Tortura, il reato che non c’è nel paese dell’indulto e della prescrizione
Dopo 14 anni è arrivata la sentenza della Corte europea di Strasburgo per l’irruzione con massacro alla Diaz e quella che fu definita, ovviamente non in modo unanime dato che siamo in Italia, come una sospensione della democrazia e dei più fondamentali diritti costituzionali ora ha un nome ancora più chiaro e terribile: tortura.
La Corte europea dei diritti dell’uomo, molto spesso adita dai nostri impuniti eccellenti, Berlusconi in primis, per prendere tempo e cercare improbabili scudi internazionali con ulteriore discredito per il nostro paese, ha sancito all’unanimità che è stato violato l’art. 3 della Convenzione europea: “Nessuno può essere sottoposto a tortura o a pene e trattamenti degradanti”.
Alla Diaz, e poi a seguire Bolzaneto come dovrebbe accertare un’ulteriore pronuncia, nella lontana notte del 21 luglio 2001 si scatenò quella che il funzionario di polizia Fournier definì nel corso del processo “una macelleria messicana” che i colpevoli tentarono di giustificare producendo prove false e depistaggi con la connivenza o la”mirata” distrazione dei superiori.
Come hanno sottolineato i Pm, che sono riusciti tra mille ostracismi a portare avanti l’indagine, la sentenza della Corte europea era altamente scontata e non solo per il risarcimento riconosciuto al ricorrente ma per la condanna a chiare lettere ai legislatori italiani che da allora non hanno previsto il reato di tortura, presente in tutti gli ordinamenti europei, ma hanno varato gli indulti e/o le amnistie di cui hanno beneficiato gli imputati. Inoltre nel corso dei tre gradi di giudizio per i reati di lesione anche aggravata è intervenuta la prescrizione e si è dovuto assistere alla totale assenza di sanzioni disciplinari per agenti e dirigenti coinvolti che al contrario hanno fatto brillanti carriere fino alle condanne definitive in Cassazione per i reati non prescritti, per lo più quelli di falso.
L’immagine istituzionale del nostro paese tracciata dalla sentenza dell’organo di giustizia europeo, di cui i pseudogarantisti nostrani si riempiono la bocca per reclamare impossibili rivincite sulla magistratura italiana, è tanto veritiera quanto disperante. La condanna è senza appello sotto ogni profilo e il colpevole è definito senza perifrasi: il potere politico e le maggioranze parlamentari che si sono avvicendate in questi 14 anni.
Per i più giovani vorrei solo ricordare di sfuggita le conclusioni inutili e mortificanti culminate nella formula del mancato accertamento di lesione dei diritti costituzionali a cui giunse la commissione bicamerale di indagine sui fatti di Genova presieduta dal forzista Donato Bruno dove furono chiamati a testimoniare esclusivamente uomini delle istituzioni con la sola presenza dei rappresentanti del Genova Social Forum.
E tra i testimoni uno dei più accreditati era naturalmente il ministro dell’interno Claudio Scajola che rilasciò dichiarazioni sdegnate contro la violenza, ma unicamente quella dei black block: “Le gravi violenze, oggi è ormai chiaro, sono da addebitarsi a gruppi di teppisti che rappresentano una minoranza…”.
Vale solo la pena di sottolineare che alla presidenza della commissione, una foglia di fico governativa, dove ognuno poteva tranquillamente raccontare quello che gli pareva anche perchè essendo solo di “indagine” era priva di qualsiasi potere effettivo, c’era lo stesso Donato Bruno candidato da Fi nel 2014 a giudice costituzionale, di cui ci siamo sbarazzati solo grazie ad un’inchiesta in corso e alla determinazione del M5S. Una conferma della continuità nel peggio, indipendentemente dal nome del presidente del consiglio, che spiega anche molto bene “la difficoltà” ad approvare il reato di tortura.
Il ritardo legislativo e il rimpallo del ddl tra Camera e Senato penso sia più riconducibile alla volontà di non riconoscere e, all’occorrenza, di coprire, responsabilità a livello politico che alle considerazioni paventate da qualche sindacato di polizia per il rischio che la fattispecie possa essere usata “in chiave ideologica” o estesa in modo improprio.
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