Colombia:L'ennesima tragedia
Luis Eduardo aveva 35 anni, un figlio di 11, Deiner, e una giovane compagna, Bellanira. Era uno dei leader più conosciuti della comunità di pace di San José de Apartadò, in Antiochia, nord della Colombia. L’ultima volta che è stato visto in vita era il 21 febbraio. Poi il suo cadavere, e quello dei suoi familiari, è stato ritrovato praticamente
fatto a pezzi non lontano dai suoi campi di cacao. I corpi presentavano segni di tortura. Tra gli ultimi ad averlo visto il suo fratellastro, che era con lui quando sono stati fermati dai militari nei pressi del rio Mulatos, a 9 ore di cammino dal centro della comunità che da 8 anni sta portando avanti una delle battaglie più radicali per il rispetto della popolazione civile nel mezzo nel conflitto colombiano. Il dato più preoccupante, secondo quanto dichiarano la comunità stessa e varie organizzazioni colombiane, è che i responsabili del crudele delitto sembrano essere i membri del battaglione 33 di contraguerriglia della brigata XVII dell’esercito. L’ennesima testimonianza del coinvolgimento diretto dei militari colombiani nella strategia di spopolamento delle campagne che da anni viene portata avanti.
La guerra che insanguina la Colombia vede da un lato alcune formazioni rivoluzionarie, la più nota è la Farc, dall’altro l’esercito e i vari gruppi delle Autodefensas, paramilitari al soldo dei grandi possidenti terrieri, utilizzati per “convincere” le comunità contadine ad abbandonare le loro terre, successivamente occupate ed espropriate. Il progetto delle comunità di pace prende forma in Urabà a partire dal 1997, appoggiato anche da alcuni esponenti della chiesa cattolica. L’idea è quella di trovare in mezzo al conflitto uno spazio in cui siano rispettati i diritti della popolazione civile. Le comunità di pace praticano una resistenza pacifica e neutrale, rifiutano le armi
e si oppongono alla presenza di qualunque attore armato, legale o illegale, nei loro territori.
A causa del rifiuto a lasciare la zona, gli abitanti di San José negli ultimi 7 anni sono stati vittima di oltre 150 omicidi, la maggior parte dei quali commessi dall’esercito e dai paramilitari, e che ancora oggi rimangono nella più totale impunità. Per questo motivo la comunità è da vari anni beneficiaria delle misure cautelari della Corte interamericana dei diritti umani. Luis Eduardo, costretto dalle minacce ricevute a un esilio di più di 2 anni a Bogotà, era stato portavoce della comunità presso il governo e aveva compiuto numerose visite in Europa e negli Stati Uniti. Ultimamente stava lavorando all’estensione del progetto comunitario ad altre zone del paese. Il governo colombiano ha dichiarato la necessità di una militarizzazione delle comunità di pace. Il che suona beffardo, dal momento che i principali indiziati del delitto sembrano essere proprio membri dell’esercito, ma che risponde alla logica del presidente Uribe: disconoscere la guerra civile in corso procedendo però a un “arruolamento” della popolazione in nome della «lotta contro il terrorismo». I leader della comunità hanno dichiarato che non esiteranno ad abbandonare la loro terra se costretti a convivere con i loro carnefici. Sarebbe un’ennesima tragedia per popolazioni già a lungo vessate. E che somiglia troppo all’obiettivo che può avere ispirato questo massacro.
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