Lev Tolstoj: maestro di nonviolenza cristiana
"Una sera d'inverno del 1891, a Mosca, stavo andando alla porta Borovickaja; presso di essa sedeva un vecchio, un accattone sciancato, avvolto in cenci fino alle orecchie. Estrassi il borsellino per dargli qualcosa. In quel momento dal colle del Cremlino accorse un giovane. Il mendico, visto il soldato, balzo' in piedi impaurito e corse zoppicando giu' verso il giardino di Alessandro. Il granatiere prese a inseguirlo, ma si fermo' senza raggiungerlo e si mise a rimbrottare l'accattone perche' non dava retta ai divieti e sedeva presso la porta. Attesi la' il granatiere. Quando giunse alla mia stessa altezza, gli chiesi "Hai letto il Vangelo?", "L'ho letto". "E hai letto: 'Colui che dara' da mangiare all'affamato...'?". Al che il poliziotto rispose: "E tu hai letto il nostro regolamento militare?". Dissi che non l'avevo letto. "Allora non parlare", replico' il granatiere scuotendo trionfalmente la testa, e si diresse con baldanza verso il suo posto di vedetta" (L. Tolstoj, La mia fede, Mondadori, pp. 43-44).
Il problema dell'obiezione di coscienza e' tutto in questo dialogo. Quando la regola sociale non coincide con la regola morale, si creano le condizioni dell'obiezione di coscienza. Il suo contenuto fondamentale e' il rifiuto di una legge, o di un ordine costituito, quando questi vogliono nascondere o far accettare situazioni di violenza, di ingiustizia o di oppressione.
Tutti sanno che Leone Tolstoj (1828-1910) e' il grande romanziere russo che ha scritto un capolavoro della letteratura mondiale come Guerra e pace, ma egli fu anche educatore e riformatore religioso e sociale, nonche' propugnatore della nonviolenza. Gli ultimi trent'anni della sua vita, dai 52 agli 83 anni, sono stati consacrati ad una attiva opera di proselitismo del cristianesimo nonviolento. Nel 1880, mentre ancora stava scrivendo Anna Karenina, attraverso' una profonda crisi personale (poi raccontata in Confessione): avvertiva un senso di vuoto e di inutilita' che lo porto' anche sull'orlo del suicidio. Apparteneva all'aristocrazia, era un ricco latifondista, proprietario di servi, famoso ed ammirato in tutta Europa, ma fondamentalmente insoddisfatto; si sentiva in piena contraddizione fra le sue idee e il suo modo di vivere. Vedeva le profonde ingiustizie del sistema zarista, nel quale era comunque inserito. Riusci' a superare la crisi esistenziale riscoprendo l'autenticita' del messaggio evangelico, denunciando la compromissione con il potere della chiesa ortodossa russa e cercando di vivere in coerenza con il Discorso della Montagna.
Da allora avvenne la sua personale conversione. Trascuro' la narrativa e si dedico' alla pubblicazione di scritti di carattere religioso, sui problemi sociali. E' in quel periodo che scrive il libro Che fare?, dedicato alle terribili condizioni della poverta' urbana, al degrado fisico e morale che accompagnava la rapida urbanizzazione dei contadini richiamati a Mosca dalle nascenti fabbriche. Comprese che il benessere delle classi privilegiate affondava le radici nella disuguaglianza sociale. La soluzione che indica e' quella di rinunciare alla proprieta' privata, e invitare ognuno a vivere del proprio lavoro manuale: "nessuno deve sfruttare gli altri, ed ognuno deve tagliarsi la legna con cui cuoce il proprio cibo", una sorta di comunismo evangelico.
Nel libro Resurrezione, Tolstoj indica i suoi cinque fondamentali comandamenti:
1. L'uomo non deve mai uccidere il proprio simile ma nemmeno adirarsi con lui.
2. L'uomo non profani la bellezza di una donna facendone strumento del proprio piacere.
3. Mai promettere niente sotto giuramento.
4. Perdonare le offese, non rifiutare nulla di cio' che gli altri ti chiedono.
5. Amare, aiutare e servire tutti, anche i propri nemici.
Tolstoj si avvicino' sempre di piu' ad una interpretazione letterale del vangelo, cercando di apprendere da esso insegnamenti pratici per la vita quotidiana. Riassume la propria personale filosofia cristiana nel libro Il Regno di Dio e' in voi.
Fu proprio leggendo questo testo che Mohandas Karamchand Gandhi, avvocato indiano intento a difendere i diritti dei lavoratori suoi connazionali immigrati nel Transvaal, in Sudafrica, trovo' la fede nella "non resistenza al male" e ne scopri' le grandi potenzialita' pratiche.
Nell'autobiografia Gandhi scrivera': "La sua lettura mi entusiasmo'. Ne ebbi un'impressione indimenticabile. A quel tempo io credevo nella violenza. Quel libro mi curo' dallo scetticismo e fece di me un fermo credente nell'ahimsa".
E' grazie all'ispirazione di Tolstoj che Gandhi applica la nonviolenza anche sul piano politico. Tra l'ottobre 1909 e il novembre 1910 fra i due vi e' un carteggio di sette lettere (quattro di Gandhi - allora quarantenne -, tre di Tolstoj - ormai ottantatreenne). Gandhi ha un'ammirazione sconfinata per Tolstoj, che considera uno dei pensatori piu' lucidi del mondo occidentale, tanto da intitolargli, ancora vivente, la fattoria "Tolstoj farm", messa a disposizione dei "resistenti passivi".
Gandhi sintetizza cosi' il pensiero di Tolstoj: gli uomini non devono accumulare ricchezze; per quanto male ci faccia una persona dobbiamo fargli del bene; occorre badare piu' ai propri doveri che ai propri diritti; l'agricoltura e'' la vera occupazione dell'uomo; e' contrario alla legge divina costruire grandi citta', per costringervi centinaia di migliaia di persona a lavorare alle macchine e a far arricchire alcuni sfruttando il lavoro di altri che rimangono poveri.
Tolstoj considera la nonviolenza di Gandhi "l'opera piu' centrale, piu' importante fra tutte quelle che si svolgono attualmente nel mondo, e di essa saranno partecipi necessariamente non solo i popoli del mondo cristiano, ma quelli di tutto il mondo". E in una lettera aggiunge: "Penso che vi fara' piacere sapere che anche da noi in Russia quest'attivita' si sviluppa rapidamente nella forma del rifiuto del servizio militare, che si fa ogni anno piu' diffuso". Gandhi raccoglie subito l'insegnamento e lo rivolge ai suoi seguaci: "Non resistete al male, ma non partecipate voi stessi al male, nelle azioni violente dell'amministrazione dei tribunali, della raccolta delle tasse e, piu' importante ancora, degli eserciti; e nessuno al mondo vi ridurra' in schiavitu'".
Tolstoj denuncia con forza lo stretto legame esistente fra violenza ed economia. "Tre sono le cause della guerra: ineguale ripartizione dei beni, esistenza dell'ordine militare, dottrine religiose ingannatrici... Finche' profitteremo delle ricchezze privilegiate, mentre le masse saranno oppresse dal lavoro, ci saranno sempre guerre. Non vale la pena di rifiutare il servizio militare e nella polizia ed ammettere la proprieta', che si mantiene soltanto per mezzo del servizio militare e della polizia".
Sono tre i principi fondamentali del pacifismo tolstojano. Il primo: "come non si puo' asciugare l'acqua con l'acqua, non si puo' spegnere il fuoco con il fuoco, cosi' non si puo' distruggere il male con il male". Per eliminare il male occorre una forza di segno contrario: l'amore. Se si aggiunge violenza a violenza, la somma totale della violenza non puo' che crescere.
Il secondo principio e' la non-collaborazione. Per eliminare ogni forma di violenza e oppressione politica, basta non parteciparvi: "rifiutare il servizio militare, rifiutare di fare il giudice, l'avvocato, il politico, di lavorare le terre altrui ecc. Ogni oppressione infatti si fonda sulla complicita' degli oppressi".
Il terzo principio, per la lotta contro il male: "Verra' distrutto il male fuori di noi, solamente quando lo avremo distrutto in noi". Il male puo' toccarci solo se in un modo o nell'altro vi partecipiamo. E non vi e' nulla di piu' dannoso per gli uomini del pensare che le cause della loro situazione non risiedono in loro stessi, ma in condizioni esterne.
Quando Tolstoj muore, Gandhi scrive: "Il grande Tolstoj ha lasciato il suo corpo terreno, ma non puo' esserci morte per l'anima di Tolstoj. Il suo nome restera' sempre immortale" ("Indian Opinion", 26 novembre 1910).
Oggi comprendiamo meglio la grandezza di Leone Tolstoj e la modernita' del suo cristianesimo nonviolento, che ha unito Oriente e Occidente; il suo messaggio, dopo un secolo, e' ancora strumento vivo e utile per opporsi alle guerre di oggi, mentre le ordinanze dei sindaci di Firenze, Venezia, Verona, contro i mendicanti, sono roba dell'Ottocento, come quel granatiere di vedetta al Cremlino.
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