A Siena il convegno TraSudamerica: un viaggio tra identità e cooperazione in America Latina
"Nell'era del giornalismo schierato e della dittatura mediatica, in cui il 95% dell'informazione è in mano a impresari che sostengono il potere costituito, le notizie provenienti dall'America Latina sono spesso distorte e raramente viene raccontata la reale situazione del continente desaparecido": è questa la prima riflessione di Gianni Minà, invitato a parlare al convegno "Trasudamerica, un viaggio tra identità e cooperazione in America Latina" organizzato da Mani Tese Siena e Associazione Amici del Guatemala in collaborazione con l'Assessorato alla Pace e alla Cooperazione Internazionale del Comune di Siena.
Secondo il direttore di Le Monde Diplomatique Ramonet "l'informazione è un ostacolo alla verità", afferma Minà, che denuncia il rischio di uno stravolgimento della professione del giornalista, ormai ridotto semplicemente a raccogliere e scrivere le notizie soltanto sulla base delle informazioni delle agenzie internazionali (molte delle quali di proprietà Usa). La situazione del mondo dell'informazione italiana è altrettanto preoccupante, sottolinea Minà, riferendosi al modo in cui è stata trattata la vicenda Sgrena e ai frequenti inviti nelle trasmissioni televisive di un opinionista dell'estrema destra americana come Luttwak, come se gli Stati Uniti non avessero alcun intellettuale di valore non allineato alla dottrina di Bush: basta pensare a Chomsky. Se la resistenza del giornalista è l'unica opzione per resistere all'imposizione del pensiero unico, è altrettanto vero che l'America Latina sta cambiando pelle, ma per la grande stampa non è conveniente dirlo, e così ha creato notevoli discussioni il documento firmato da duecento intellettuali (tra cui Esquivel, Saramago, Galeano, Menchù, lo stesso Minà) in cui si prende posizione contro l'ennesima censura verso Cuba in sede Onu per la violazione dei diritti umani.
In realtà, denuncia Minà, le censura contro Cuba è manovrata principalmente dagli Stati Uniti, che comprano spesso, tramite ricatto, la disponibilità di alcuni paesi per far condannare Cuba: era successo con l'Uruguay, la cui sopravvivenza economica era legata al voto favorevole alla censura nei confronti di Cuba, adesso, oltre a Israele, l'unico paese schierato a fianco degli Stati Uniti sono state le Isole Marshall, non a caso la più grande base americana nel Pacifico.
Si condanna Cuba perché non c'è democrazia (e in effetti questo non giustifica la detenzione degli oppositori politici e le fucilazioni decise da Castro), ma né gli Usa né l’Europa si sono mai preoccupati di comportarsi allo stesso modo con la Colombia, dove il presidente Uribe riceve in Parlamento i leader degli squadroni della morte e che, quando ricopriva la carica di governatore di Antiochia, è stato responsabile dell'uccisione di duemila persone per difendere gli interessi dei terratenientes. La Colombia è ritenuta democratica perché, a differenza di Cuba, si svolgono libere elezioni, ma in realtà, come in molti altri paesi latinoamericani, si tratta di una democrazia formale dove vengono violati i diritti più elementari.
Agli occhi del mondo l'America Latina è un continente scomodo: nell'era del neoliberismo selvaggio la società civile vota governi progressisti, ad esempio Brasile, Argentina, Uruguay, Venezuela, Ecuador (prima che Gutierrez tradisse i movimenti sociali e la Conaie), Cile (anche se il socialista Lagos è in realtà molto vicino ai dogmi statunitensi), e lo stesso potrebbe accadere presto in Messico dove è candidato il sindaco della capitale Lopez Obrador. Inoltre crescono quotidianamente le proteste contro l'Alca, dopo che il Nafta aveva già mandato in crisi il Messico all'epoca della presidenza di Salinas de Gortari, e lo stesso Plan Puebla-Panamà rappresenta una sciagura per tutto il Centro America.
In un'America Latina che le multinazionali vogliono trasformare in terreno di conquista ritenendo il capitalismo come l'unico modello adatto per far progredire il continente, ancora non è stata realizzata quella riforma agraria che in Occidente è una conquista di fine Ottocento.
Il nuovo vento proveniente dall'America Latina ci parla di democrazia partecipativa, è il caso del Rio Grande do Sul, dove questo sistema funziona da 20 anni ed ha spinto Lula verso il governo del paese, ma in Italia invece c'è una certa ironia e sarcasmo in buona parte della sinistra quando si parla di Sudamerica. Lula è stato tra i primi a capire il ritardo e l'arretratezza dei partiti della sinistra brasiliana e ha fondato il Pt, che, nel breve arco di 19 anni si è trasformato nel più grande partito progressista del continente.
Un'altra stoccata alla sinistra, in particolare ai Ds, Minà la riserva quando parla del referendum venezuelano dello scorso agosto in cui Chavez è stato riconfermato presidente. I dubbi sulla validità del voto espressi dai Ds, sottolinea Minà, denotano una sconcertante mancanza di informazione. Non solo il risultato del referendum è stato ritenuto valido dagli osservatori della Fondazione Jimmy Carter, ma l'opposizione cosiddetta "democratica" era organizzata da personaggi ambigui come gli ex presidenti Calderas e Perez, poi deposto per corruzione e responsabile di aver venduto privatamente il petrolio venezuelano. Chavez è riuscito nell'impresa di dare una speranza alla vita degli invisibili dei "ranchitos" (le favelas di Caracas) a partire dall'invio di dodicimila medici cubani nei quartieri più degradati del paese quando questa gente non aveva mai visto un medico ai tempi della spartizione del potere tra Perez e Calderas.
Un'altra speranza per il futuro del continente è rappresentata dalla vittoria della coalizione guidata da Tabarè Vasquez in Uruguay, dove il centro-sinistra ha vinto le elezioni e l'ex tupamaro Pepe Mujica è stato tra i più votati. Già prima dell'elezione di questo governo in Uruguay era stato respinto, tramite un referendum, il tentativo di privatizzazione dell'acqua, ed è proprio dal piccolo paese sudamericano ha preso spunto Antonio Melis (docente di Lingua e Letteratura ispanoamericana presso la Facoltà di Lettere dell'Università di Siena) per il suo intervento.
Dall'Uruguay, sostiene Melis, noi abbiamo da imparare, mentre invece troppo spesso il nostro eurocentrismo ci porta a deplorare il Sudamerica con la tipica espressione "questa è l'America Latina". In realtà in Uruguay è andata al potere una coalizione formata da ex tupamaros e l'ala progressista della Democrazia Cristiana, non a caso denominata Frente Amplio. Il discorso di insediamento di Tabarè Vasquez, avvenuto il 1 Marzo, è stato particolarmente significativo: "io qui non sono venuto da solo, arrivo alla presidenza insieme ai compatrioti che si sono espressi per il paese migliore, ci ispirano principi di solidarietà e uguaglianza per tutti gli uruguyani".
Il successo del Frente Amplio in Uruguay è nato dal rapporto comunicante che si è creato tra società e movimenti e la politica: si, conclude Melis, l'America Latina può davvero insegnarci qualcosa.
Il testo e' liberamente utilizzabile a scopi non commerciali citando
la fonte (Associazione PeaceLink) e l'autore (David Lifodi)."
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