Pensionati di tutto il mondo, unitevi
esclusione ed emarginazione
Abbiamo semplicemente una pecca importante nella nostra costruzione sociale: l’istituzione del pensionamento obbligatorio, fase finale nella vita biologica e della sequenza Infanzia-Istruzione-Lavoro-Ritiro. Nessuno è contrario al diritto di chi è stanco di ritirarsi dai doveri del lavoro. Quel diritto dovrebbe essere disponibile a qualunque stadio, essendo la retribuzione della pensione grosso modo proporzionale ai contributi versati. Il problema sorge quando gli anziani vengono messi sul binario morto della vita sociale, in tedesco appunto Abstellgleis [binario ove riporre], ovviamente solo in attesa dell’inevitabile; mentre sui binari attivi passano treni, alcuni veloci altri lenti, con passeggeri da A a B, con progetti (più o meno lodevoli) da attuare.
Il lettore permetterà un aneddoto personale: mio padre, indebolito da un periodo trascorso in un campo di concentramento tedesco per via della sua partecipazione alla resistenza norvegese (chiamata da Goebbels, come da qualcun altro, un movimento di “terroristi”), ex-politico (vice-sindaco di Oslo), si ritirò dal suo lavoro di primario in otorinolaringoiatria all’ospedale municipale, pieno di idee sulla profilassi del settore per tutti gli scolari del paese, combinando le sue due vocazioni e aggiungendovi quella qualità che solo l’età e l’esperienza professionale possono dare all’istruzione: la saggezza. Sicché, aspettò la voce del dovere, non per soldi ma per essere utilizzato.
Quella chiamata non arrivò mai. Invece di dare contributi alla società, fu costretto a contribuire solo a se stesso occupandosi dei suoi hobby, nel suo caso la lettura di biografie francesi; fino alla morte, pacificamente. E suo figlio fece una promessa a se stesso: organizzati la vita in modo tale da poter contribuire fino alla fine.
C’è un modo ovvio: chiudendo il ciclo di vita sociale. Nasce un bambino in una Famiglia che consegna alla Scuola un bambino relativamente socializzato, la quale consegna uno studente ragionevolmente istruito al Lavoro che consegna una persona ragionevolmente stanca al .. pensionamento, al binario morto come rifiuto sociale dopo adeguata spremitura. Ma, continuando la metafora, in quel rifiuto c’è qualcosa di molto prezioso: semi di un’esperienza condivisibile, su invito, con i più giovani a scuola e quelli di media età al lavoro.
Come si possa fare è piuttosto ovvio e si fa spesso, la situazione non è così disperata, solo non come un diritto umano. I nipoti possono andare oltre l’intrattenimento e condividere esperienze di vita con i loro nonni, si spera memori che ci può essere più da imparare da storie liete e ispiranti che da quelle tristi e deprimenti, più dai successi che dai fallimenti, pur senza nascondere questi ultimi. Ma i nonni possono anche mettersi in disparte, accettando l’ideologia generale che la loro istruzione è stata superata tanto tempo prima da una conoscenza nuova e ritirarsi nei ruoli d’intrattenimento e del fare regali.
La Scuola può essere più promettente che la Famiglia come palcoscenico. Si può invitare chiunque a dare un resoconto su com’era da lattoniere, dentista, mediatore, autore, condividendo esperienze preziose cristallizzatesi in visioni che possono essere distillate come saggezza. I giapponesi, e altri, lo praticano parecchio, forse soprattutto in scuole locali. C’è ovviamente un modello famoso: la tradizione hindu dei vecchi che hanno raggiunto moksha, la piena autorealizzazione, dopo dharma, l’acquisizione dei valori e delle competenze morali, artha, la loro attuazione nel lavoro, e karma, godimento – non come fasi successive ma come componenti con il baricentro che si muove come indicato – condividendo la propria saggezza con persone più giovani all’ombra misericordiosa dei rami lussureggianti di un banyan [fico sacro].
Guardiamo i giovanotti ventinovenni nella sala della Borsa Valori di New York, gonfi delle loro competenze da laureati in economia & commercio non temprate da esperienza alcuna. Qualche avvertimento da parte della generazione un po’ più vecchia avrebbe potuto essere utile, anche se forse non sarebbe stata vecchia abbastanza. Per aver vissuto la Grande Depressione a 29 anni avrebbero dovuto nascere nel 1900 – e questi non sono più fra noi. Ma lo sono sempre più i 79-89-99enni, che hanno parecchio da raccontare. Per denaro? Non necessariamente. Per un orecchio che ascolti, abbastanza maturo da sapere che la presenza sociale non può essere monopolizzata dai più giovani e da coloro di mezza età a scapito dei più anziani, proprio come non può essere monopolizzata da un genere, una razza, una classe sociale. I più giovani, le donne, i non-bianchi, le classi lavoratrici si uniscano anch’essi alla lotta per l’inclusione degli anziani!
Se manteniamo il pensionamento obbligatorio intorno alla sessantina, gli esclusi potranno prima o poi essere la maggioranza con la nostra aspettativa di vita in aumento e la fertilità in calo. Si sentono lamentele che ci sarebbero pochi giovani per sostenere gli anziani e i loro acciacchi. Qualcuno dei quali forse ha a che fare con il vedersi assegnare un posto in sala d’aspetto, assorbendo lo stress non di essere sovrautilizzato ma sottoutilizzato? E forse una società incapace d’imparare dagli errori individuali e sociali del passato è condannata a riviverli? Forse sarebbe un vantaggio per la società se Pensionati Uniti semplicemente scendessero in campo sociale, in luoghi pubblici, nei media, non solo per emettere avvisi di fallimento imminente ma per risuscitare successi del passato, non solo per irradiare amarezza per la propria esclusione ma gratitudine per la vita vissuta e tuttora in corso? E, ovviamente, per quanto possibile essendo ancora parte della vita produttiva, contribuendo al proprio mantenimento tutte le volte che questo è possibile. Ma senza esserne costretti.
La liberazione delle classi lavoratrici, delle donne, dei non-bianchi, è meravigliosa, per tutti. Così pure la liberazione degli anziani.
Johan Galtung
Traduzione di Miky Lanza per il Centro Studi Sereno Regis
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