Kimbau

“Io sono nata per amare, non per odiare”

Il grido di pace delle donne

Voci femminili tornano a levarsi con forza, nel turbine di ogni guerra, per riaffermare il diritto alla vita e indicare vie “altre” al superamento dei conflitti
5 marzo 2005
Mariella Spagnolo

Era il 1996 e nella Repubblica Democratica del Congo infuriavano scontri violenti tra i soldati di Mobutu e quelli di Kabila. I villaggi venivano saccheggiati e incendiati, molti abitanti uccisi, le donne violentate: uno scenario tragico, impressionante, riapparso troppe volte sullo schermo della Storia. In quell’occasione, il Movimento “Donne per la giustizia e la pace” di Kinshasa rivolse un drammatico appello alle autorità del paese perché si ponesse fine alla guerra. “Il nostro cuore di madri e di mogli – scrissero in un audace documento - è profondamente ferito. Le lacrime non scorrono più sul nostro viso. Perché tante violenze? Perché tanto spreco di vite umane? Noi gridiamo il nostro strazio di fronte al mondo intero. Fermatevi, basta uccidere! Lasciate scorrere la vita che nasce dentro di noi. Noi e i nostri figli abbiamo diritto alla vita, alla pace, alla felicità”. E’ Chiara Castellani a darcene testimonianza nel libro "Una lampadina per Kimbau", dove racconta le sue storie di chirurgo di guerra. Una testimonianza forte, che rivela l’amore grande di questa donna per un popolo disperato, bisognoso di pace e di giustizia.

Sono passati alcuni anni dagli eventi tremendi che sconvolsero quel paese, e intanto nuovi conflitti sono esplosi in più parti del mondo, alcuni largamente divulgati dall’informazione mediatica, altri strategicamente taciuti. Tutti, allo stesso modo, hanno provocato morti premature e ingiustificabili, e fatto registrare, nell’orrido bilancio delle vittime, un numero assai elevato di donne e di bambini. Vite irrimediabilmente perdute. Sogni, sorrisi, piccole gioie… svaniti sul nascere. Esistenze miti e silenziose, che pur tra disagi e povertà, avranno sussultato di fronte alla bellezza del mare, del cielo, delle stelle… cancellate, in un attimo, dalla logica perversa di altri esseri umani, che così hanno decretato.

Come sempre, nel disordine spaventoso e irreale lasciato da ogni guerra, sono le donne a riavviare prontamente il corso normale della vita. Confinando l’angoscia nel profondo dell’anima, rimuovendo l’assurdità di ciò che è accaduto, e che i loro occhi smarriti hanno visto, riprendono a compiere i gesti dell’amore: curare, nutrire, accarezzare. Non potrebbero fare altrimenti. “Io sono nata per amare, non per odiare”: è la ferma dichiarazione di Antigone, nell’omonima tragedia di Sofocle, di una donna coraggiosa divenuta il simbolo dell’opposizione femminile ad ogni forma di violenza bellica. Sia essa “santa”, “preventiva”, “umanitaria”, come usano denominarla gli uomini, la donna non rinuncia alla memoria, al rispetto per la vita. Non rinnega la legge dell’amore, e prova compassione dinanzi ai corpi dei “fratelli” uccisi.

Variate nella forma ma identiche nel significato, le parole di Antigone tornano ad essere pronunciate con forza e determinazione dalle donne di Kinshasa, così come dalle donne irachene, da quelle ruandesi, dalle israeliane, dalle palestinesi e da tutte le altre donne che vivono nei paesi devastati dalla guerra. Una drammatica invocazione l’abbiamo ascoltata, nel filmato straziante di qualche settimana fa, dalla voce di Giuliana Sgrena (oggi finalmente liberata!), da una giornalista italiana risucchiata nella violenza del conflitto iracheno per la sola ragione di trovarsi “lì”a testimoniare il dolore, la miseria, la morte quotidiana di un popolo.

Tanti, dunque, gli appelli delle donne, negli ultimi anni, rimasti per lo più inascoltati, e tante le iniziative che mirano a dare un rilievo significativo alla presenza femminile nell’attivazione di processi di pace. Ricordiamo, per esempio, la Dichiarazione congiunta di Bat Shalom & Jerusalem Center for Women del Jerusalem Link del 14 aprile 2002 (1), presentata anche al Parlamento Europeo, dove un gruppo di donne israeliane e palestinesi chiedeva la cessazione immediata dell’occupazione, “causa profonda del conflitto tra i due popoli”. Il documento, che nel suo articolarsi tocca con molta obiettività e chiarezza di analisi la questione palestinese, si conclude con la seguente affermazione: “Il riconoscimento reciproco ed il rispetto dei reciproci diritti individuali e collettivi aprirà la strada alla costruzione della pace” . Analogamente, nella Dichiarazione finale del IV Forum Euromediterraneo delle Donne Parlamentari, tenutosi ad Amman nel 2003 (2), si esprime un’aperta condanna di ogni forma di violenza, e si esplicita l’obiettivo di creare una rete di relazioni permanenti tra donne, proprio perché le donne costituiscono una grande risorsa per avviare percorsi di pace, per la sicurezza e per la prevenzione dei conflitti. Inoltre, nel testo, si sottolinea con forza il pieno riconoscimento della dignità, dei diritti umani e civili, e l’urgenza di perseguire uno sviluppo mondiale equilibrato, basato su un’equa distribuzione delle risorse economiche e ambientali, così che l’umanità ancora oggi esclusa possa finalmente avere accesso al cibo, alla salute, all’istruzione, al lavoro.

E’ evidente che la via alla pace scelta dalle donne si apre su prospettive diverse, che danno una maggiore profondità alla politica, connotandola di quei caratteri che sono propri del mondo femminile, come la creatività, la capacità di mediazione, l’attenzione alla giustizia, la solidarietà con le minoranze che non hanno voce, la corresponsabilità. Ed è certamente la loro assenza, negli alti centri decisionali, a lasciare sostanzialmente immutati strutture e processi di organizzazione sociale e politica basati su logiche competitive e miranti a tutelare forti interessi economici, che costituiscono, com’è noto, il principale movente di ogni guerra. Una maggiore e incisiva presenza femminile, invece, aprirebbe uno spiraglio al nuovo, al cambiamento, privilegiando la dimensione etica dello sviluppo, valorizzando le culture differenti, intensificando progetti tesi a contrastare ogni forma di povertà e di violazione dei diritti umani.

A conferma di questo stile diverso, di questo sguardo più attento sul mondo e sugli esseri umani, valgono le vite di tante donne, coinvolte in conflitti passati e presenti, come Etty Hillesum, come Milena Jesenskà, come Simone Weil e come tante altre meno note che hanno lasciato un segno bello e luminoso della loro presenza. Oggi possiamo annoverare anche Chiara Castellani e Giuliana Sgrena. Vite di donne vissute oltre i limiti, resistendo di fronte a tante atrocità, alla paura, allo scoraggiamento, al senso di abbandono, guidate esclusivamente da un amore grande per l’umanità, dalla stessa, profonda certezza che fa dire al Coro, nella tragedia di Sofocle ricordata: “L’esistere del mondo è uno stupore infinito, ma nulla è più dell’uomo stupendo…”

Note: 1)http://www.universitadelledonne.it/palest.htm

2)http://www.dsonline.it/allegatidef/dichiarazione%20finale%2014566.doc


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