Scoprire il diritto negato ad una nascita "dolce"

Per un parto senza violenza

Un bambino appena nato è un essere “nuovo a tutto, sensibilissimo al contatto, al freddo, al modo di essere spostato, agli odori, ai suoni, alle luci”. Al momento del parto il bambino viene improvvisamente catapultato in una realtà che lo assale con le sue luci accecanti, col rumore e l’intimità violata. Il cordone ombelicale viene tagliato in maniera repentina. Il dolore lo fa strillare. Viene maneggiato come un pacco. E’ convinzione ormai unanime che queste ed altre violenze si sedimenteranno in modo indelebile nella psiche di un individuo, che varcherà la soglia del mondo già provvisto di un ampio corredo di aggressioni.
18 aprile 2008
Matteo Della Torre, Mariella Dipaola (Casa per la nonviolenza, Associazione di ispirazione gandhiana)

Parto Leboyer

Un nuovo essere umano - sintesi di un mistero che ci sovrasta e che unisce ciò che è infinitamente piccolo a ciò che è grande, sconfinato - è l’icona di un evento familiare, eppure ignoto, davanti al quale occorre fermarsi a contemplare. Alcuni versi del Talmud recitano che “chi salva una vita, salva il mondo intero”, come a sottolineare che ogni uomo racchiude in sé l’intero corredo genetico dell’umanità. Essa, sin dai primi attimi di esistenza, quando è ancora immersa nella profondità di un corpo materno, ha bisogno di innumerevoli premure, troppo spesso disattese, come accade sovente per le richieste dei senza voce, dei poveri, degli indifesi. E’ da qui che ha origine il lungo cammino educativo per liberare l’uomo autentico: nonviolento, verace, aperto e altruista, che inneschi, a partire dai doni ricevuti, processi positivi di moltiplicazione esponenziale da river-sare sugli altri in una prodigiosa spirale senza fine. Gandhi, seppure sprovvisto di precise conoscenze scientifiche in merito alla vita intrauterina, intuiva che è questo il tempo dal quale si diparte ogni slancio educativo che voglia fondare gli ideali nonviolenti. “L’educazione del bambino – scriveva Gandhi – comincia con il concepimento: infatti lo stato fisico e mentale dei genitori al momento del concepimento si riproduce nel bambino. Poi, durante la gravidanza, continua ad essere influenza-to dagli umori della madre, dai suoi desideri, dal suo carattere e anche dal suo modo di vivere”. Fluttuando nel grembo oscuro e silenzioso di una donna, l’essere umano comincia a dialogare con un ambiente che, seppure ristretto, già può dirsi confortevole oppure no, in virtù della vasta gamma di messaggi veicolati dalla madre al suo bambino. Sin da ora gli induttori di bisogni (ginecologi, industrie farmaceutiche e aziende che forniscono prodotti per mamma e bebé) lavorano alacremente per trarre lucro, facendo leva su paure, debolezze e insicurezze dei genitori. Pur consapevoli degli enormi benefici di cui oggi parte dell’umanità gode in campo sanitario pre e postnatale, non si può eludere il problema del “potente sistema medico” che spinge le partorienti “ad assumere il ruolo di pazienti passive e non protagoniste” e costruisce intorno ad esse un ambiente tale che tutto ciò che “possono sperare di fare sia comportarsi bene”. In questo clima di totale sopraffazione, che pone le donne in uno stato di frustrante sudditanza di fronte ad un evento naturale e biologico, di cui esse sono state espropriate e ridotte al ruolo di pazienti, si inseriscono con solerzia i mercanti del farmaco, pronti a dispensare cure, a propagandare prodotti inutili se non addirittura dannosi, con l’unico scopo di incrementare il proprio profitto a spese delle malcapitate famiglie. Una donna gravida vive una condizione fisica e psicologica segnata da ansie e paure, alle quali contribuisce la turbolenta tempesta ormonale che attraversa il suo corpo; è particolarmente fragile ed ha bisogno di una quantità straordinaria di cure ed attenzioni. Le sue esigenze, però, non soltanto sono spesso disattese, ma incontrano, nella maggior parte dei casi, barriere insormontabili, a motivo di un ambiente ostile che la umilia e la rende vittima di una serie infinita di esami clinici inservibili (ma lucrosi) e talvolta non esenti da rischi. Riguardo agli eccessi di ecografie, ad esempio, molti psicologi mettono in guardia: “l’ecografista moderi le sue informazioni ai genitori e soprattutto alla madre, lasciando lo spazio dovuto alla loro fantasia”. L’antropologa Sheila Kitzinger, unanimemente riconosciuta come la più famosa autorità in materia di gravidanza, invita alla cautela nell’uso di ultrasuoni, poiché essi “hanno effetti che non sono ancora stati compresi a fondo. Generano calore nei tessuti del corpo e, sotto l’azione delle onde sonore, minuscole bolle all’interno del tessuto entrano in oscillazione”. Un’esame come l’amniocentesi, ritenuto tanto pericoloso da poter provocare la morte del bambino, è spesso consigliato in modo indiscriminato, allo scopo di “selezionare” bambini ritenuti, con buona dose di presunzione, non adatti a vivere, perché affetti, ad esempio, dalla sindrome di Down. In una società prigioniera della fretta e della produttività, neppure la nascita è riuscita a sottrarsi all’incalzare temporale che impone ritmi affannosi ed alienanti, in virtù di criteri quantitativi dell’esistenza. Un po’ ovunque, nel nord del mondo, ma soprattutto in Italia, partorire naturalmente è ormai esperienza rara e preziosa, poiché a nessuno è concesso il diritto di agire seguendo il proprio ritmo, secondo quel codice speciale che ognuno ha inscritto in sé. Un’indagine dell’Istituto Superiore di Sanità, condotta nel 1999, ha evidenziato che le donne che danno alla luce un figlio attraverso un intervento chirurgico sono una su tre (32,9%). Un nefasto primato che porta gli italiani in vetta alle classifiche europee e consente loro di surclassare persino paesi come gli Usa e il Brasile. Le ragioni sono evidenti: il parto cesareo fa lievitare i guadagni. Con essi aumentano anche i rischi, oltre alle numerose ricadute negative sul piano psicologico. Ma questi fattori sono ridotti al rango di semplici dettagli. Come non constatare gli esiti infelici di una concezione economica autoreferenziale e paga di sé? Nell’ambito della natalità, come in altri settori, pressanti esigenze di mercato spingono l’uomo a sovvertire anche le regole più lapalissiane dell’umano buon senso. Ne è un chiaro esempio la logica sconsiderata che ha indotto la multinazionale Nestlé, produttrice di latte in polvere, a regalare dosi per l’allattamento artificiale a donne di paesi in via di sviluppo, dove l’unica sana risorsa per un bimbo è il latte materno. Il latte in polvere in omaggio viene strategicamente misurato allo scopo di provocare nelle madri la perdita del latte naturale e così costringere le famiglie all’acquisto di quello artificiale, dai prezzi esorbitanti per il magro bilancio del capo famiglia. Questo latte, diluito in acqua non potabile e somministrato al neonato in dosi ridotte, con l’ausilio di biberon e tettarelle non sterilizzati, causa denutrizione e malattie infettive mortali.

Il diritto negato ad una nascita “dolce”

I problemi dei neonati occidentali sono differenti, ma, a ben guardare, la dura e inumana legge del più forte lega con un filo sottile tutti i bambini del mondo in un comune destino. Oggi, le tecniche della scienza moderna sperimentano gravi cortocircuiti ed entrano in palese contraddizione quando incrementano i disagi umani col pretesto di alleviarli. E’ quanto accade negli ospedali a chi spalanca, per la prima volta, gli occhi sul mondo. Un bambino appena nato è un essere “nuovo a tutto, sensibilissimo al contatto, al freddo, al modo di essere spostato, agli odori, ai suoni, alle luci”. Lui che per mesi ha abitato immerso nella quiete, al buio, in uno spazio caldo, via via più ristretto, viene improvvisamente catapultato in una realtà che lo assale con le sue luci accecanti, col rumore e l’intimità violata. Il cordone che lo legava a sua madre è reciso in fretta e disinfettato con alcool. Il bruciore lo fa strillare dal dolore e dalla rabbia. Ma gli uomini considerano quel pianto disperato sintomo di salute e vigore. Già negli anni ’20 Maria Montessori sosteneva l’ipotesi che il taglio repentino del cordone ombelicale potesse risultare traumatico per un bambino. “Aspettando, invece, qualche minuto, ci si accorge che esso in un punto preciso che varia da bambino a bambino si restringe e collabisce: questo sarebbe il punto ideale per il taglio”. Nelle nursery degli ospedali il piccino viene maneggiato come un pacco; lo si lava con acqua scrosciante, “sì e no calda”, lo si strofina “con una spazzola dura, soprattutto sulla testa dove i capelli sono intrisi a volte di sangue o vernice caseosa”, la quale, tra l’altro, è ricca di elementi che vanno ad incrementare la capacità dell’ipotalamo di attivare alcuni organi; non è casuale, infatti, la maggiore presenza di vernice caseosa sulla testa dei prematuri. C’è, poi, il dovere, legittimo, del prelievo di sangue per gli esami clinici di routine. Ma, ci si chiede, perché sottoporre il neonato ad un’ennesima sofferenza quando il cordone reciso contiene sangue a sufficienza per ogni indagine ematica?
E’ convinzione ormai unanime che queste ed altre violenze si sedimenteranno in modo indelebile nella psiche di un individuo, che varcherà la soglia del mondo già provvisto di un ampio corredo di aggressioni. Quale alternativa offrire al bambino perché possa godere di un’accoglienza diversa, più umana, più civile? La risposta è racchiusa nella saggezza di un’inversione di marcia verso forme di nascita che leghino armonicamente buon senso passato e progresso scientifico. Nelle comunità dell’Arca, ad esempio, i parti avvengono in casa, il luogo migliore per dare alla luce una piccola creatura, perché la nascita non è una malattia, ma un evento naturale che, solo talvolta, si complica e richiede interventi medici di emergenza. Oggi la limpidezza di questa semplice verità comincia a svegliare molti genitori che, nella misura in cui acquistano consapevolezza, decidono di gestire autonomamente l’evento della nascita. In un paese come l’Olanda, sempre all’avanguardia in molte scelte alternative, il 40% dei parti avviene tutt’ora in casa e il suo “indice di mortalità perinatale è tra i più bassi del mondo”, poiché “l’abbassamento della mortalità perinatale dipende più dal miglioramento economico, sociale, igienico e delle condizioni di vita in senso lato che non dalle cure mediche”. Una possibile soluzione nonviolenta al coacervo di problemi che già soffocano chi viene al mondo ci è offerta dal “Centro Nascita Attiva Maria Montessori” che ha sede in Roma. Esso si adopera al fine di trasformare l’attesa, la nascita e il periodo a seguire in occasioni, per l’adulto di dare prova della sua naturale ed istintiva capacità di attivare le sue innate disposizioni alla cura della prole e, per il piccolo, di gustare i primi attimi della sua esistenza terrena. Dal Centro si dipartono numerose associazioni sparse sul territorio nazionale che, ispirandosi ai principi montessoriani, ricostruiscono intorno alla nascita condizioni di benessere e di serenità. Esse accompagnano e sostengono, stimolano ad attingere alle proprie risorse interne; invitano, ove possibile, a partorire in casa, dove creano un clima di silenzio, di penombra per favorire la tranquillità necessaria ad un parto “dolce”, senza traumi. A chi opta per questa opportunità il Centro garantisce assistenza e un’accoglienza calda e confortevole al nascituro; suggerisce rimedi naturali intelligenti e liberi dalle seduzioni del mercato pubblicitario. Chi sperimenta i metodi di nascita attiva testimonia che “là dove gli altri neonati si mettono ad urlare, a singhiozzare disperatamente, il nostro eroe resta in silenzio, tace e in silenzio degusta stupefatto questa nuova incognita... Gli occhi restano spalancati, appassionati.. Questo neonato emana una pace intensa. Completamente sveglio, supremamente attivo e radioso...”. Sono queste le ricchezze cui un uomo potrà attingere per donare ai suoi simili quell’amore autentico che, per sua stessa natura, trabocca e si orienta verso l’altro.

www.uomoplanetario.org

Note: Per informazioni sulla nascita dolce:
M.I.P.A. (Movimento Italiano Parto Attivo) - Brescia
http://www.mipaonline.com
Sig. Pino Cirullo
tel. 030.6896597

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