Il sogno di Bernard Haring: la lettera pastorale di Giovanni XXIV

"I have a dream". Così si esprimeva Martin Luther King il 28 agosto 1963 davanti al Lincoln Memorial di Washington. Anche Bernard Häring (1912-1998), considerato il più grande teologo morale del XX secolo, aveva un sogno. Lo affidò alle pagine di un piccolo libro (Perché non fare diversamente, Queriniana, 1993), immaginando una lettera pastorale del nuovo papa Giovanni XXIV. Oggi, quasi 15 anni dopo, le sue parole sembrano quanto mai attuali e profetiche.
26 luglio 2009
Bernard Haring

Bernard Haring, teologo

Lettera pastorale di Giovanni XXIV all'inizio del nuovo millennio, 1.1.2001

Dilette sorelle e fratelli!

Nel suo pellegrinaggio la cristianità entra oggi nel terzo millennio. Essa si trova di fronte a problemi grandi e scottanti. Ma riponiamo la nostra speranza nel Signore della storia e ci apriamo con umiltà al suo Spirito Santo.

In questo giorno che cosa può starci più a cuore dell'istanza fondamentale espressa dal nostro Fondatore umano e divino, prima della sua dipartita: "Perchè tutti siano una sola cosa"?

Con Giovanni XXIII e con il Concilio da lui convocato, in cui per la prima volta era rappresentata tutta la terra, un'alba luminosa è spuntata. La chiesa cattolica è entrata nell'era dell'ecumenismo. Paolo VI, il suo venerando successore, continuò con tenacia la sua opera. Egli ebbe anche il coraggio di esprimere, davanti al consiglio ecumenico delle chiese il proprio timore che il papato, nella sua forma storica, sarebbe potuto divenire un grande ostacolo sulla via della riunificazione della cristianità. Il suo amabile successore Giovanni Paolo I affermò con chiarezza profetica che la colleggialità fra i vescovi ed il papa costituisce la prova ed il sigillo della cattolicità. E aveva anche coraggiosamente riflettuto su ciò che questo dovrebbe significare, per esempio per il modo dell'ufficio dell'esercizio petrino.

Molte cose sono nel frattempo succedute e molte occasioni si sono perse. Ora è giunto il tempo di fare subito dei passi decisivi. Il passo più importante consiste anzitutto in una rivisitazione umile e coraggiosa della storia del papato. In secondo luogo dobbiamo dare chiari segni che sappiamo imparare dalla storia e che vogliamo lasciarci illuminare dalla parola di Dio. Riflettiamo sull'ufficio petrino, così come esso fu delineato da Gesù e si espresse nella tradizione più antica.

Il secondo millennio è l'era delle tristi divisioni della chiesa. Una delle cause furono l'irretimento dei vescovi, in particolare dei vescovi di Roma, in lotte mondane di potere, nonchè idee troppo mondane circa l'esercizio dell'autorità ecclesiale e del potere. Questo provocò una cecità incomprensibile. Con sgomento pensiamo alla tortura, ai roghi degli eretici e delle streghe. I metodi dell'Inquisizione impedirono il dialogo sano e franco nella ricerca di una maggior luce in questioni dottrinali, morali e di disciplina ecclesiastica.

Malgrado tutto Dio continuò a far dono alla chiesa romana anche di buoni vescovi. Ma la loro santità e sapienza non riuscì a imporsi in misura sufficiente in seno a strutture fossilizzate. Le chiese si difesero e difesero la loro dottrina e prassi con una specie di mentalità da fortezza assediata. Ogni parte, ed in particolare i papi, rivendicarono una specie di monopolio sul possesso della verità. E così si smise in larga misura di cercare insieme. Ma rendiamo lode a Dio, che ha continuato a far spirare il suo Spirito in tutte le parti della cristianità, che ha permesso di compiere tanti passi sulla via di una riconsiderazione ecumenica e che ha rafforzato lo spirito del dialogo e del reciproco ascolto.

Oggi volgiamo comunque il nostro sguardo al futuro, pur nella piena consapevolezza del passato che rimane ancora da superare. Mi limito a menzionare i punti più importanti del programma immediato:

1. Poichè il trono, la corona ed i titoli pomposi sono sintomi patologici, proibisco energicamente di chiamare i vescovi di Roma con titoli antievangelici come "Sua Santità", "Santo Padre"; così infatti Gesù chiama Dio il solo Santo prima della sua dipartita. Ci vergognamo del fatto che il papa abbia permesso ai suoi cortigiani di chiamarlo "Sanctissimus" e "Beatissimus". Non vi saranno più "prelati domestici di sua Santità", nè "porporati". Nè in Vaticano si parlerà più di Eminenze, Eccellenze e cose del genere. Perchè il punto di incontro con Dio, che in Gesù si è rivelato come umiltà, è la coscienza del nostro nulla.

2. Faremo nostri, quanto prima, i risultati sorprendenti dei dialoghi bilaterali e multilaterali e li porteremo al sospirato traguardo. Simbolo di ciò sarà il fatto che il "Segretariato per l'unione dei cristiani" diventerà d'ora in poi una delle autorità principali e sarà trasformato nella Congregazione per l'unione dei cristiani. Per quanto riguarda la ricezione dei risultati, competente non sarà più la Congregazione per la dottrina della fede. Sotto la guida della Congregazione testè menzionata per l'unione dei cristiani si procederà a stabilire strutture corrispondenti, le quali garantiscano che tutto il popolo di Dio, in particolare i vescovi, le conferenze episcopali e le facoltà teologiche, intervengano fattivamente in questo processo importante.

3. Il papa si lega a strutture precise, che esprimono e favoriscono la colleggialità. Ciò significa fra l'altro che il sinodo dei vescovi, che si raduna a intervalli regolari, svolgerà più che una funzione di consulenza. Il papa accoglierà le sue conclusioni e di norma le approverà. I punti controversi saranno chiariti con un dialogo paziente e schietto.

4. Per quanto riguarda la scelta e la conferma dei vescovi di tutto il mondo torniamo decisamente alla prassi del primo millennio. Al riguardo possiamo sicuramente molto imparare dalla prassi ininterrotta delle chiese ortodosse e dalle chiese nate dalla riforma protestante, nostre sorelle. Il vescovo di Roma, in corrispondenza al suo compito ecumenico, sarà eletto dai suoi rappresentanti delle conferenze episcopali, secondo modalità che saranno stabilite dal prossimo sinodo dei vescovi. Quanto prima, un sinodo dei vescovi dovrà similmente procedere alla riforma del cosiddetto corpo diplomatico. Già il semplice nome è inaccettabile, perché ricorda troppo strutture del potere statale.

5. Un'accurata interpretazione dei documenti del Concilio Vaticano I e II alla luce della parola di Dio e della tradizione ha sufficientemente dimostrato che l'esercizio della suprema autorità magisteriale del vescovo di Roma è completamente inserita nel tutto della chiesa. Egli non è, per così dire, un maestro che parla dall'alto e dal di fuori, ma è inserito in maniera particolare nel processo di apprendimento con le sue dimensioni ed i suoi organi ecumenici. Suo compito è quello di confermare, mediante l'esempio ed il modo di esercitare la propria autorità, la fede del Servo di Dio e Figlio dell'uomo umile e nonviolento accreditato dal Padre e di contribuire così ad esprimere la fede di tutta la chiesa. Egli fa parte sia della chiesa discente e ascoltante, sia della chiesa docente; con tutti gli altri deve tendere soprattutto l'orecchio alla parola di Dio, osservare e cercare di decifrare i segni dei tempi.

Deve conoscere che cosa nella chiesa realmente si crede in virtù della libertà del senso della fede e della coscienza. Deve prestare attenzione alla ricezione o alla eventuale non ricezione delle encicliche e lettere pastorali. Il vescovo di Roma non può assolvere fecondamente e con fiducia questo compito, in collaborazione con i suoi confratelli nell'episcopato, se in tutta la chiesa non c'è veramente posto per un dialogo sincero. Sicuro del consenso dei miei confratelli nell'episcopato abrogo perciò le disposizioni del diritto canonico (CIC c. 1371, 1), secondo le quali qualsiasi manifestazione di dissenso nei confronti di dottrine non infallibili del papa è un delitto. Al di fuori dei nostri voti battesimali e della comune professione della nostra fede non esiste d'ora in poi alcun giuramento di fedeltà al papa. "Sia il vostro parlare sì, sì; no, no. Il di più viene dal maligno" (Mt 5,37).

6. Le scottanti questioni ora emergenti, come ad esempio quella del ruolo della donna nella chiesa e della sua eventuale ordinazione sacerdotale, non saranno d'ora in poi più tabù. Esse vanno chiarite nel dialogo intraecclesiale e con disponibilità ecumenica ad imparare, fin quando non saranno mature per essere risolte. Risoluzioni che il papa non prenderà da solo, ma in piena collegialità.

7. La chiesa deve essere luce del mondo e sale della terra. Essa deve e vuole divenire una specie di sacramento della salvezza, della guarigione, della pace e della giustizia universale. Per questo percorriamo il nostro cammino con profonda e sentita solidarietà con tutta la famiglia del genere umano, con tutti i popoli e tutte le culture, non da ultimo anche con le grandi religioni mondiali dell'Oriente.

In unione con tutti intendiamo imparare, vigilare, pregare e lavorare per la soluzione dei problemi più scottanti, affidatici anche dal vangelo come la pace e il lavoro per la pace nello spirito della non violenza evangelica e dell'amore riconciliatore, la giustizia e la conservazione della creazione affidata agli uomini.

Raccomando me stesso e il mio servizio in seno alla chiesa alle vostre preghiere, così come raccomando voi alla grazia e all'amore di Dio nostro Padre e del nostro Signore Gesù Cristo.

Tratto dal libro "Perchè non fare diversamente?"
di B. Haering, ed Queriniana. pg 79-86

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