I voti uccidono il piacere di apprendere
Matteo Della Torre e Mariella Dipaola
Nel 1792, presso la Cambridge University, William Farish, docente di meccanica, per la prima volta nella storia dell’educazione, valutò con un numero il compito di un suo studente. Forse Farish non ebbe consapevolezza di aver segnato un passaggio importante. Per la prima volta si attribuiva un valore numerico a un pensiero umano. Il professor Farish non aveva forse immaginato quale forma di ossessione avrebbe scatenato nei genitori degli studenti.
In molti contesti familiari, in effetti, nel momento in cui ci si affaccia alle porte della scuola dell’obbligo scatta una forma morbosa di attenzione per i voti degli inermi studenti in erba. Tanti genitori vivono in costante competizione con i compagni di classe dei figli, sui quali riversano attese proiettive delle proprie ambizioni frustrate.
Se le performace scolastiche dei figli non collimano con le aspettative genitoriali, scattano immancabili minacce e/o punizioni d’ogni genere: dalle percosse alle privazioni della libertà. Niente Play Station, niente regali a fine anno, niente tv! Un vero spauracchio che rende davvero penosa la vita di molti piccoli studenti.
A scuola la stragrande maggioranza di coloro che hanno il compito di assegnare un numero ad una prestazione umana ripete, come un disco rotto, il solito mantra delle “intelligenze/eccellenze che vanno premiate”. Ma intanto le più recenti tendenze del dibattito accademico pedagocico internazionale muovono in tutt’altra direzione. In Francia un cospicuo numero di intellettuali chiede l’eliminazione dei voti dalla scuola primaria. In Finlandia non ci sono più i voti già da tempo. Solo emoticon, tristi o sorridenti. Un grande balzo in avanti sul piano pedagogico.
Resta, tuttavia, sullo sfondo un orientamento educativo che risponde icasticamente alla logica del “salta il cerchio e mangia il biscotto”, come affermava provocatoriamente John Holt, padre dell’homeschooling. Come tanti animali da circo i nostri bambini vengono addestrati a ripetere cose insensate per le loro menti, con l’unico scopo di ottenere un premio. Come i topolini di Skinner, i bambini azionano la leva del sapere vuoto e nozionistico per ottenere un piacere totalmente avulso dal contenuto della conoscenza, una ricompensa estrinseca all’apprendimento. Questo meccanismo perverso uccide nei bambini l’amore per il sapere. Mi è capitato di raccogliere la confidenza di una bambina di scuola primaria che ha letto un libro tutto d’un fiato solo per vincere una scommessa con sua madre: la lettura di un libro in cambio di un iPad come regalo natalizio.
Chi studia allo scopo di essere premiato imparerà ben presto ad interessarsi soltanto di conoscenze gradite agli adulti, mortificando la propria creatività, la propria curiosità, il proprio lato “divergente”. In altre parole, diventerà conformista. Da grande imparerà che è utile percorrere solo sentieri già battuti. Einstein sosteneva che chi è creativo nonostante abbia frequentato una scuola convenzionale, lo è perché ha saputo resistere con tenacia a un sistema che ha tentato sistematicamente di fiaccare il suo pensiero divergente.
Non è un caso che molte delle menti creative e di successo del presente abbiano frequentato le scuole antroposofiche Waldorf o le scuole di Maria Montessori. Ad esempio, alcune brillanti personalità del Web come Larry Page e Sergey Brin (fondatori di Google), Jeff Bezos (creatore di Amazon) e Jimmy Wales (cofondatore di Wikipedia), da piccoli hanno frequentato le scuole montessoriane.
E’ emblematico che sia le scuole steineriane che quelle montessoriane non abbiano il sistema dei voti. Nelle scuole Waldorf ogni alunno riceve a fine anno una sobria valutazione del suo percorso di crescita. Il suo intero iter scolastico termina accompagnato da una scheda descrittiva delle attività svolte durante l’anno. L’insegnante, dunque, si decentra per lasciare allo studente, ormai maturo, la responsabilità dell’autovalutazione. Pedagogicamente si traccia un percorso che passa da una valutazione “assistita”, eterodiretta, nei primi anni di studio, fino ad una fase di assoluta fiducia nell’alunno e nella sua capacità di autodirigersi e autovalutarsi.
E l’individuo eterodiretto per tutto il suo percorso di studi? Quale contributo saprà dare al mondo? Che tipo di cittadino sarà un individuo incapace di un “locus” di controllo interno?
Sarà conformista, acquiescente, acritico, incapace di lottare per il cambiamento, paralizzato dalla sola idea di abbandonare i sentieri battuti per imboccarne nuovi e generare l’inedito. Sarà cinico, perché è stato addestrato a non aiutare i compagni di classe in alcun modo, altrimenti sarebbe punito dal sistema scolastico con la perdita di punti per sé, voti per sé, lodi per sé… in un vortice vizioso e centripeto che eleva l’egoismo e l’individualismo a virtù.
Sarà forse anche un pò imbroglione quando nessuno lo vede, perché chi studia per il voto e magari “copia” senza farsi vedere, al compito in classe, per prendere un buon voto, da grande imparerà che quando i controllori si voltano dall’altra parte si possono infrangere le regole; l’importante è non farsi “beccare”. Un inividuo dalla moralità ferma ai blocchi di partenza, o preconvenzionale, direbbe Kohlberg.
Ha ragione Ruben Alves, allora, quando afferma che Collodi ha mentito: la scuola non trasforma Pinocchio in un bambino in carne e ossa, ma, al contrario, trasforma un bambino in carne e ossa in un adulto legnoso, rigido e infelice come Pinocchio.
Se la scuola/fabbrica continuerà a “sfornare” cittadini di tal fatta quale futuro ci attende?
Fonte: www.uomoplanetario.org
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