Kimbau

Il suo contagioso amore per l'uomo umiliato e offeso

La storia di Chiara Castellani in un libro

Prendere in mano "Una lampadina per Kimbau" significa scoprire una figura dai tratti sorprendenti, addentrarsi in una vita fatta di continue prove, un'altalena di gioie e sofferenze lancinanti da togliere il fiato.
13 maggio 2005
Fonte: Avvenire, sabato 22 maggio 2004 - 22 maggio 2004

Il libro "Una lampadina per Kimbau", uscito nel maggio 2004

«Mi potrei definire una "pacifista alla Gino Strada" ma con due differenze. La prima è il mio sesso. Sono una donna orgogliosa della sua femminilità (di cui accetto anche la fragilità), una donna che ha scelto di far nascere e non può accettare al contrario di essere strumento di mutilazione. L'altra differenza con Gino Strada è che per un gioco del destino (ma forse era un disegno di Dio) nel 1992 è toccato a me». Chiara Castellani è una missionaria laica, medico in Congo. Il 6 dicembre 1992 la jeep sulla quale sta viaggiando si capovolge, il braccio destro, stritolato dal peso del veicolo, le viene amputato. Da medico a paziente in un amen. Da allora "Mama Clara" come la chiama la sua gente in Africa, è «un passero con un'ala sola». Ma tutt'altro che preda della disperazione, convinta com'è che «Nzambi, il mio Dio in Kikongo, ha pensato bene di salvarmi perché continuassi a sognare insieme con lui e con chi ha una sola speranza, quella di essere amato dal Padre degli ultimi e degli oppressi».
Parmigiana di origine, 47 anni, figlia di una famiglia come tante, formazione giovanile negli scout, Chiara Castellani è una persona speciale. E non solo perché è medico (l'unico medico per centomila abitanti in una zona di 5000 chilometri quadrati) a Kimbau, in un ospedale abbandonato dai belgi nel profondo della foresta senz'acqua e senza luce. No. L'ultima a cui andrebbe stretta l'etichetta di eroe è lei. Piuttosto, Chiara Castellani, con la sua forza dirompente, il suo contagioso amore per l'uomo umiliato e offeso, è una di quelle persone che ti obbligano ad aprire gli occhi su un mondo, e i suoi drammi, che si vorrebbero dimenticare.
Prendere in mano "Una lampadina per Kimbau" (che esce in libreria martedì prossimo) significa scoprire una figura dai tratti sorprendenti, addentrarsi in una vita fatta di continue prove, un'altalena di gioie e sofferenze lancinanti da togliere il fiato. Di fronte alle situazioni che Chiara descrive e alle riflessioni che propone, l'ultima cosa che puoi fare è restare neutrale. Curato da Mariapia Bonanate, una giornalista amica con cui Chiara è in corrispondenza da tempo, il libro raccoglie le lettere che questo chirurgo di guerra "sui generis" ha scritto nell'arco di una ventina d'anni.
Ci sono le lettere dal Nicaragua, dove Chiara si ritrova nel 1983, inserita in un progetto del Mlal, due anni dopo la laurea in Medicina al Gemelli, lei, che in cuore, fin da piccola - da quando a sette anni promise a sua madre che sarebbe partita in missione - aveva l'Africa. In Africa Chiara approda grazie all'Aifo, l'associazione degli amici di Raoul Follereau. E da quell'Africa «cento volte più tremenda di come me l'aspettavo, ma anche più bella», dal Congo martoriato partono altre lettere, drammatiche: lettere che parlano della peste-Ebola, di guerra (la dissoluzione dell'allora Zaire, il crollo di Mobutu, la falsa speranza del "liberatore" Kabila). Soprattutto di poveri, dei quali Chiara svela con delicatezza nomi e volti, l'incredibile umanità.
Da queste lettere traspare la vicenda paradossale di Chiara. Un paradosso che comincia presto, quando - nel Nicaragua dilaniato dalla guerra tra contras e sandinisti - Chiara, che si era specializzata in ostetricia e ginecologia, si ritrova, invece, a essere chirurgo di guerra e a usare il bisturi per strappare dalla morte giovani vite. Un paradosso che la insegue: partita per la missione insieme col marito, sospinta da un comune ideale di amore e servizio ai poveri, Chiara, dopo alcuni anni di idillio coniugale, si ritrova tradita, sola e abbandonata. Facile immaginare lo shock. Specie per chi aveva condiviso passioni e sogni per anni con la persona che, all'altare, aveva giurato di condividere per sempre, «nella gioia e nel dolore», la stessa intensa avventura di amore all'uomo e alla causa degli ultimi.
Dopo un breve soggiorno in Italia, Chiara riparte: Mali, Angola, poi - finalmente - quel Congo dove ha messo radici. Ed è al Congo, alla comunità di Kenge e al suo vescovo che il 25 agosto 2002 Chiara - la stessa Chiara che vent'anni prima aveva giurato eterna fedeltà a un uomo, verso il quale, ancor oggi, conserva parole di insospettabile tenerezza - si è consegnata con tutta se stessa. Pronunciando queste parole: «Prometto di vivere nella povertà e nell'obbedienza, per poter servire il popolo di Dio. Tu, Dio mio, aiutami. Io ho riposto la mia speranza nella tua grazia, aiutami a identificare la mia vita con la vita di Gesù Cristo». Niente male per una che, nel marzo 1985, dal Nicaragua scriveva: «Io non credo in Dio. Spero solo che esista, che non mi abbia preso in giro anche lui!». Niente male per una che diceva di sé: «Da sempre sono stata una disobbediente alla don Milani».

Note: Pubblicato su
http://www.db.avvenire.it/pls/avvenire/ne_cn_avvenire.c_leggi_articolo?id=444428&id_pubblicazione=2
Sulla pagina web non è specificato l'autore del pezzo.

Per approfondire:
Chiara Castellani
Una lampadina per Kimbau
Mondadori. Pagine 224, euro 15,00

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