Diaz, le molotov della polizia spariscono in questura
Le false molotov non si trovano più. E ora c'è persino il rischio che le due bottiglie con cui i polizziotti tentarono di giustificare l'irruzione e le botte della Diaz a Genova, finiscano per aiutarli a cancellare il processo sulla sanguinosa notte del 21 luglio 2001.
Ieri mattina le bottiglie dovevano comparire nell'aula del tribunale genovese insieme a Valerio Donnini, il capo dei capi dei reparti mobili impiegati al g8, e a Maurizio Piccolotti, funzionario incaricato della gestione dei servizi di ordine pubblico: i due avrebbero dovuto parlare proprio delle bottiglie incendiarie trovate dalle forze dell'ordine in un'aiuola nei pressi di corso Italia e poi trasportate e presentate alla Diaz dopo l'irruzione. Al momento di iniziare l'udienza, però, le due bottiglie erano sparite dall'ufficio della questura genovese che da anni le custodisce (o almeno dovrebbe) come «prova» contro i ragazzi e le ragazze che, ferite, furono presentati dai poliziotti come pericolosi black block responsabili degli scontri di quei giorni.
Giusto la scorsa settimana il vicequestore aggiunto Luca Salvemini, che da anni indaga sul conto dei colleghi, aveva evidenziato la scarsa collaborazione da parte di questure e dirigenti di polizia nelle indagini sull'irruzione. Ed ecco che ieri si è scoperto che la prova principale contro i dirigenti e i funzionari accusati di falso e calunnia è scomparsa: trovate nel corso della giornata le due bottiglie furono portate alla Diaz semplicemente per giustificare e a un'irruzione che aveva provocato oltre 90 feriti, di cui alcuni gravissimi (la procura ha aperto anche un fascicolo contro ignoti per tentato omicidio).
Il giudice che presiede il processo per ora ha bloccato tutto: i testi saranno ascoltati solo quando spunteranno fuori le molotov come pretendono - sarà un caso - le difese degli imputati che da tempo avevano chiesto la presenza delle molotov in aula, invece delle fotografie. Nel caso in cui non si dovessero trovare, il processo potrebbe trovare un enorme difficoltà a procedere, a meno che il giudice non ritenga sufficienti le immagini per interrogare i testi circa il riconoscimento delle bottiglie. In quel caso sarà ovvio il ripetersi delle eccezioni delle difese che già più volte hanno specificato che senza corpo del reato, il processo, per quanto li riguarda, non può andare avanti.
«Il reperto che indubbiamente rappresenta il frutto più significativo della perquisizione non viene affatto menzionato neppure da chi ha avuto modo di maneggiarlo. E' quasi una sorta di presa di distanza da un corpo di reato che invece avrebbe dovuto essere evidenziato come più rilevante prova della pericolosità degli arrestati, in conformità con quanto risulta dai verbali», aveva scritto il pm Zucca nella sua memoria sulle indagini che portarono al rinvio a giudizio di 28 tra agenti, funzionari e dirigenti della polizia italiana, tra i quali Francesco Gratteri, ex capo dello sco, ex questore di Bari, recentemente promosso a capo del Dac, già riconosciuto da testi in aula, non come uno qualunque, ma come chi si comporta da capo, Gilberto Calderozzi, all'epoca vice di Gratteri e oggi a capo dello Sco, l'allora vicedirettore dell'Ucigos Giovanni Luperi e Giovanni Canterini, a capo del VII nucleo del reparto mobile di Roma che partecipò all'irruzione.
L'audizione di Donnini avrebbe dovuto chiarire la dinamica del percorso delle molotov che agli atti risultano trovate da Pasquale Guaglione che disse di averle consegnate proprio a Donnini. Quest'ultimo, secondo Guaglione, avrebbe preso le molotov ritenendole «importanti» e - come ha ammesso in fase di indagini - le avrebbe messe sul Magnum, la jeep che usava, guidata dall'autista Burgio, che durante gli interrogatori ha ammesso: «Avrei potuto e dovuto procedere anch'io per la consegna in questura, ma essendo stato abituato che per qualsiasi cosa si devono richiedere disposizioni al superiore presente sulla vettura, avendo io chiesto disposizioni prima al dott. Donnini e poi al dott. Troiani e non avendole ricevute, non ho ritenuto di prendere iniziative». A portarle alla Diaz sarà Troiani, sostiene Burgio. Il passo successivo è il ritratto famigliare ripreso da una televisione privata genovese: fuori dalla Diaz accanto a Luperi con le due bottiglie appaiono Caldarozzi, Mortola e Canterini, tutti intenti ad esaminare il sacchetto contenente le molotov in ciò che sembra essere un'animata discussione.
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