INTERVISTA A LUSH GJERGJI
Vitina 13.2.2000
di Alberto L'Abate
Alberto :
Siamo tornati, ed ora ci chiamiamo "Campagna Kossovo per la nonviolenza e la riconciliazione". Il nostro lavoro principale è proprio questo : nonviolenza e riconciliazione. Siccome sei uno dei massimi esperti in questo campo, avendo guidato circa dieci anni fa con Anton Cetta la riconciliazione nazionale per superare la vendetta del sangue, cosa pensi che noi potremmo fare per la riconciliazione ? Hai idea di dove cominciare per portare avanti l'obiettivo di un Kossovo multietnico, aperto alla convivenza, dove serbi, rom e altre minoranze possano rientrare (se non hanno commesso gravi crimini) ?
Lush Gjergji :
Questi nove mesi successivi al ritiro
dell'esercito e della polizia serbi purtroppo sono stati mesi in buona
parte persi non solo per la riconciliazione, il perdono e la convivenza,
che sono obiettivi a lungo termine, ma anche per l'immediato, per la semplice
organizzazione della vita civile. Cioè per designare le autorità
comunali, per riorganizzare l'anagrafe e tutte le strutture necessarie
per la vita pubblica. Ma purtroppo la presenza internazionale e noi maggioranza
albanese, non avendo trovato nessun punto fermo e non essendo d'accordo
sulle priorità da dare al lavoro che si deve svolgere insieme, continuiamo
a bloccarci reciprocamente.
Nella KFOR pensavano di poter gestire tutto con facilità, di essere venuti qui come liberatori, di poter trionfare su Milosevíc e di poter dare una soddisfazione grande al popolo. Ma ìi popolo, dopo l'entusiasmo iniziale, ha visto che in fondo non è cambiato niente. Tranne la paura e la continua minaccia per la vita, che non ci sono quasi più, tutto il resto è rimasto più o meno com'era prima. La comunità internazionale p l'ONU tramite l'UNMIK, non riesce ad esprimere delle proposte valide e a trovare un accordo. Kouchner stesso ha tentato e sta tentando di fare qualcosa inserendo nel Consiglio Transitorio ora un partito ora un altro, ora una persona ora un'altra, ma senza trovare la chiave giusta dal momento che la presa di coscienza non è ancora avvenuta.
Allora io direi : per la riconciliazione
e la pace ci sono tre o quattro cose fondamentali da fare. Purtroppo in
tutta questa situazione il mondo degli intellettuali sta a guardare, perciò
dobbiamo cercare di far passare questo discorso attraverso l'Università,
l'Accademia delle Scienze e delle Arti, i mass-media (che purtroppo sono
tante volte in mano ad estremisti).
Tutti quanti cercano di appropriarsi
dei mass-media e dei potere economico e la stessa vita politica è
degradata in un partitismo eccessivo in lotta per spartirsi i privilegi.
Mentre il mondo intellettuale e quello religioso sta a guardare, così
come fanno comunità internazionale, KFOR e UNMIK. Da tanto tempo
sto dicendo a tutti quanti, a Rugova, a Kouchner, a Qosja che dobbiamo
costituire un fronte comune che sia al di sopra dei partiti, delle nazioni
e delle religioni.
Se tutti quanti ad una voce diciamo cosa non va bene e inoltre diciamo anche cosa si deve fare, diamo una prospettiva e motiviamo la gente, credo che siamo ancora in tempo per uscirne fuori. Altrimenti bisogna dedurne che questa situazione alla comunità internazionale, soprattutto ai militari, vada molto bene perché il protrarsi di conflitti e difficoltà giustifica la loro presenza senza che facciano niente per risolverli. Qui la cosa strana è che tutti quanti dicono che le cose non vanno bene, ma nessuno fa niente perché cambino. In questo momento non stanno bene i serbi perché sono minacciati, ma non stanno bene neppure gli albanesi - se poi osserviamo il numero dei morti, esso è addirittura aumentato. Tutto ciò deve far riflettere.
Qui, nel nostro piccolo mondo, a livello comunale, ho cercato in qualche modo di ricomporre il conflitto sia con l'imam che con il prete ortodosso, e questo per quanto riguarda l'aspetto religioso. Per quanto riguarda la politica, è stato fatto lo stesso lavoro con i partiti, ma quando si è raggiunto il consenso per dare spazio anche ai serbí e quando sono state proposte le persone, il rappresentante dell'UNMIK ha detto che questo era non il nostro ma il suo lavoro, ha lasciato la riunione dicendo che era compito suo scegliere le persone e che non potevamo imporgli quelle scelte da noi.
Vedete quindi che questi sono segni chiari di come a livello internazionale ci sia la tendenza a mantenere il conflitto per arrivare, secondo alcuni, alla cantonizzazione dei Kossovo, secondo altri per mantenere lo status quo e per non risolvere né economicamente, né politicamente, né culturalmente la questione del Kossovo.
Alberto :
Come Campagna Kossovo, per gli
scopi che ci siamo prefissi, cosa potremmo fare e dove ?
Lush Gjergji :
Credo che il vostro punto di riferimento
dovrebbe essere sicuramente Pristina, per la presenza dei centri culturali
(Università e Accademia) e per la presenza dei media. Noi possiamo
essere presenti in questi contesti e dobbiamo fare un appello pubblico.
Ma soprattutto voi come stranieri che non siete né albanesi né
serbi, dovete creare un fronte che fermi la violenza che è un male
sia per coloro che la usano sia per coloro che la subiscono. Dobbiamo riuscire
a stabilire contatti sia con gli intellettuali, sia con i mass-media, sia
con il mondo religioso. Un punto di partenza potrebbe essere il documento
sottoscritto a Sarajevo l'8 febbraio scorso dai leaders religiosi con
il quale si chiede di porre fine alla violenza e alle vendette.
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