Fuoritempio. Omelie laiche (anno B)
Riceviamo e - volentieri - pubblichiamo una raccolta di omelie, già edite dall'agenzia di stampa Adista. Valerio e Luca hanno trovato la forza di raccogliere, scegliere e - cosa non facile - trovare un editore - per rendere queste perle disponibili anche al grande pubblico.Non hanno trovato i salotti di "Porta a porta" spalancati, ma il loro lavoro merita una lettura. Non sono le solite omelie pensate in fretta ed esposte peggio. Sono frutto di riflessioni spesso scomode, fatte da chi in un altare non è salito mai e - proprio per questo - è capace di raccontare la Parola di Dio con una voce molto più limpida e cristallina.
Sempre la stessa predica?
Uomini e donne che per scelta, per condizione o per decreto si trovano a vivere la loro condizione di credenti (ma spesso anche di non credenti sensibili al fascino del rivoluzionario messaggio evangelico) “sulla strada”, fuori da ogni protezione o benedizione del potere ecclesiastico.
Insomma, una omelia “fuori-tempio”, che esce dalla sacralità del tempio per entrare nella laicità della storia, come l’Incarnazione: è stata la sfida raccolta in dieci anni (siamo partiti nell’autunno del 1998) da Adista, l’agenzia di stampa laica che da più di 40 anni diffonde informazione religiosa a tutto campo e senza reticenze.
Tante apparenti contraddizioni unite ad un’iniziativa che – per come è nata – è stata a suo modo dirompente come questa portano con sé una riflessione profonda e radicale sul senso della laicità; e non solo per questa esperienza della Parola, portata fuori dal perimetro che disegna a eparatezza el templum fidare ’aperto ell ’agorà n ui e nterpretazioni confliggono.
Si tratta, in realtà, di fare i conti fino in fondo con le violente trasformazioni che stanno cambiando questo nostro inquieto presente, sempre più simile per paradosso al falso movimento di un “fermo-immagine” che non lascia spazio ad attesa alcuna, né a senso ulteriore.
Uno still-life dai contorni vaghi e incerti sembra il ritratto di questa transizione lunga che attraversa la politica come la società, la giustizia come i diritti, l’economia come l’informazione, la Chiesa come la cultura: come cantava qualcuno tempo fa, “c’è sempre qualcosa che bolle, ma niente nella pentola”.
Eppure, nella foschia di questi giorni, c’è chi possiede bussole e sestanti adatti a realizzare i propri disegni, le proprie mappe, i propri interessi: è il caso, ad esempio dell’affannosa ricerca di una sorta di “sicurezza nazionale” della fede (Ad tuendam fidem), di “radici” su cui tentare di far crescere una pianta che non si vuole riconoscere dai propri frutti,come pure insegna il Vangelo; o di “progetti culturali” che si configurano come l’offensiva più massiccia e capillare per normalizzare il cammino di liberazione di un popolo che il Concilio aveva chiamato a decifrare i segni dei tempi, a farsi Chiesa con coraggio e responsabilità. O per i tanti provvedimenti che in questi anni hanno “silenziato”, indebolito, perseguitato in vario modo le voci più profetiche della cristianità inquieta, adulta, non omologata al pensiero unico laico ed ecclesiastico.
Non è, dunque, per una sorta di ripiegamento, né tantomeno per cercare scorciatoie che abbiamo pensato ad una sorta di Lectio humana, costruita settimana dopo settimana interrogando da vicino il testo evangelico per riscoprirne lo scandalo e l’implacabilità profetica; l’irriducibilità del kerygma ad ogni pretesa omologazione.
Come già avvertiva Sergio Quinzio, «ascoltando le omelie nelle nostre chiese, assuefatti come siamo a sentirci ripetere le antiche parole, non ne capiamo più nemmeno il senso (...). Non appartengono al nostro linguaggio, e forse la più grande difficoltà che l’uomo contemporaneo incontra quando cerca di avvicinarsi alla fede cristiana sta appunto in questa profonda differenza di linguaggi».
Ed è proprio questo scarto che siamo chiamati a trasformare in sfida, opportunità di dialogo e confronto per capire cosa continuino a dirci queste parole e come lascino il segno nelle nostre storie di donne e di uomini, di popolo dell’Esodo che, nonostante tutto, continua a cercare. Ognuna di queste omelie – che, etimologicamente, rinviano al chiamare a raccolta di una moltitudine che è e vuole essere comunità – sperimenta il bilico e l’equilibrio di quella laicità che Mario Cuminetti diceva essere a un tempo «assunzione di aporie e contraddizioni, sofferenza e rabbia,speranza e sogno».
I commenti che proponiamo si propongono di sottrarre il Vangelo al genere predicatorio del tempio, per restituirlo alla laicità e alla universalità delle strade e di coloro che le percorrono negli ambiti più diversi della vita quotidiana. Rispetto alla gloria della Domenica, l’invito è, dunque, a fare esperienza del Sabato; a lasciare che nel silenzio delle opere risuoni la grazia dell’inquietudine, della domanda, dell’attesa, della pazienza, degli spazi bianchi in cui la Parola prende il suo timbro e riceve il suo senso. Nessun vapore spirituale, né languore “buonista”, però: se queste omelie sapranno affliggere i consolati, avranno svolto solo metà del proprio.
Testi di
Vinicio Albanesi, Franco Barbero, Angelo Bertani, Luigi Bettazzi, Fausto Bertinotti, Leonardo Boff, Giancarlo Bregantini, Benedetto Calati, Gabriella Caramore, Anna Carfora, Giancarlo Caselli, Augusto Cavadi, Stefano Ceccanti, Giovanni Cereti, Vannino Chiti, Giancarla Codrignani, Vitaliano Della Sala, Nicoletta Dentico, Daniela Di Carlo, Giovanni Franzoni, Jacques Gaillot, Gianni Geraci, Rita Giaretta, Maria Caterina Jacobelli, Lidia Maggi, Giuliana Martirani, Enzo Mazzi, Arturo Paoli, Renzo Petraglio, Xabier Pikaza, Marco Politi, Antonietta Potente, Pasquale Quaranta, Armido Rizzi, Brunetto Salvarani, Mirella Sartori, Giorgio Tonini, Adriana Valerio, Marcello Vigli, Adriana Zarri
Di Girolamo
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