Kimbau

Diario di un incontro pubblico con Chiara Castellani

Dio sta con i più deboli

Specializzata in ginecologia, è partita per il Nicaragua prima e per il Congo poi per andare ad aiutare le donne a generare nuova vita. E invece si è ritrovata a fare il chirurgo per salvare vite umane distrutte dalle guerre.
8 gennaio 2005
Matteo Airoldi

E’ molto difficile scrivere qualcosa che riguarda l’incontro con Chiara Castellani. E’ molto difficile perché un incontro di questo genere ti lascia tanta confusione nel cuore e nella mente. Tantissime emozioni ci hanno investito in una sala stranamente silenziosa con un’ assemblea rapita dalle parole di una donna che, a dispetto delle apparenze, ha mostrato forza e decisione straordinarie.

Il racconto delle sue esperienze è stato sconvolgente; non tanto per gli argomenti che ha trattato - che ognuno di noi ha appreso e apprende da telegiornali e speciali televisivi - ma per quel modo di farceli vivere personalmente. In quei momenti sembrava di vivere in Congo dove la guerra è continua ed infinita; sembrava di partecipare insieme all’operazione per salvare la vita ad una donna saltata su una mina. La stessa donna che sette mesi prima era stata aiutata da Chiara a partorire una bimba morta sopra quella maledetta mina. Perché bisogna dire che Chiara, specializzata in ginecologia, è partita per il Nicaragua prima e per il Congo poi per andare ad aiutare le donne, come ha detto lei, a generare nuova vita, ed invece si è ritrovata a fare il chirurgo per salvare vite umane distrutte dalle guerre.

E proprio parlando di operazioni chirurgiche e di amputazioni il discorso è finito sul suo braccio destro sostituito da una protesi dopo che un incidente le ha causato l’amputazione. Penso che ognuno di noi si sarebbe tirato indietro; invece lei, ha vissuto questa vicenda con uno spirito straordinario; provando, come dice lei, “a stare dall’altra parte del bisturi” ha capito molte di quelle cose che non si imparano sui libri ma soprattutto ha dovuto delegare il lavoro ed insegnare ad altri ciò che lei sapeva fare. Ascoltandola abbiamo avuto l’impressione che ognuna di queste esperienze abbia alimentato la sua fede. Una fede così profonda (“mi sento di credere nella potenza e nella follia della croce”) da darle la forza di combattere le battaglie più difficili tanto da far dire ai suoi amici “se non sono progetti impossibili, non sono per te”.

Una fede che deve aiutare tutti noi a credere che “Dio che ha scaraventato i potenti dai troni e ha innalzato gli umili” è sempre vicino a coloro che combattono per i più deboli.

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