Genova è nei cpt, a Beirut, a Kabul
Genova per me oggi, a cinque anni esatti da quel 20 luglio, è essere davanti a un Cpt per tentare di chiuderlo. Ogni anniversario sono sempre stato combattuto. Il ricordo di un fratello che ha perso la vita, a cui l'hanno tolta, mentre si batteva contro l'arroganza e l'ingiustizia del potere, non sono mai riuscito a viverlo lì, in quella città, in quella forma di strano pellegrinaggio della memoria che a volte sembra costruito solo per dire che niente è più possibile, né un altro mondo, né un'altra storia. Genova e il nostro 20 luglio non si possono che vivere al futuro.
A volte sento parlare di «verità e giustizia» per Genova, come se verità e giustizia potessero essere declinate al passato, fissate come date del calendario e timbrate con i sigilli dello stato. Non è mai stato vero, dalla strage di piazza Fontana in poi. Verità e giustizia sono sempre state legate al futuro, alla voglia di chi a Genova c'era o di chi vorrebbe esserci stato, di continuare a correre, a sognare, a desiderare un mondo diverso. Verità e giustizia, perché non diventino uno strumento del potere, non possono restare ferme. Né dentro tribunali, né dentro le aule del Parlamento. Anzi, sono convinto che una delle strategie per sconfiggere i movimenti di cambiamento radicale, come quello di Genova, sia proprio quella di fissare, di imprigionare come in un calco di gesso, quel 19, 20 e 21 luglio del 2001 e dire che quella è Genova, che ogni anno che passa ingiallisce come le vecchie foto. No, Genova è movimento, può essere solo reincontrata davanti a noi, nelle lotte grandi e piccole che continuano, per fortuna, a rendere non pacificato e rassegnato un mondo come questo.
Certo, i movimenti cambiano, e già oggi è tutto diverso: quel 20 luglio eravamo tutti d'accordo, tutti fuori da quelle grate della zona rossa, tutti a dire che il buonsenso e l'umanità ci spingevano a essere radicali. Oggi alcuni sono dall'altra parte, e non perché abbiano scavalcato. Altri pensano che il buonsenso ci deve spingere a non essere radicali, ma a mediare, anche sull'orrore della guerra. Altri ancora chissà dove sono.
La cosa importante mi sembra che sia portarsi dentro Genova. Abbiamo attraversato, da movimento, una mobilitazione globale che ha cambiato le cose. Insieme all'affermazione del diritto di resistenza dei popoli contro la guerra, si è espressa la più grande potenza che avessimo mai visto, ed è stata in grado di mettere in discussione e in crisi il pensiero unico. Tra le tante cose essa ha anche prodotto, qui da noi, un cambio di governo.
Ma Genova non può stare ferma lì. Genova, come i movimenti, segue il tempo della natura, perché è viva, e non è lineare né progressiva. Genova si fa vedere in Val di Susa o in una banlieue, nello sciopero sociale dei latinos negli Usa, o in una rivolta al Cpt di Torino. Genova appare nell'ostinata volontà di non allinearsi con il nuovo pensiero unico, quello della guerra umanitaria, o nelle carovane che partono per la Palestina. Genova è in Libano, Genova è a Kabul con Gino Strada. Genova è sempre stata al futuro: in via Tolemaide il diritto di resistenza è cresciuto nella pratica di migliaia di persone, per rispondere a un potere che decideva la guerra; è lì che la polizia è diventata esercito e l'esercito polizia, proprio come è avvenuto dopo, in Afghanistan e in Iraq.
E' per questo che Genova bisogna anche lasciarla stare. Non si può utilizzare per dire tutto e il contrario di tutto. Non si può tirarla da una parte e dall'altra, a seconda delle convenienze politiche del momento. Questo lo faranno, l'hanno già fatto, coloro che Genova non ce l'hanno dentro. Imprigionati, come in quel calco di gesso, rischiano di rimanere quelli tra noi che per Genova sono sotto processo. Trasmissioni televisive, dibattiti, inchieste hanno già provato che a Genova vi fu una sospensione di qualsiasi diritto, vi fu una repressione fascista, sistematica, di ogni persona. Solo per questo bisognerebbe dire che nessuno dei manifestanti, dico nessuno, può essere condannato per qualche cosa. Bisognerebbe dire che gli imputati hanno diritto all'amnistia, tutti, nessuno escluso. Quelli accusati di saccheggio e devastazione e quelli inquisiti a Cosenza per cospirazione politica e associazione sovversiva.
Questo declinerebbe verità e giustizia al futuro, permetterebbe di non lasciare più indietro nessuno, perché è questo che rischieremmo se non uscissimo dalla visione di Genova che ci hanno imposto. Nessun tribunale e nessun Parlamento dirà mai che a Genova vi è stato ciò che noi, come tutti, sappiamo. Ma potremo imporre che nessuno venga tenuto in ostaggio per affermare le loro verità addomesticate.
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