Kimbau

Nella foto vedete Papà Mahunda Akouda. La foto è stata scattata da Chiara Castellani

«Papà Mahunda», il mio infermiere in sedia a rotelle

Da oggi prende avvio su Avvenire una nuova rubrica di Chiara Castellani, che uscirà tutti i martedì. L'autrice è chirurgo e missionaria laica in Congo. Di lei è uscito due anni fa da Mondadori il volume «Una lampadina per Kimbau».
Fonte: Avvenire, 6 settembre 2005

«Papà Mahunda», l'infermiere in sedia a rotelle che aiuta Chiara Castellani

Conosco Maman Passy e suo marito Papà Mahunda Akouda dal 1992. Da quella data papà Mahunda è su una sedia a rotelle per una paraparesi spastica tropicale (o meglio su una bicicletta munita di sedile regalatagli con fondi Aifo), ciò nonostante nel giugno 2004 è riuscito a diplomarsi infermiere.
La storia di questa giovane coppia di sposi, bella e tragica, è singolarmente legata alla mia. Era la fine di novembre 1992. Durante una sera di pioggia Papà Mayamba, infermiere da poco diplomato all'Itm di Kenge 2 che già lavora con me a Kimbau, ha ricevuto una lettera da Mosamba: il suo amico Papà Mahunda Akouda, giovane padre di una già numerosa famiglia e la cui bella moglie Pascaline, levatrice diplomata allo stesso Itm di Kenge 2 insieme a Papà Mayamba, é incinta del terzo figlio, da alcuni giorni, bruscamente, non riesce più a camminare!

Era il 1992 e il carburante ancora non era un problema, si trovava facilmente e ne avevamo una buona riserva. Papà Lufwa era allora il nostro autista e la jeep, nuova di zecca, è partita a Mosamba per prendere Papà Mahunda. Era il 1992, ero fresca di Congo e nonostante il corso di Anversa non conoscevo né il «konzo» né la paraparesi spastica tropicale, due patologie simili per le tremende e irreversibili conseguenze sulle gambe. Ma il «konzo» (nome di un folletto maligno che imprigiona le gambe) è nutrizionale, mentre la paraparesi spastica tropicale è su base virale (provocata da un retrovirus, della famiglia dell'Aids, e sembra a trasmissione venerea).

Quando ricevo papà Mahunda, lui mi spiega che i suoi sintomi sono cominciati con un forte dolore alle gambe, insopportabile, poi è iniziata la paralisi, bruscamente come per un attacco di poliomielite. Decido il trasferimento, anche perché devo andare a Kinshasa a cercare farmaci. Ricorderò per sempre quel viaggio, perché fu proprio all'andata che - mentre Papà Mahunda intonava un canto religioso in kikongo - ci fermarono «i banditi travestiti da militari o viceversa» con il dichiarato proposito di portarci via tutto, e per fortuna che all'andata non avevamo niente... E il viaggio di ritorno, il mio ultimo viaggio con Papà Lufwa, fu tragicamente segnato dall'incidente in cui persi il braccio destro. Ma non ho mai raccontato che durante quella settimana a Kinshasa piansi tutte le mie lacrime davanti al frère Simon, perché il dottor Nkongolo, il chirurgo ortopedico che pochi giorni dopo mi avrebbe salvato la vita amputandomi il braccio, pronunciando chiaramente la diagnosi di paraparesi spastica tropicale, mi diede anche una prognosi non favorevole: Papà Mahunda non camminerà più.

Ma il dottor Nkongolo non esclude che Papà Mahunda possa migliorare un poco con la fisioterapia. E io prometto di aiutarlo: con il poco che ho pago qualche seduta e prometto di pagare ancora da Kimbau. Però non ho fatto i conti con l'handicap che mi aspettava a così breve distanza del simile incontro già consumatosi per Papà Mahunda. Anche per me, brusco e irreversibile. Dopo il mio incidente, nessuno ha più pagato per la fisioterapia di Papà Mahunda, che si è rifugiato dai parenti a Kinshasa, dove un praticone gli succhia soldi promettendogli «Guarirai».

Quando rientro a Kinshasa nel 1994, Papà Mahunda coltiva disperatamente quell'illusione: camminare ancora. Sua moglie Pascaline è rientrata dai suoi genitori a Kimbau, con il piccolo Akouda nato quando suo padre era già paralizzato e troppo spesso malato... Ci metto sei mesi per convincere Papà Mahunda a tornare a Kimbau. Dall'Italia ricevo una sedia a rotelle, e Papà Mahunda diviene garçon de salle al servizio di accettazione. È lui che riceve i malati, che stabilisce la cartella clinica. Gradualmente, gli insegno a scrivere un'anamnesi, a misurare la pressione, la temperatura, la frequenza cardiaca, a pesare i bambini e a scrivere il peso sul grafico del «cammino alla salute». Per 6 anni, Papà Mahunda lavora con me all'accettazione: vorrei inviarlo a studiare all'Itm di Moanza o di Kenge, ma tutti mi ostacolano: con i suoi limiti fisici, è da folli. E io continuerò la sua storia la prossima settimana.

Chiara Castellani

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