La "deforestazione amazzonica" in provincia di Foggia continua!
Lo scenario è immutato: una strada provinciale (la SP 64 per Canosa), dei meravigliosi alberi secolari di eucalipto che la costeggiano. La dinamica è invariata: un atto burocratico della Provincia, il rombo delle motoseghe, gli schianti dei tronchi a terra, il deserto incipiente.
Dopo l’abbattimento di 60 alberi del 30 aprile 2004, lo scempio della deforestazione amazzonica in capitanata è continuato nel mese di luglio con il taglio di altri 72 alberi. Un piccolo “bosco” di 132 alberi è stato giustiziato davanti ai nostri occhi. E tutto fa supporre che si andrà avanti così fino a radere al suolo l’intero patrimonio arboreo della SP 64.
La motivazione addotta è che gli eucalipti hanno sollevato il manto stradale rendendo pericolosa la circolazione dell’idolo automobile.
Ma, in realtà, osservando con attenzione la strada della zona interessata, abbiamo constatato che soltanto 22 dei 132 alberi abbattuti sollevavano l’asfalto. Era proprio necessario abbatterli tutti? D’altra parte, un vecchio adagio dice che per ogni problema ci sono almeno tre soluzioni. E allora, perché non cercarne insieme di più valide?
Per partorire le appropriate risposte ecocompatibili, occorre essere capaci, cioè sapere che cosa e come fare, essere dotati di immaginazione e di “empatia ecologica”, unita all’interessamento, all’I care; ma, soprattutto, come prerequisito a tutto ciò, è indispensabile essere presenti a se stessi e ai valori in cui si crede.
Dobbiamo ammettere, con profonda amarezza che, in merito all’accaduto, l’indifferenza dei cittadini è stata unanime.
E gli ambientalisti che fanno? E’ una domanda lecita. La risposta è: niente! Nonostante gli appelli per iscritto fatti pervenire il 30 aprile 2004 dalla Casa per la nonviolenza alle associazioni ambientaliste di San Ferdinando di Puglia, come anche a quelle provinciali e regionali (Legambiente, WWF, Lipu…), il silenzio è stato assordante.
E’ il sintomo evidente dell’individualismo profondo di una certa cosmologia ambientalista, che vive sempre più immersa in ecosistemi angusti e monadici.
Quali sono gli affari di casa nostra? Fin dove è lecito, opportuno e conveniente spingere l’ardimento? Sono domande che lanciamo nell’etere e che esigono risposte puntuali ed oneste.
Fin qui abbiamo parlato dei “paladini” dell’ecologia. Ma scaricare su di loro responsabilità omissorie e accuse di immobilismo non è corretto, né tanto meno realistico.
Gli alberi non sono monopolio degli ambientalisti, ma patrimonio dell’intero corpo sociale; non hanno colore politico, non sono né neri, né azzurri, né rossi. Sono di tutti, nessuno escluso. Delegare all’associazionismo verde la soluzione dei problemi ambientali è un atto da scriteriati.
Al di là e al di sopra delle competenze politiche istituzionali, ben oltre le cadute di coerenza degli ambientalisti, quando si consumano simili “crimini” contro l’ecosfera (che speriamo siano, quanto prima, severamente sanzionati dal Codice Penale italiano), siamo difronte ad una rovinosa caduta, al fallimento della nostra umanità che con sforzo titanico, fa di tutto per catalizzare processi di autoestinzione.
Agli addormentati non resta che gridare allo scandalo quando sopraggiungono alluvioni ed esondazioni devastanti, e fissare inebetiti le punte dei piedi quando si tratta di proporre soluzioni per effetto serra, desertificazione, impoverimento del paesaggio e distruzione della biodiversità.
Oggi, intanto, una cultura sociale e del “bene comune” permeata di ignoranza ed insensibilità, taglia senza scrupoli centinaia di sequoie in ossequio al culto della velocità/comodità/risparmio, disinteressandosi cinicamente di cosa accadrà domani.
Chi tra di noi metterà in relazione il taglio di 132 eucalipti su una strada provinciale con una futura devastante alluvione in Bangladesh? E’ l’effetto farfalla. Chi tra di noi si preoccupa, oggi, per gli effetti negativi di simili gesti sulle generazioni future? Questa, amici, si chiama violenza temporale. Il suo motto è “me ne frego!”.
Ci sono delle cause orfane in attesa di essere adottate. Il destino degli eucalipti della SP 64 è una di queste. Pertanto, attingendo ai residui brandelli di speranza, reiteriamo, con fare recidivo, un’ulteriore richiesta di solidarietà intra/intergenerazionale.
Il nostro appello è rivolto a chi ha un minimo di sensibilità ambientale. Prendiamo lezioni dal movimento delle donne indiane, denominato Chipko, che hanno abbracciato i loro alberi per evitare che fossero tagliati dalle multinazionali del legno. Proteggiamo questi “monumenti” superstiti di un paesaggio naturale che stiamo sempre più rarefacendo. Leviamo la nostra protesta contro questa azione deturpatrice che manda in malora centinaia d’anni di storia naturale. Le soluzioni alternative alla motosega ci sono e vanno ricercate insieme. Diciamo con forza che il benessere duraturo non si costruisce allargando le strade, ma tutelando gli alberi, così necessari alla sopravvivenza della specie umana, eppure immancabilmente assenti nelle agende dei nostri “illuminati” politici.
Matteo Della Torre
sarvodaya@libero.it
Note sulla Casa per la nonviolenza: http://db.peacelink.org/associaz/scheda.php?id=1155
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