Repubblica Democratica del Congo: un "castello di sabbia"
Non è facile rendere l’idea della complessità estrema e delle enormi difficoltà della realtà di questo Paese e, in Italia, del suo dramma non se ne sente mai parlare, se non in rare occasioni, come la recente eruzione del Vulcano Nyirangongo o l’epidemia di ebola del 1995, che uccise anche alcune suore italiane. Così, quando mi è stato chiesto di esprimere le mie sensazioni al rientro dalla missione nella Repubblica Democratica del Congo, ho pensato di delineare un’immagine che potesse essere lo specchio dell’anima di quella terra.
La Repubblica Democratica del Congo è luogo di grandi contrasti. Un paese “scrigno” di immense ricchezze minerarie e naturali, schiacciato però dal peso dell’estrema povertà della popolazione; un paese dove i diritti fondamentali come quello alla salute, all’istruzione e al lavoro sono negati alla stragrande maggioranza delle persone; dove la pace è una condizione sconosciuta; dove, nonostante le enormi potenzialità, l’economia sembra paralizzata. Anche l’ambiente naturale sembra rispecchiare queste contraddizioni estreme.
Perché l’ho definito “un castello di sabbia”? Perché potrebbe tranquillamente essere un regno incantato dell’immaginario fiabesco: ricco di oro, diamanti e coltan; il cuore delle foreste africane dominato dal bacino del fiume Congo secondo solo a quello del Rio delle Amazzoni; abitato da una popolazione ospitale. La gente è sempre sorridente, nonostante le difficili condizioni in cui è costretta a vivere, e ospitale, pur non avendo molto da offrire, verso i rari stranieri che si avventurano in un’area così isolata e lontana dai riflettori internazionali. Un castello, sì; ma di sabbia, perché in equilibrio fragilissimo, sull’orlo del tracollo. I funzionari pubblici non sono pagati da anni, solo il 45% della popolazione ha accesso a fonti idriche di qualità accettabile (e la percentuale scende al 37% se si considera l’approvvigionamento regolare a meno di 1 km di cammino). Un castello di sabbia anche nel senso letterale del termine, visto che nella Provincia del Bandundu il terreno è sabbioso, segno del deserto che avanza inesorabile, lasciando spazio solo a coltivazioni di sussistenza. A questa desolazione contribuiscono anche i fuochi di “brousse” (savana), che visti di notte illuminano colline intere, mentre l’erosione sta scavando in profondità, lenta ma costante, a tal punto che nel centro di Kenge una profonda crepa ha squarciato la terra, lasciando sprofondare il livello della vecchia strada di diversi metri. Di quella che un tempo era l’arteria principale che attraversava il Paese (la nazionale n.2) ora non resta che una pista polverosa ove, ad ogni stagione delle piogge, le ruote degli enormi camion, stracarichi di merce e persone, imprimono solchi sempre più profondi. Di fronte agli smottamenti continui, la gente – che comunque ha necessità di spostarsi, malgrado i mille imprevisti e guasti che possono far durare un viaggio di poche centinaia di chilometri anche più di una settimana – continua imperterrita ad aprire nuovi percorsi paralleli, quasi “abbarbicati” sui fianchi della collina. Del sottile strato di bitume che i belgi lasciarono negli anni ‘60 oramai non si vede che l’ombra. L’unica eccezione è nei pressi della capitale Kinshasa: quando vi si arriva dall’interno, dopo giorni di sobbalzi ad una velocità massima di 20 km orari, come per incanto ci si ritrova, nell’ultimo tratto, su una strada nuova, asfaltata e con tanto di righe bianche che separano i due sensi di marcia, grazie al recente intervento dell’Unione Europea.
Per il resto l’interno del Paese continua ad essere totalmente isolato, quasi abbandonato a se stesso. In posti come Kimbao, privi di luce e acqua, senza strade, possibilità di voli aerei o comunicazioni di alcun genere, il tempo sembra essersi fermato. Anche i beni di prima necessità e i farmaci essenziali non arrivano, se non attraverso un aiuto dall’esterno, finanziario e logistico, perché anche il trasporto costa troppo caro.
Negli ultimi 4 anni la guerra nella Regione dei Grandi Laghi ha causato la morte di oltre 2,5 milioni di persone e sembra che nella Repubblica Democratica del Congo nessuno voglia rimanere fuori: sono 9 i Paesi limitrofi coinvolti e presenti con proprie truppe sul territorio congolese e il loro ritiro è uno dei punti controversi dell’applicazione degli accordi di pace firmati a Lusaka nel 1999.
Nel frattempo, il 30 luglio, a Pretoria, è stato stipulato l’ennesimo negoziato, questa volta tra il Congo e il Ruanda, preceduto a Nairobi da un altro vertice tra Uganda e Ruanda che dovrebbe mettere fine ad una delle variabili impazzite del dramma congolese.
La ricostruzione della Repubblica Democratica del Congo e, più in generale, la pace nella Regione dei Grandi Laghi sono ormai questioni di assoluta urgenza. La catastrofe umana è di proporzioni gigantesche: la popolazione, vittima di questa guerra e del dissesto in cui si ritrova il Paese, non ha ormai più accesso ai servizi essenziali come acqua, sanità, istruzione, lavoro.
Quale futuro allora?
Credo che la vera ricchezza del Paese sia data dalla sua popolazione. Kimbao ne è esempio tangibile: seppur in assenza di mezzi e preparazione, con la sua forza di volontà dimostra che è sulla gente che si deve investire, coinvolgendola nella propria rinascita, attraverso la partecipazione diretta e la responsabilizzazione dell’intera comunità, attraverso la formazione professionale e l’educazione sanitaria, alimentare, ambientale e culturale in genere. Infine, in un Paese in cui il 65% della popolazione è in età scolare, il tema dell’istruzione deve diventare assolutamente prioritario.
L’IMPEGNO DELL’AIFO
In questo contesto, dal 1990 l’Aifo è impegnata, a fianco della Diocesi di Kenge, nel sostegno delle infrastrutture sanitarie e, più recentemente, anche di quelle educative e scolastiche, al fine di migliorare le condizioni di salute e di vita della popolazione.
La dr.ssa Chiara Castellani, missionaria laica, coordina una equipe locale con cui lotta instancabilmente contro ogni malattia e ogni tipo di discriminazione legata alla povertà. Lei, così minuta e fragile all’apparenza, ma nel profondo tanto forte e perseverante da non aver mai rinunciato, neppure nei momenti più duri, alla sua scelta professionale e di vita, una scelta che l’ha condotta a seguire un cammino di totale condivisione delle sofferenze e delle privazioni dei più deboli.
Nei progetti sostenuti dall’Aifo, particolare attenzione viene data all’accessibilità geografica, culturale ed economica dei servizi sanitari, nonché alla riduzione della prevalenza delle principali malattie trasmissibili, privilegiando l’infanzia, l’adolescenza a rischio e le donne. É prevista la fornitura di attrezzature di base e di farmaci essenziali per il diagnostico, il trattamento precoce e la prevenzione delle principali patologie endemiche, come pure lo sviluppo di attività di formazione dei quadri locali e di supervisione tecnica, con l’obiettivo di migliorare l’efficacia e l’efficienza dei servizi e creare le condizioni per un progressivo miglioramento della qualità della vita della comunità.
Notevole è l’impegno per la costruzione di una centrale idroelettrica al fine di garantire luce ed acqua all’ospedale di Kimbao. Il progetto prevede un accordo con il Ministero dell’energia in base al quale la centrale produrrà acqua ed elettricità superiori al fabbisogno dell’ospedale per consentire, in una fase successiva, di distribuire acqua e luce ai villaggi.
Al fine di garantire il diritto all’istruzione nelle scuole primarie e secondarie della Diocesi di Kenge, l’Aifo sostiene inoltre un progetto per l’infanzia che ha attivato gemellaggi tra strutture italiane e congolesi, e prevede la fornitura di materiale pedagogico, scolastico e ricreativo, equipaggiamento degli istituti tecnici con strumenti di base per il lavoro professionale, formazione del personale insegnante per promuovere azioni di prevenzione ed educazione sanitaria attraverso le scuole.
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