Cari amici,
con questa circolare vi informo che la riunione di maggio è rimandata a data da destinarsi.
Infatti i recenti avvenimenti fanno spostare i nostri programmi.
In particolare, l’attentato a Djindjc ha reso problematici i nostri contatti con i serbi interessati ai seminari e lo scoppio della guerra tiene impegnato Alberto in continui incontri in Italia e all’estero. Inoltre la richiesta alla Tavola Valdese per ottenere un finanziamento dai fondi dell’otto per mille avrà una risposta solo fra qualche mese.
Per quanto riguarda le altre attività, l’iniziativa dello scambio tra scuole non si è potuta concludere con il programmato viaggio degli alunni italiani in Kossovo perché la zona è ritenuta “a rischio” dalle compagnie di autobus, e ciò ha allarmato ancora di più Preside e Consiglio di Istituto che hanno alla fine deciso di non dare il permesso.
Accludo un articolo sul Kossovo preso da www.osservatoriobalcani.org e, nella speranza che arrivi presto la pace, vi saluto cordialmente e ringrazio quanti hanno inviato il contributo per il 2003.
Etta RagusaGrottaglie, 27.3.2003
Vi ricordate del Kossovo?
Nuccio Iovene fa parte della Commissione diritti
umani del Senato della Repubblica. Di ritorno da un viaggio in Kossovo ha
inviato alcune considerazioni all’Osservatorio.
(21/03/2003) Vi ricordate del Kossovo?
E' questa la prima domanda che mi viene di fare al ritorno da una missione
di tre giorni della Commissione straordinaria per la promozione e la tutela
dei diritti umani del Senato della Repubblica a cui ho partecipato.
A distanza di tre anni e mezzo dai 'bombardamenti umanitari' e dall'avvio
del Piano ONU per il Kossovo, interrogarsi su cosa sta accadendo in quell'area
può aiutarci a comprendere meglio i nuovi scenari di guerra che abbiamo all'orizzonte
e le loro conseguenze nell'immediato futuro.
Una economia al collasso con interi settori produttivi bloccati e una disoccupazione
al 70%; l'80% del prodotto interno lordo frutto delle attività del crimine
organizzato, come ci hanno documentato le forze di polizia internazionale
che abbiamo incontrato; 230.000 serbi ancora sfollati e sul cui ritorno oggi
nessuno è pronto a scommettere. Una persistente difficoltà al dialogo ed all'integrazione
tra i diversi gruppi etnici rappresentati oltre che dagli albanesi e dai serbi
anche dalle minoranze bosniache, croate, turche, rom, askalja e gorani. E
sullo sfondo il regolamento di conti all'interno delle diverse etnie che ha
portato ieri a Belgrado all'uccisione del Primo Ministro Serbo Zoran
Djindjic da un lato e venti omicidi, consumati negli ultimi mesi, nei
confronti di albanesi moderati vicini al Presidente Rugova, portati a termine
da estremisti albanesi. Tutto questo nonostante la ancora forte presenza della
Comunità internazionale ed il tentativo di dare vita ad istituzioni democratiche
e a favorire un 'ritorno alla normalità' che sembra essere ancora oggi assai
lontana.
Anzi il Kossovo di oggi si presenta ai miei occhi come un enorme campo di
sabbie mobili, dove la fatica di un passo viene rapidamente annullata dal
risucchio di un terreno incerto ed infido. Il sentimento prevalente che continua
a dominare è la paura. Se un serbo si ammala ed ha bisogno di un ospedale
o riesce a ricoverarsi all'ospedale serbo di Mitrovica
o altrimenti rinuncia al ricovero, perché ha paura di non uscirne vivo, ed
ovviamente lo stesso vale, al contrario, per un albanese.
Tutti coloro i quali abbiamo incontrato nei tre giorni della missione, in
diverse località del Kossovo, ci hanno confermato che l'unica vera collaborazione
ed integrazione interetnica oggi è solo quella tra la mafia serba e quella
albanese.
Non a caso centoventidue chiese, monasteri e luoghi di culto ortodossi sono
stati fatti saltare in aria o sono stati distrutti mentre altri, tra cui alcuni
tesori bizantini come il Monastero di Decani o il Patriarcato di Pec, hanno
bisogno di presidi militari permanenti per evitare che anche essi vengano
presi di mira.
Il puzzle del Kossovo è assai lontano dall'essere composto. La presenza di
decine di migliaia di militari e civili stranieri ha sconvolto le tradizionali
gerarchie sociali e retributive, dando vita ad un'economia gonfiata che rischia
di produrre ulteriori contraddizioni e lacerazioni con la progressiva diminuzione
della presenza internazionale.
Albanesi e serbi sono profondamente divisi sul passato e lo sono ancora di
più sul futuro: gli uni puntano all'indipendenza del Kossovo mentre gli altri
pensano di mantenere il Kossovo all'interno della Federazione Jugoslava, o
al massimo a giungere ad una 'partizione' dell'attuale Kossovo tra le diverse
etnie.
Quello che deriva da queste premesse è facile immaginare e non sembra riuscire
a sbloccare la situazione la proposta in campo avanzata dal rappresentante
speciale del Segretario Generale delle Nazioni Unite Michael
Steiner, a capo della missione ONU (UNMIK), denominata 'Standard before
status', basata sull'idea che è prematuro parlare dell'indipendenza del Kossovo
se prima non si raggiungono gli standard istituzionali, economici e sociali
necessari per una moderna democrazia.
Può permettersi l'Europa di domani, quella a venticinque, un buco nero di
queste proporzioni al proprio interno?
Le uniche flebili speranze si accendono attorno alle decine di iniziative
portate avanti con fatica e tenacia dalle diverse ONG, molte delle quali italiane,
presenti nei posti più incredibili e sperduti. Tutte ci dicono che c'è ancora
bisogno di tempo e di tanto lavoro, dal basso. E citano la fatica e la soddisfazione
nella costruzione di centri di animazione delle comunità locali e di attività
di microcredito, con i loro primi cinquecentotrenta casi di successo, attraverso
piccoli prestiti per l'avvio di piccole attività lavorative. O il lavoro instancabile
di Don Lush Gjergj, sacerdote cattolico, animatore dell'ONG kossovara intitolata
a Madre Teresa di Calcutta che con gli oltre settemila volontari che con essa
collaborano in tutto il Kossovo, in particolare a fianco di quei cinquantamila
poveri estremi (vedove ed orfani, anziani e per la prima volta bambini di
strada), sogna la costruzione di un grande tempio della pace, una vera e propria
fabbrica del dialogo interetnico e interreligioso.
Con tutto questo, ed altro ancora, a distanza di tre anni e mezzo occorre
fare i conti, mentre in realtà il Kossovo sembra essere scomparso dall'agenda
politica della comunità internazionale per lasciare il posto ai nuovi scenari
di guerra. Una ragione in più per opporsi all'illusione che la democrazia
possa esportarsi con le bombe.
Nuccio Iovene
Senatore DS – Ulivo Commissione diritti umani Senato della Repubblica
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