Una notte quasi «cilena»
Una condanna sostanziale. Non eclatante, perché contro «servitori dello stato che ritenevano di agire per una nobile causa» non avrebbe senso, ma neppure moderata, perché «i fatti addebitati minacciano la democrazia più delle molotov lanciate nel corso dei cortei di quei giorni». Sono 109 anni e 9 mesi in tutto, le pene chieste per i poliziotti che la notte del 21 luglio 2001, alla ricerca dei black bloc, organizzarono l'incursione nella scuola Diaz, non impedirono che gli agenti malmenassero le 93 persone che si trovavano nell'edificio e accusarono i ragazzi, molti dei quali stranieri, di essere la parte violenta del movimento e di essere armati, tra l'altro, di due bottiglie molotov trovate sulla strada del corteo mattutino e portate nella scuola nel tentativo di aumentare il magro bottino della perquisizione. La condanna più dura, cinque anni tondi, è stata chiesta per Pietro Troiani, il vicecommissario del reparto mobile di Roma che arrivò nella scuola con le due bottiglie in una busta, togliendosi i gradi dalla divisa. E' complicato fare il conto degli anni di condanna che spettano a ciascuno dei 29 poliziotti alla sbarra (per uno di loro, Alfredo Fabbrocini, responsabile della perquisizione alla Pascoli, è stata chiesta l'assoluzione). Soprattutto perché nell'elenco ci sono due dei poliziotti oggi al vertice del sistema di sicurezza italiano: Gianni Luperi - ex numero due dell'antiterrorismo, oggi capo dipartimento dell'Aisi e in lizza per il posto di vice negli stessi servizi segreti - e Francesco Gratteri - direttore del dipartimento anticrimine della polizia. Per i quali è stata chiesta anche l'interdizione dai pubblici uffici. E' per questo che Enrico Zucca, autore dell'inchiesta insieme a Francesco Cardona Albini, dedica proprio a loro l'ultima delle sei giornate di requisitoria. Per i due superpoliziotti chiederà quattro anni e sei mesi, la stessa richiesta avanzata per Vincenzo Canterini, all'epoca comandante del I Reparto Mobile di Roma che assaltò la scuola malmenando chiunque trovasse all'interno, per Gilberto Caldarozzi, all'epoca vicedirettore dello Sco, per Filippo Ferri, dirigente della squadra mobile della Spezia, Massimiliano Di Bernardini, vicequestore aggiunto, Fabio Ciccimarra, vicequestore aggiunto, Nando Dominici, capo della squadra mobile di Genova, Spartaco Mortola, dirigente all'epoca della Digos di Genova, e Carlo Di Sarro, vicequestore aggiunto presso la Digos di Genova. Quella di Luperi e Gratteri è la posizione più complicata. Quella su cui commentatori e politici si sono soffermati a lungo, perché salvare loro vuol dire salvare la Polizia di stato. E condannarli viceversa sarebbe un atto d'accusa contro le forze dell'ordine. L'accusa nei loro confronti è tra le peggiori. Avrebbero di fatto gestito la perquisizione nella scuola, ordinando ai loro sottoposti di piazzare le due bottiglie molotov all'interno della scuola Diaz. Contro di loro ci sono le immagini raccolte dalla tv privata Primocanale, che li mostrano ricevere le due bottiglie molotov contenute in un sacchetto, discutere all'esterno della scuola alla presenza degli altri poliziotti accusati di calunnia, e infine indicano Luperi mentre consegna le bottiglie a Daniela Mengoni della Digos di Firenze, che le porterà all'interno della scuola per metterle assieme al resto del materiale sequestrato all'interno. Non è stato un complotto ai danni dei manifestanti, non lo pensa neppure il pm che ha esaminato quei minuti attimo per attimo per sette anni. Quei comportamenti, dice Zucca, «non sono il frutto di una premeditata azione ritorsiva, ma di una risoluzione avvenuta sul campo». Non un piano studiato da giorni, ma un esempio di quella che il magistrato chiama «corruzione per una nobile causa», cioè «l'idea che aggiustare le prove contro i presunti colpevoli sia di aiuto all'azione della polizia e che le garanzie siano d'impaccio all'operare delle forze dell'ordine». Con lo stesso criterio si spiega la presenza dei dirigenti sul luogo della perquisizione che doveva rappresentare la «svolta» dell'ordine pubblico. L'arresto clou, capace di riportare in alto l'onore delle forze dell'ordine. Se fossimo davanti a un tribunale penale internazionale, la responsabilità dei dirigenti sarebbe dimostrata dalla loro «posizione sul campo», «i generali Luperi e Gratteri sono scesi in battaglia con casco e manganello al fianco delle loro truppe». Per loro, come per tutti gli imputati, i pm hanno chiesto le attenuanti generiche. Ma si aspettano una condanna più dura di quella chiesta per il vice di Canterini, Michelangelo Fournier, quello che in aula parlò di «macelleria messicana» ma senza per questo rendersi credibile agli occhi degli inquirenti (3 anni e 6 mesi). Quattro anni anche per l'agente scelto Massimo Nucera, che finse di aver ricevuto una coltellata, o per il suo superiore Maurizio Panzieri, che avallò nel verbale il finto accoltellamento. E per il commissario capo Salvatore Gava, l'ispettore Massimo Mazzoni (Sco), il sovrintendente Renzo Cerchi e l'ispettore superiore Davide Di Novi, assieme a Michele Burgio, autista di Troiani, il poliziotto che portò le molotov alla scuola Diaz a bordo del Magnum della polizia. Pene più alte persino dei tre anni e sei mesi chiesti per gli otto capisquadra accusati di lesioni per non aver impedito che i no global nell'edificio fossero malmenati. O dei tre anni chiesti nei confronti di Luigi Fazio, sovrintendente Ps, accusato di percosse. Non è importante che la condanna sia lunga, spiega a tutti Lena Zulkhe, la cui foto in barella è diventata simbolo di quella notte. Ma non si farà giustizia, le risponde il pm dall'aula, «se non si riconoscerà come queste azioni siano state commesse con il concorso di questi comandanti».
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