Torture a Bolzaneto, citato il governo ma incombe la salva-Previti
Il lungo, estenuante, appello dei 47 imputati (nove le donne), e delle 254 parti lese, 129 delle quali si sono già costituite parte civile, poi la citazione in giudizio del governo - responsabile in solido per i reati commessi dai suoi dipendenti - e subito il primo rinvio al 19 febbraio concesso dal gup de Matteis per dar tempo ai ministeri (Giustizia, Interni e Difesa) di costituirsi e agli indagati di leggersi le carte delle parti civili. E' questo il succo dell'apertura dell'udienza preliminare per le violenze a Bolzaneto, il carcere provvisorio per i fermati del G8 2001 che si trasformò in lager per centinaia di persone prese a casaccio per le vie di Genova, alla stazione, negli ospedali o alla scuola Diaz.
Sugli scalini del tribunale molte delle loro storie scritte su pettorine che non hanno trovato, ieri mattina, abbastanza persone che le indossassero. C'era solo lo sparuto gruppo di "irriducibili" del social forum e del comitato Verità e giustizia a presidiare il Palazzo nel giorno dell'avvio dell'ultimo grande processo legato ai misfatti di polizia del G8. Un dato che, accoppiato con la crisi di fondi che rischia di paralizzare il preziosissimo supporto legale dei mediattivisti, dovrebbe far riflettere i movimenti. «Si tratta di una delle cose più gravi accadute in Italia - dice Gilberto Pagani, avvocato milanese di quattro vittime straniere - e invece il centrosinistra ha paura a entrare in conflitto con gli apparati repressivi. Noi del legal forum non possiamo fare supplenza anche su questo». Eppure l'occasione sarebbe preziosa anche per «gettare luce su quanto accade "normalmente" in carceri, caserme, commissariati», aggiunge, con lui, un'altra avvocata delle parti offese, la genovese Laura Tartarini.
Nessuna prova filmata, a differenza di altri procedimenti genovesi, solo testimonianze, questa volta, che però collimano perfettamente. Ma già dalle prime battute in camera di consiglio, l'impressione è quella che le difese abbiano scelto la strategia della lumaca per tirare per le lunghe una faccenda in attesa delle prescrizioni o del "tana-libera-tutti" della salva-Previti. Gli indagati sono 5 medici penitenziari, 12 carabinieri, 16 guardie carcerarie e 14 poliziotti. Contro di loro, a vario titolo, i pm Petruzziello e Ranieri Miniati hanno chiesto il rinvio a giudizio, in 161 pagine di memoria, per una lista impressionante di reati visto che in Italia non ne esiste uno specifico di tortura: abuso d' ufficio, violenza privata, percosse, omissione di referto, abuso di autorità contro detenuti o arrestati, falso, violazione dell'ordinamento penitenziario e della convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell' uomo. Ancora ieri Amnesty International e Antigone sono tornate a denunciare la lentezza con cui il parlamento sta affrontando il tema dopo la bocciatura di un testo non conforme alla Convenzione delle Nazioni Unite imposto dalla Lega (si sarebbe trattato di tortura solo in presenza di reiterazione). Un ritardo che non suona strano se messo a paragone con la scelta dei ministeri di non sospendere gli indagati e di non costituirsi parti offese per i misfatti di Bolzaneto che «è di per sé un'indicazione politica», spiegano altri due legali, Simonetta Crisci e Roberto Lamma. Il comitato Verità e giustizia, che oggi alla Sala Cambiaso ha promosso un "processo alla tortura", torna a chiedere una vera inchiesta parlamentare.
In due, tra gli indagati, hanno giocato la carta del difetto di notifica ma sono stati riconosciuti contumaci e anche un legittimo impedimento invocato da un terzo indagato non è stato riconosciuto tale. Cinque soltanto i presenti. Una legale delle parti offese prova a ipotizzare che le numerose assenze tra gli indagati servano per mettersi al riparo dagli imbarazzi di un riconoscimento in aula (visto che era impossibile farlo sulla base delle foto vecchie e minuscole fornite dalle amministrazioni) da parte delle vittime pestate, insultate, terrorizzate, costrette a firmare carte false e a stare senza acqua e cibo anche per 70 ore, senza contatti con l'esterno. Chi chiedeva di andare in bagno tornava più malconcio di prima. Sul viso di ciascuno un marchio diverso a seconda della provenienza. Già nel piazzale un "comitato di accoglienza" iniziava a pestare, sputare, minacciare.
Certo, però, non sarebbe stato facile identificare qualcuno e non solo per l'affollamento dell'aula-bunker. «Paura e "paranoie" - dice Ivan, milanese di 27 anni - se ne stanno andando ma piano piano». «La paura risale anche quando ti chiedono i documenti per strada», dice anche Sara, 21 anni all'epoca dei fatti, quando fu sequestrata nel dormitorio dei manifestanti, deportata a Bolzaneto, dopo un veloce transito al Galliera, e infine trasferita al carcere di Vercelli. La sua e altre famiglie sono tra le parti civili.
Fra le prime ad arrivare a Bolzaneto, Valerie, 38 anni e madre di tre bambini. E' la ragazza francese che riuscì a violare - pacificamente - la zona rossa. Per quello è stata già condannata ma ha fatto appello perché crede che a essere illegale fosse il sequestro di una città intera. A Bolzaneto fu picchiata e minacciata. E ieri le tremavano le mani. Non è stato facile tornare a Genova, e neppure ricordare. «Ma essere qui è già un risultato», racconta anche Guillermina Zapatero, traduttrice a Madrid, che ricorda l'entusiasmo e le ragioni di quel "popolo di Genova" che, nel giorno della Memoria, fatica a trovare la propria.
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