Diaz, senza molotov il processo non si ferma
Il processo Diaz continua: la sparizione delle due molotov non ferma il cammino del dibattimento. Comincia in parallelo un'indagine sulle ragioni e le cause della scomparsa. L'ordinanza emessa ieri dal tribunale di Genova non lascia scampo alle difese dei poliziotti e ridicolizza la questura genovese: la stessa corte si riserva di accertare le ragioni dello smarrimento o della distruzione (per errore??) «di un corpo di reato di simile importanza». Per il presidente del tribunale Gabrio Barone le testimonianze, le foto e le perizie della scientifica bastano e avanzano per proseguire il processo contro i 29 tra dirigenti, funzionari e agenti di polizia accusati di lesioni, abuso d'ufficio, falso e calunnia, in relazione all'assalto alla scuola Diaz del 21 luglio 2001, durante il G8 di Genova.
Poco prima che la corte si riunisse in camera di consiglio, era stato il pm Enrico Zucca ad agitare un'udienza già tesa in partenza. Rispondendo alle accuse della difesa rivolte contro la procura - che non avrebbe mostrato il decreto di sequestro delle molotov - ha ricordato la possibilità che alcuni degli attuali imputati potrebbe aver concorso alla sparizione delle due molotov. Un riferimento che in molti hanno inteso verso Spartaco Mortola, allora capo della Digos e Nando Dominici, dirigente della squadra mobile di Genova, ancora in carica nei propri ruoli genovesi nei giorni che precedettero la scomparsa delle molotov: in serata con un comunicato l'avvocato di Mortola, Maurizio Mascia, ha respinto le accuse.
Il documento della questura di Genova depositato ieri in tribunale tenta di descrivere l'iter delle due bottiglie incriminate, con una premessa che sembra trovarsi concorde con le difese degli imputati, secondo la quale le molotov non sarebbero tra gli atti del procedimento Diaz, ribadendo la tesi assolutoria dei poliziotti imputati. Quelle molotov alla questura risultano ad oggi «sequestrate» alla Diaz e a carico dei 93 arrestati, come non ci fossero mai state indagini. Nel documento si giustifica l'assenza attraverso una cronistoria che si ferma a settembre: il 6 agosto 2001 le molotov sono repertate all'interno del fascicolo contro i 93 manifestanti pestati e poi arrestati; il 16 agosto le prende in consegna l'artificiere Marcellino Melis e le porta in questura: è la prassi per il materiale ritenuto potenzialmente pericoloso; il 28 agosto vengono portate alla polizia scientifica: i tecnici devono effettuare i rilievi per le impronte digitali; il 10 settembre 2001 la scientifica trasmette i rilievi a Dominici, dirigente della squadra mobile di Genova, che li invia alla Procura; tra il 9 e il 14 settembre 2001, per ordine del procuratore capo di Genova, Francesco Lalla, presso lo stadio Carlini viene fatto brillare materiale esplodente di varia natura. Poi il nulla. Nel documento della questura genovese si lascia intendere che le due bottiglie molotov potrebbero esser state distrutte per errore, indicando il nome dell'artificiere, Marcellino Melis, come il probabile sbadato del caso. Non sarebbe il primo in questa storia. Nelle sue relazioni sulle avvenute distruzioni di varie bottiglie incendiarie del G8 (pochissime, di cui alcune di plastica) Melis tuttavia non menziona l'esplosione delle molotov che lui stesso aveva custodito e poi sottoposto alle analisi della scientifica, né ricorda l'esistenza di un verbale che attesti la distruzione - e il premio di disattivazione riservato agli artificieri a lavoro finito - di «quelle» molotov. Prossima udienza il 30 gennaio, in attesa che la polizia ancora una volta indaghi su se stessa.
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