i Vescovi (che ha il compito di vagliare e, nel caso, modificare, la terna proposta dal nunzio). Perché dal papa il card. Re ci è andato direttamente, e la terna l’ha fatta lui da solo, mettendo in cima alle preferenze il nome di Bregantini. Il papa ha approvato, e Re a quel punto ha trasmesso la decisione, già bell’e presa, al nunzio che, il 18 ottobre l’ha comunicata, nel corso di una convocazione in Vaticano, a Bregantini. A dar man forte al prefetto della Congregazione per i Vescovi anche il card. Ruini, ancora potentissimo – nella Cei come in Vaticano – nonostante abbia nei mesi scorsi dovuto lasciare l’incarico di presidente della Conferenza Episcopale. D’accordo a silurare Bregantini anche il presidente della Conferenza episcopale calabra, mons. Vittorio Luigi Mondello, arcivescovo di Reggio Calabria” (8).

L’obbedienza del Vescovo Bregantini
Meglio obbedire agli uomini o a Dio?


Il Vescovo Bregantini nel messaggio alla diocesi di Locri dell’8 novembre ha detto di essere stato chiamato dal Santo Padre Benedetto XVI “a reggere la cattedra arcivescovile metropolitana di Campobasso-Boiano, nel Molise”, “per un disegno misterioso del Signore” e ha ricordato le parole di mons. Mariano Magrassi “Al Papa non si può dire di no!”. “… è ora doloroso e piangente questo mio saluto di congedo”. “L’obbedienza è sigillo di tutte le virtù… L’obbedienza è libertà, profezia, servizio che si fa gratuità e benedizione” (9).

Ma non sono mancati interventi che hanno messo in discussione l’atto di obbedienza.
P. Fausto Marinetti si è rivolto all’ex vescovo di Locri chiedendo se è scritto nel Vangelo che al papa non si può dire di no. “Osiamo ricordarti che c’è voluto un Concilio per proclamare il primato della coscienza”. “Osiamo rammentarti che ti sei fatto ‘padre’ non di un qualunque popolo di Dio, ma di un popolo crocifisso dalla ‘ndrangheta, trafitto dalla lancia dell’omertà”. “Oggi la tua condizione di vita ti pone di fronte ad un dilemma: meglio obbedire ad una norma canonica o al popolo di Dio? (…) Credi proprio che ad un padre sia lecito abbandonare i figli? Lo chiediamo come ‘popolo di Dio’ alla tua coscienza. E’ doloroso che i figli richiamino il padre, ma con la forza e l’autorità della parola di Dio, osiamo chiederti: è meglio obbedire agli uomini piuttosto che a Dio?”. “Perché non poniamo Roma di fronte a questo paradossale dilemma: meglio obbedire ad una norma umana o al popolo di Dio?” (10).

E Franco Barbero, della “Comunità di Base” di Pinerolo:
“Le patologie dell’obbedienza. Nessuno vuole giudicare le coscienze di benemeriti pastori, ma resta il fatto che un fischio gerarchico riesce a far cambiare strada. Ma quello che più mi ha sconvolto è stata la lettura integrale del saluto che il giorno 8 novembre monsignor Bregantini ha rivolto alla diocesi nel suo congedo: ‘Al papa non si può dire di no!’. E se, anziché invitare all’obbedienza, sollecitassimo una consapevole disobbedienza? E se, anziché negare l’esistenza di ‘trame oscure’ e di ‘giochi di potere’, svelassimo questo squallido sommerso per aiutare la nostra chiesa a liberarsene? Come possiamo sempre mettere in campo ‘un disegno misterioso del Signore’ anziché esplicitare le alleanze manifeste delle mafie che hanno determinato questa ‘promozione’?
… L’obbedienza non solo non è più una virtù, ma costituisce una grave patologia dell’anima che ingabbia la vita e spegne la comunità. Certo, la disobbedienza evangelica ha i suoi costi e i suoi rischi, ma crescere nel cammino della libertà ci fa gustare anche le più invitanti gioie del convito umano e comunitario.
Occorre scegliere tra una chiesa di minorenni e una comunità di donne e di uomini che tentano l’arduo sentiero della libertà” (11).

Cosa sarebbe successo se il Vescovo Bregantini avesse disobbedito?
Dopo il trasferimento di mons. Bregantini, la Conferenza episcopale calabra (Cec) ha pubblicato la Nota pastorale sulla ‘ndrangheta, intitolata Se non vi convertirete, perirete tutti allo stesso modo. La Nota porta come data il 17 ottobre 2007, ma è rimasta segreta fino al 12 novembre (12).
Dopo la partenza di mons. Bregantini, quale credibilità può avere questo documento?

UNA LETTERA DA VIBO VALENTIA A GIOIOSA IONICA
DOMANDE SENZA RISPOSTE


Il prossimo numero della rivista “Quaderni del Sud-Quaderni Calabresi” documenterà la straordinaria esperienza del movimento che a ViboValentia è nato dopo l’intimidazione mafiosa subita da Antonio D’Agostino e dalla sua famiglia. La vicenda di Vibo Valentia merita di essere collegata con quella della Locride per verificare i movimenti di solidarietà che dalle due vicende sono nati.

Ma intanto va qui richiamata la lunga e vibrante lettera del direttore della rivista Francesco Tassone a Comunità Libere, richiamata all’inizio di questa lettera, riportandone alcuni brani.

“Vi scrivo per esprimere il mio sconcerto, la mia mortificazione, la mia inquietudine (spiegherò perché) per l’atteggiamento tenuto da Comunità Libere, contrassegnato dal più tombale silenzio, davanti alla grave intimidazione mafiosa consumata a Vibo Valentia nella notte del 18 agosto u. s., nei confronti dell’ing. Antonio D’Agostino, con la collocazione, all’ingresso della sua abitazione della testa mozzata di un capretto, con due proiettili in bocca ed altri tre per terra, tanti quanti sono i componenti della sua famiglia. Si è trattato di un perentorio invito al silenzio inviato a lui e insieme a lui alla città di Vibo Valentia, o più esattamente a quella parte della città e a quelle iniziative della società civile, che conservando radici popolari e democratiche si affannano ad allargare con il proprio lavoro i pochi spazi di libertà, di partecipazione, di speranza ancora esistenti.
(…) appare inesplicabile ed inquietante il silenzio di Comunità Libere, in parallelo al silenzio non meno inquietante, ma assai meno inesplicabile, degli organi comunali ed istituzionali e della classe dirigente locale, fatta eccezione per la Federazione dei Verdi, per la Direzione regionale dei Giovani Comunisti, per Rifondazione Comunista e per un gruppo di associazioni cittadine, riunite in comitato per la difesa di Corso Umberto I, minacciato da stravolgenti lavori di ristrutturazione”.

La lettera pone alcune domande.

“… è possibile dare vita ad un lavoro di liberazione e di aggregazione sociale in una terra come la nostra, disfatta dalla dipendenza?

E soprattutto quali ne sono le condizioni in una terra in cui la dipendenza si è articolata in massonerie, in associazioni mafiose e in una classe politica intrinsecamente ascara, chiamata a gestire la cosa pubblica come ‘industria della protezione’?

Quali ne sono le condizioni oggi, in cui tali consociazioni, da appartenenze separate rispetto al parassitato corpo sociale, sono passate a formare un unico totalizzante reticolo di potere?”

“…Siamo sufficientemente attrezzati – è la domanda che nasce da quei silenzi – per non restare invischiati nelle reti di un potere così pervasivo, a cui non mancano, attraverso la massoneria e la classe politica, il volto perbene, i modi accomodanti il tratto benevolo e disponibile?

Siamo preparati e disponibili a leggere al di là dell’accattivante benevolenza di tali nostri interlocutori, e talvolta servizievoli amici, la vera portata della pratica che essi quotidianamente tessono, dal sistema di potere che per tale via essi pongono in essere: a tenerne conto, a non assecondarne i disegni, a non ratificarne la figura, oltre che ovviamente a non chiudere i loro interventi anche come ovviamente leciti o addirittura dovuti?

Non basta denunciare il sistema mafioso (molti di quei nostri interlocutori sono veementi nella condanna), e neppure costruire luoghi di aggregazione sociale e posti di lavoro, senza contemporaneamente rompere di fatto, oltre moralmente, con quel sistema, senza iattanza ma in modo visibile, marcando nel concreto della situazione la differenza. Evitando di far parte, come avviene per la gran parte di essi (avvocati, sacerdoti, medici, ingegneri, insegnanti – non parliamo dei sindacalisti e degli altri ruoli direttivi) dell’establishment locale e delle sue regole di (buon) comportamento”.

E’ da notare che a Vibo Valentia Comunità Libere ha un referente nella persona di Don Furci e Libera ha come rappresentante mons. Fiorillo, parroco del duomo di S. Leoluca.
Come spiegare il loro silenzio?
E’ lecito sperare che le domande di questa lettera avranno qualche risposta?

Palmi, 8 dicembre 2007
Raffaello Saffioti


NOTE

1) La lettera è riportata in Battezzati non credenti, Firenze, Parenti, 1961; in Opposizione e liberazione, Milano, Linea d’ombra, 1991, pp. 137-140.
2) Aldo Capitini, Opposizione e liberazione, cit., p. 140.
3) Andrés Torres Queiruga, La Chiesa oltre la democrazia, la meridiana, Molfetta, 2004, pp. 57-58.
4) Dal risvolto di copertina di La Chiesa oltre la democrazia, cit.
5) José Comblin, Chiesa e potere, in “Adista”, n. 2, 7 gennaio 2006
6) Utile è la lettura della rassegna stampa su “Adista”, n. 82, 24 novembre 2007.
7) “Adista”, n. 82, cit.
8) Valerio Gigante, “Trasferito d’autorità il vescovo Bregantini. Il Vaticano ‘promuove’, la mafia ringrazia”, su “Adista”, n. 79, 17 novembre 2007
9) “Adista”, n. 82, cit.
10) “Adista”, n. 83, 1 dicembre 2007
11) Dal sito delle “Comunità cristiane di base”: www.cdbitalia.it
12) “Adista”, n. 82, cit.

Note: www.uomoplanetario.org

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