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Pace

Il clown Miloud insieme a Chiara Castellani e don Corazzina

A Varese per parlare di Pace e Giustizia. Don Corazzina (Pax Christi): ''Partiamo dall'idea che aprirci agli altri significa scoprire in loro la parte positiva che c'è in ogni persona''
4 marzo 2005
Fonte: Redattore sociale ore 14.59 del giorno 02/03/2005

MILANO - Condividere la vita della gente e impegnarsi sul proprio territorio. Per fare volontariato bisogna partire da qui. Ne è convinto Don Fabio Corazzina, del movimento internazionale Pax Christi. Corazzina, operatore per la pace in Iraq, incontrerà i ragazzi del gruppo "Giovani Alianti" in una conferenza dibattito in programma domattina, dalle 8 alle 13, al Teatro di Varese, in piazza della Repubblica. In compagnia del clown romeno Miloud Oukili (Fondazione Parada Bucarest) e di Chiara Castellani, medico chirurgo in Congo, verrà trattato il tema 'Non c'è pace senza giustizia', affrontando argomenti che spaziano dal diritto allo studio, alla povertà, alla globalizzazione. L'incontro è organizzato dallo "Sportello provinciale Scuola Volontariato" di Varese. Corazzina ha anticipato all'Agenzia Redattore Sociale i contenuti del suo intervento.

Quali consigli si possono dare ai giovani che vogliono fare un'esperienza di volontariato?
”Il primo elemento da tener presente è che dobbiamo imparare ad abitare il nostro territorio, che è il primo luogo in cui siamo chiamati a fare la nostra parte. Dobbiamo conoscere la nostra comunità, imparando a stare anche nei luoghi della povertà e del conflitto sociale, contribuendo alla costruzione. In secondo luogo dobbiamo partire dall'idea che aprirci agli altri significa scoprire in loro la parte positiva che c'è in ogni persona, e collaborare con quella. Dobbiamo avere fiducia nell'altro, scoprendo i 'punti luce' di ogni persona, imparando a collaborare con tutti”.
Ai giovani volontari cosa è chiesto?
”Prima di tutto a ciascuno di noi è chiesto di fare qualcosa per gli altri in termini di giustizia e di impegno politico. Bisogna stare attenti: non basta raccogliere qualche soldo per le vittime del maremoto, impegnarsi in attività di assistenza per qualche ora alla settimane e fare un'esperienza estiva in missione per sentirsi persone che hanno imparato a costruire il bene comune. Il volontariato non deve diventare il luogo in cui sentirsi più buoni e non prendere impegni. Ai giovani, che hanno la capacità di appassionarsi alle esperienze e alle storie delle persone, faccio la proposta di valorizzare l'incontro con la gente, in modo che possano trovare una radice importante per donarsi agli altri”.
C'è da "diffidare" dunque degli slanci dei ragazzi che vogliono fare del volontariato un'esperienza isolata?
”No, non banalizzo gli slanci dei giovani: sono un dono immenso per la comunità, ma bisogna stare attenti a non tradirli, sforzandosi di capire qual è il bene comune. E' una questione che tocca anche il mondo degli adulti: è più facile mandare un ragazzo per un mese in Africa che dargli spazio in un consiglio comunale. Nelle stesse Ong o nelle associazioni, i giovani hanno poco spazio di decisione. Il mondo degli adulti deve saper dare risposta all'entusiasmo dei ragazzi: il meglio di sé devono darlo nelle loro comunità”.
Per cambiare il mondo bisogna partire dal proprio quartiere...
”In base alla mia piccola esperienza, si. Pensare globalmente e agire localmente è importantissimo: partire dal rispetto dell'ambiente, dei diritti della gente e della legalità nella propria realtà quotidiana è l'unico modo serio con cui iniziare a cambiare il volto del mondo. Ma la strada da fare è ancora molta: conosco i ragazzi di un liceo che hanno aiutato le vittime del maremoto in Asia aderendo alla campagna degli sms. Su 150 studenti, solo 2 facevano un'esperienza di volontariato sul loro territorio”.
Lei si è impegnato direttamente in Iraq: oggi che spazio c'è chi volesse fare un'esperienza di cooperazione internazionale in quel Paese?
”Oggi onestamente credo sia inopportuno partire da qui per andare in Iraq. Tuttavia laggiù si stanno raccogliendo i frutti di un lavoro precedente: anche le Ong che poi se ne sono andata hanno formato
operatori locali che stanno continuando il loro lavoro. Si tratta di un'esperienza molto interessante, perchè si è riusciti a dare alle persone gli strumenti per andare avanti da soli. Il volontariato deve
saper creare luoghi di liberazione e non di ulteriore dipendenza: in Iraq, come in altri Paesi del Sud del mondo, ci sono persone intelligenti e dal cuore grande che sanno mandare avanti le cose. Ai
giovani italiani che vogliono impegnarsi per l'Iraq direi di fare la loro parte da qui: studiando e preparandosi per poi impegnarsi nel rifiuto delle logiche della violenza e nella sensibilizzazione delle persone. (ar)

Note: Per gentile concessione di Redattore Sociale
http://www.redattoresociale.it

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