Anche in Congo a scuola di democrazia
Oggi, domenica, alla fine della messa assieme a tutte le donne della missione abbiamo cantato il «Magnificat»: parole di Donna che qualcuno ha definito «le più sovversive della storia». E allora vorrei invitare i lettori a riflettere sul testo di quello che abbiamo definito «progetto sui diritti umani», anche se è un progetto senza obiettivi, senza indicatori, senza budget... Un progetto scritto per la gente e con la gente, che è la sua autrice e protagonista.
Assieme al testo, pubblicato per la prima volta dal nostro vescovo nell'agosto 2004, vi propongo una serie di riflessioni sulla campagna per i diritti umani e per la creazione di una Commissione diocesana «Giustizia e Pace» e di 27 Commissioni parrocchiali che il vescovo di Kenge ha lanciato sempre nell'agosto 2004 e che rischia di venir sminuita dopo che la data delle elezioni è stata rinviata e la gente ha cessato di crederci.
La Chiesa congolese ha un ruolo storico importante per una diversificazione del potere politico nel Paese: la tirannia e gli abusi di potere sono legati strettamente alla presenza di una classe politica corrotta e distante dai bisogni reali della gente, che si autopromuove perché i loro figli studiano in scuole d'élite e concludono gli studi in Europa e negli Stati Uniti, grazie a borse di studio internazionali alle quali hanno facile accesso. Viceversa a causa delle tasse scolastiche e del sistema di cacciar via i bambini (e soprattutto le bambine) che non pagano le pesanti tasse scolastiche, le classi più povere si vedono negati, fra gli altri diritti umani fondamentali, il più importante, il diritto allo studio.
Perché il più importante? Perché è studiando che si accede alla coscienza di essere soggetti di diritto. Bo me bula munu na école («Mi hanno sbattuto fuori di scuola»), mi rispondeva a fine maggio la bambina scalza a cui avevo chiesto: «Perché non sei andata a scuola oggi?». E io le replico: Sambu na nki bo me bula nge? («Perché ti hanno cacciata da scuola?». Sambu na mbongo, «Perché non ci sono i soldi». Solo la Chiesa, che gestisce le scuole dello Stato (più di 300 in diocesi) può opporsi a questo crimine.
La Chiesa costituisce in questo senso anche la sola alternativa culturalmente adeguata a promuovere la sostituzione della classe politica al potere. E ciò senza necessariamente preconizzare esperienze alla Ernesto Cardenal e Jean-Bertrand Aristide, che sono state talmente osteggiate dalla gerarchia da votarsi al fallimento. Vedo piuttosto nella Chiesa congolese un ruolo profetico potenziale simile a quello della Chiesa salvadoregna degli anni '80 (monsignor Munzihirva è stato definito il «Romero d'Africa») o ancor più della Chiesa brasiliana degli anni '70, del cui lavoro di «coscientizzazione» della base si sono visti i risultati solo 30 anni dopo, con l'elezione a sorpresa di Lula.
Ma per essere credibile di fronte al popolo la Chiesa deve non solo prendere le distanze dal potere, ma anche dal modus vivendi di chi è al potere. Se la Chiesa diventa anch'essa uno strumento di potere (come osservo in certe parrocchie dove il prete è un po' un «capovillaggio» a cui tutto è dovuto) invece di mettersi al servizio degli ultimi, anche il suo ruolo profetico potenziale viene svilito.
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