In Italia un unico poliziotto importante ha avuto il coraggio di esprimere la propria rabbia e vergogna per quanto accaduto durante il G8 di Genova: peccato che questo poliziotto esista solo nella finzione letteraria di Andrea Camilleri. La sua creatura - il commissario Montalbano - all'inizio del romanzo "Il giro di boa" (uscito nel 2003) s'infuria quando sente in televisione la notizia che la magistratura ha smascherato i protagonisti del blitz alla Diaz, scoprendo che le due bombe molotov, usate come "prova" per arrestare 93 persone dopo averle pestate, erano state portate dentro la scuola da alcuni agenti. Montalbano s'indigna, non sopporta che fra i responsabili del blitz alla Diaz ci siano dirigenti di primo piano della polizia di stato: l'onta è tale che il commissario pensa di dimettersi e cercare un nuovo lavoro. Montalbano a dire il vero resterà in polizia, ma la sua "ribellione" è quella di un "uomo dello Stato" ferito nel profondo. Le poche pagine del "Giro di boa" dedicate al G8 andrebbero inviate a tutti i dirigenti della polizia di Stato che in questi anni, dal 2001 in poi, hanno taciuto sugli abusi compiuti a Genova. Andrebbero indirizzate, in particolare, a quei dirigenti imputati nei processi che riprenderanno a metà ottobre e che nel frattempo hanno ottenuto promozioni anziché censure e sospensioni dall'incarico in attesa del giudizio, come dovrebbe avvenire in una democrazia normale.
Se "Il giro di boa" avesse una nuova edizione, il povero Montalbano dovrebbe constatare che molti degli "eroi della Diaz" sono stati premiati. Due casi sono recentissimi: il dottor Francesco Gratteri è da poche settimane questore di Bari, una delle città più delicate d'Italia per la gestione dell'ordine pubblico, mentre il dottor Vincenzo Canterini non ha ricevuto un incarico operativo, ma ha ottenuto il grado di questore. Un altro "eroe" del G8, quell'Alessandro Perugini ripreso da una telecamera mentre scalciava un ragazzino appena arrestato senza motivo e pestato a sangue, è divenuto vice questore. Tutti e tre avranno un bel daffare a partire dal prossimo 12 ottobre, visto che dovranno conciliare i rispettivi impegni professionali con le due udienze settimanali dei processi che li riguardano (Perugini è imputato anche per le vicende della caserma-lager di Bolzaneto).
Se Camilleri un giorno ci darà una versione aggiornata del romanzo, dovrà dedicare almeno un paragrafo anche alla tragicommedia di questi giorni sulla messa in onda, da parte della Rai, del film ricavato da "Il giro di boa". Servirà tutta la maestria dello scrittore per realizzare un'operazione di "fiction nella fiction", ma ne varrà la pena, perché sarà l'occasione per mettere a nudo le miserie morali del nostro paese. Ha creato scandalo nella destra e il solito imbarazzato silenzio in gran parte del centrosinistra il fatto che si mostri in tv la crisi di coscienza del commissario Montalbano, il poliziotto più amato dagli italiani. Un parlamentare della destra, nel denunciare l'inopportunità del film, è arrivato a invocare la "delicata situazione" interna e internazionale in materia di sicurezza! Il prestigio delle forze dell'ordine - pare di capire - sarebbe leso dal film, e non dalla condotta di alcuni agenti e dirigenti durante e dopo il G8. E' il mondo alla rovescia: si tace (a volte addirittura si applaude) quando si premiano i poliziotti imputati, e si protesta se qualcuno che non esiste (il nostro Montalbano) pensa di fare intuire ai cittadini che non è affatto normale adattarsi all'idea che la polizia di Stato possa picchiare e arrestare senza motivo, oltre a costruire prove false per depistare la magistratura.
Il punto è che l'argomento polizia in Italia è quasi un tabù. Non si può dire che si sta accettando la presenza in posti chiave di personaggi gravemente compromessi nella loro credibilità personale; che si lanciano messaggi di ostilità ai tanti Montalbano costretti a soffocare le loro coscienze ferite; che lo Stato sta sostenendo una sorta di "impunità preventiva" rispetto ai processi in corso a Genova. Non si può dire che oggi c'è bisogno urgente di mettere in cantiere una nuova riforma democratica delle forze di polizia, di tutte le forze di polizia, inclusi carabinieri, guardia di finanza, polizia penitenziaria. La prevenzione, la trasparenza, l'apertura alla società civile, la lotta al corporativismo - ossia gli architravi della vecchia riforma dell'81 - non hanno più diritto di cittadinanza all'interno delle nostre forze dell'ordine.
Nei giorni scorsi quando Gigi Malabarba, uno dei pochi parlamentari che hanno a cuore i rapporti fra democrazia e apparati di sicurezza, ha osato criticare il capo della polizia Gianni De Gennaro e le promozioni di Canterini e Perugini, avvenute oltretutto a scapito di altri funzionari probabilmente più meritevoli, alcuni sindacati di polizia hanno reagito con veemenza rivelatrice. "Con le promozioni non viene meno un principio di responsabilità [...] Se dovesse prevalere la tesi che basterebbe una semplice incriminazione per togliere dal circuito investigativo validissimi funzionari, si farebbe un grande regalo alla criminalità organizzata": parole di Filippo Saltamartini, segretario del Sap (secondo sindacato per numero di iscritti). "In un paese di diritto nessuno può essere condannato sulla base del sospetto, neanche un funzionario di polizia, che ha diritto alla sua dignità e al suo lavoro come ogni altro cittadino di questo paese": Oronzo Cosi, segretario del Siulp (primo sindacato per numero di iscritti). "E' un comportamento irresponsabile di un uomo dello Stato (il senatore Malabarba, ndr) che dimostra di non conoscere il passato professionale del capo della polizia, un uomo, un poliziotto che gode della stima incondizionata dell'istituzione che dirige e degli uomini e delle donne della polizia di stato": Giuseppe Tiani, segretario del Siap (un sindacato "minore"). Il Silp-Cgil ha brillato per il suo silenzio.
Nell'insieme queste posizioni rivelano tre cose. Uno: il totale allineamento dei sindacati sulle posizioni opache e corporative del prefetto De Gennaro. Due: la grave e strumentale confusione fra presunzione d'innocenza e opportunità politico-morale a ricoprire certi incarichi in un'istituzione che deve garantire lealtà, credibilità, rispetto delle leggi, spirito di servizio più di ogni altra, in quanto autorizzata ad usare la violenza in modo legale. Tre: il drammatico distacco che separa le forze di polizia dalla cittadinanza.
C'è poi un quarto punto: l'incapacità degli organismi istituzionali, a cominciare dal parlamento, a garantire trasparenza e "controllo" su forze di polizia che sembrano sempre più slegate dai vincoli tipici delle democrazie avanzate.
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