Genova

Mi dimetto dal Senato, lascio il mio posto ad Haidi Giuliani

«Lasciatemi dire: la politica non coincide col palazzo»

L’aula del Senato ha respinto ieri sera, come vuole la tradizione almeno per la prima votazioni, le dimissioni presentate dal senatore del Prc.
20 luglio 2006
Gigi Malabarba
Fonte: Liberazione (http://www.liberazione.it)

Signor Presidente, colleghe e colleghi, credo di dovere una spiegazione a tutte e a tutti per queste mie dimissioni dal Senato, un fatto certamente non molto frequente. Si tratta di dimissioni volontarie, maturate in base a una mia personale determinazione, non suggerite né avversate da alcuno per alcun motivo politico, tanto meno dal mio vecchio o dal mio nuovo segretario di partito che, al contrario, si sono sempre opposti alla mia rinuncia all’attività parlamentare.

Come peraltro hanno scritto da mesi giornali e riviste, e quindi in periodi in cui non si poteva neppure sapere quale sarebbe stato il quadro politico, per non parlare di quale sarebbe stata (e di quale entità) la maggioranza al Senato, mi sono candidato così come tutti i colleghi e le colleghe parlamentari che componevano la ristretta battaglia di Rc nella passata legislatura, ma con la decisione di lasciare in ogni caso il mio seggio il 20 luglio, in una data simbolica che nessuno di noi dovrebbe mai dimenticare, ad una donna straordinaria, Haidi Gaggio Giuliani, che mi ha fatto l’onore di accettare questa staffetta con me e che voglio ringraziare per questo bellissimo regalo.

Non c’è altro, non esiste alcuna problematica politica legata all’attualità o alla fase politica. E’ noto il mio giudizio sul governo, l’ho espresso con nettezza al momento della fiducia; è nota la mia posizione sulle missioni militari in Medio Oriente, contro le quali mi sono battuto ogni volta per cinque anni, noto il mio No alla guerra. Questi convincimenti saranno portati anche da chi mi sostituirà e nulla cambierà in ogni caso nell’attuale composizione politica di quest’aula.

Quindi non c’è ragione politica in senso stretto e mi auguro che, indipendentemente dagli schieramenti politici, queste considerazioni siano accolte da tutte e da tutti come oneste e sincere quali sono.
Ma permettetemi di terminare questa mia esperienza con un unico riferimento alla “politica”che ha a che vedere con le mie dimissioni: la politica non coincide col palazzo. Parliamo spesso, forse troppo spesso, di separazione tra istituzioni e cittadine e cittadini, tra parlamento e paese. Ci sarà pure qualche relazione con la reiterazione dei mandati parlamentari ad infinitum o no?

Un’altra considerazione: abbiamo mai verificato qual è la composizione sociale di questo parlamento? Si è parlato a lungo di quello che ritengo uno scandalo inaccettabile per un pietoso livello di civiltà, ossia del fatto che non sia prevista un’alternanza obbligatoria di genere nelle liste elettorali. Ma non è neppure accettabile l’esclusione totale o quasi dal parlamento di impiegati, tecnici e operai, che - come molti colleghi sanno - mi stanno particolarmente a cuore e che, fino a prova contraria, continuano ad essere la grande maggioranza della popolazione e i principali produttori della ricchezza del paese!

Con le mie dimissioni certo non miglioro la presenza in quest'aula del lavoro dipendente, ma non la altero neppure, visto chi mi sostituirà. Posso agire invece negli altri deficit (la rappresentanza di genere) e su quello della rotazione dei ruoli e degli incarichi: chi ha ricoperto ruoli istituzionali anche rilevanti può tornare a fare il militante in mezzo a persone che non fanno i politici di professione.

Personalmente torno nella mia condizione di operaio della Fiat; lo stabilimento Alfa Romeo di Arese in cui lavoravo è stato chiuso definitivamente poco tempo fa, come avevo avuto occasione di denunciare tante volte da questi banchi, e sarò collocato in mobilità come gli altri miei compagni di lavoro. Il mio vuole essere un piccolo segnale direi di “normalità”, non certo di eroismo del tutto fuori luogo.

E’ per tutte queste ragioni che sommariamente ho voluto ricordare che invito tutte e tutti a votare a favore delle mie dimissioni volontarie dal Senato, evitando quel voto di cortesia di cui comprendo e apprezzo il significato che poca cortesia però farebbe in questi giorni, anche per ragioni strettamente personali. Anzi, se mi posso permettere, chiederei una cosa che avviene veramente poche volte in quest’aula e che sarebbe per me realmente gratificante e al di fuori da ogni logica di schieramento, ossia un voto favorevole all’unanimità. Lasciatemi questa speranza.

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