Uruguay: speranza di cristallo
Molto legno scuro, buon legno di pino a terra e una targa alla finestra che dice 1877. Alle pareti immagini di Montevideo e stampe di vecchie esposizioni. Anche foto di alcuni personaggi. In una di esse compare un Eduardo Galeano che somiglia molto al tipo che in questo momento sta entrando a El Brasilero, il caffè della città vecchia e, prima di sedersi, si dirige al bancone e chiede un caffè macchiato. Poi l’Eduardo Galeano reale tira fuori un portadocumenti e mostra una tesserina.
"Guarda: socio numero uno".
Socio di "El Brasilero".
"E guarda dietro".
Dietro dice che il socio ha diritto ad un caffè gratis al giorno.
"Ho risolto la base della mia alimentazione per tutta la vita".
Soprattutto se bevi un caffè macchiato.
"Macchiato e zuccherato, ancora meglio".
È il 2 marzo e sono le tre del pomeriggio, primo giorno effettivo di Tabaré Vázquez, che il giorno prima è diventato il primo presidente di sinistra della storia uruguayana, in mezzo ad un’euforia che è sembrata storica.
Ci sono mai stati tanti uruguayani così contenti, a parte il 31 ottobre quando ha vinto il Frente Amplio?
"Sì, anche quella volta in cui la gente si riversò nelle strade alla fine della dittatura. Io ero in esilio. A parte questa, non c’è nulla di paragonabile. Stavolta, la notte del 28 febbraio, la notte prima dell’insediamento, e le sere successive, la gente si è inventata un passaparola spontaneo, senza nessun accordo, che andava ripetendo da Sayago a Malvín. Dicevano "Buon anno" o "Felice anno nuovo", che era una follia perché l’anno era già iniziato da due mesi. A Malvín, dove vivo io, hanno salutato la nascita del nuovo anno con i tamburelli fino a tarda notte, sventolio di bandiere, razzi e fuochi d’arti-ficio. Era il segno di un tempo che stava nascendo. O di un Paese che stava nascendo. O che rinasceva dopo aver sopportato un’esistenza tormentata.
Sì, non c’erano discussioni su quale dovesse essere la prima misura da prendere o come sarebbe stato il nuovo governo.
Chiaro, in quel momento dominava un’enor-me allegria. Come quel tipo che commentò in ottobre, quando abbiamo vinto le elezioni e ci davamo i pizzicotti per poterci credere: "Vorrei che questa notte non finisse mai". Un’allegria che la gente voleva fosse infinita. Era tanto tempo che non ne provavamo… Questo è un Paese molto mortificato, molto colpito. I giovani sono fuggiti. Un Paese senza giovani. Un’emorragia di popolazione".
Tabaré nel suo discorso ha detto che il 15% è fuori.
"E deve essere così. Quasi mezzo milione. Molti giovani. Per questo Tabaré ha annunciato che varerà una legge perché possano votare dall’estero. Perché per di più li punivano negando loro il voto. Non si limitavano a cacciare i giovani figli di questa terra".
Gli emigranti sono causa di depressione permanente, no?
"Certo. Prima di tutto perché andarsene non è affatto una festa. E pure quelli che restano, condannati a bandire dai loro cuori coloro che sono partiti, subiscono una fottuta condanna. Sai perché non potevano votare? Dicevano: ‘Gli uruguayani che se ne vanno non sanno quello che succede qui’. Sanno più di noi che restiamo".
Per questo se ne sono andati.
"Li costringevano a venire a votare, a pagare la dogana, a ottenere il permesso dal lavoro. Facilissimo se vivi in Australia. E venire e constatare che non sei nel registro degli elettori. Per fortuna, Tabaré ha ratificato questo impegno elettorale del Frente. È bene che venga ratificato, e ad alta voce, quello che era stato promesso. Lo stesso è capitato con Juan Gelman. Tabaré ha detto esplicitamente che il caso di sua nuora non cadrà in prescrizione. Neanche gli assassinii di Zelmar Nichelini e di Hector Gutiérrez Ruiz. Importante che abbia detto che si scaverà e che, se non si trova quello che si cerca, bisognerà scoprire dove sta. È bene concretizzare gli impegni assunti con il popolo".
Eduardo, che tipo di leader è Tabaré?
"È un tipo dei nuovi tempi dell’America Latina. Nel 1980 era militante del partito socialista, ma non è il prodotto di un partito politico. Non viene da lì il suo prestigio. Viene dalla borgata, dalle mense popolari e da tutto quello che ha fatto nella periferia di La Teja. E dalla resurrezione della squadra di calcio "Progresso", fondata dagli anarchici e dai socialisti all’inizio del secolo, un primo di maggio, come la squadra "Chacarita" dell’Argentina. "Progresso" giaceva dimenticato nelle catacombe. Come presidente del club, Tabaré lo ha resuscitato, lo ha fatto arrivare in serie A, gli ha fatto vincere il campionato".
Quello dell’89.
"Esattamente. È stata un’anticipazione di quello che sarebbe successo con il Paese. Quello di Tabaré è un prestigio guadagnato a buon diritto, partendo dal basso, anche per la sua professione di medico oncologo, uno dei migliori di Rio de la Plata. I medici possiedono un prestigio magico in America Latina. Gli eroi delle telenovelas solitamente sono medici. Salvador Allende era medico, socialista e massone. Era simile a lui. Allende era stato ministro e senatore. Tabaré viene dalla borgata, dal football e dalla medicina. È un uomo semplice, affabile, onesto. Una brava persona. Molto uruguayano nel suo modo d’essere…".
Cioè?
"Dolce, lento. Si prende il suo tempo. Come il giocatore uruguayano che riceve la palla e pensa a cosa fare. È magnetico. Ha carisma. Un carisma diverso da quello di Pepe Mujica, l’altro uomo carismatico della sinistra uruguayana".
Perché i Tupamaros sono gli unici guerriglieri del Sudamerica che conservano il prestigio di prima, sebbene ormai non siano più guerriglieri?
"Insieme agli zapatisti del Messico, che rapidamente sono diventati un’altra cosa, sono il gruppo guerrigliero meno militarizzato dell’America Latina. Ci sono state alcune deviazioni e alcuni errori. Alcune idiozie. Eccezioni, non la regola. Però, volendo fare un paragone, è stato il movimento guerrigliero che si è distinto per il rispetto della vita umana. Questo ha garantito una continuità che ha permesso loro di reinserirsi nella democrazia con grande naturalezza e con enorme successo".
Il Movimento di Partecipazione Popolare è la forza più rappresentativa all’interno del Frente Amplio.
"Non è cosa da poco, no?".
Quando si parla con dirigenti come Mujica o come Fernández Huidobro non li si vede come nostalgici.
"No, ma neanche è vero il contrario. Non ragionano come pentiti, che parlano solo di un periodo nero. Non hanno scoperto la democrazia come chi scopre Gesù, come gli illuminati. La vedono come un modo per continuare la lotta, per affermare i principi che li avevano mossi in un’altra circostanza storica, quando i canali democratici erano chiusi o molto sudici. C’era anche una visione idealizzata della lotta armata a partire dall’esperienza cubana, che ebbe un impatto enorme, e anche del messaggio della vita del Che".
I Tupamaros sono del principio degli anni ’60.
"Furono anche molto influenzati dall’attività di Raúl Sendic, nella fondazione dei sindacati nel nord del Paese. Lo chiamavano "Il giustiziere". Il regime era già al collasso. E iniziò a rispondere con la violenza. Poi vennero gli anni della dittatura militare, anni di sudiciume e di paura. Questo Paese è stato profondamente ferito. È diventato il Paese con la maggior quantità di torturati per abitante al mondo. Poi è venuto il periodo traballante di una democrazia che cominciava a camminare con difficoltà e che credo abbia trovato nella sinistra una fonte di energia pazzesca. Soprattutto agli occhi dei giovani, dei pochi rimasti, e di quelli che si erano rintanati e che ora ricompaiono nelle strade. Questo è un miracolo biblico. All’improvviso il Paese ha i giovani che gli mancavano. E credono, recuperano la speranza".
Cosa ha prodotto questo livello di credibilità del Frente Amplio?
"L’aspettativa del cambiamento. Ma attenzione. Alcuni compagni, alcuni amici parlano tanto delle virtù della continuità che perdono di vista la cosa più importante, che è la necessità di marcare la differenza".
Hanno votato per questo.
"Sennò perché? La democrazia è per scegliere tra due eguali? No. E non parlo di cambiamenti immediati. Il Frente non ha venduto carne putrida. Ha offerto speranze legittime, certe, trasparenti, comunicate con molta onestà. Non è stato mai detto che in una settimana questo Paese sarebbe diventato il paradiso terrestre. Mai. Dicevano. ‘Verrà un tempo di sacrificio, di speranza, sarà molto complicato’. L’importante è che non si perda la rotta del cambiamento. È la cosa decisiva. Senza rotta i ragazzi avranno diritto di domandarsi se la democrazia è un circo dove i politici fanno piroette".
Parlavi di Tabaré emerso dalla borgata. Perché la forza di organizzazione sociale della borgata in Uruguay non si è esaurita?
"Negli ultimi decenni, e non solo a causa della dittatura militare ma per il processo di assoggettamento implacabile di quella che chiamano globalizzazione, i vincoli sociali si sono molto logorati o interrotti. È un modello di vita che ti obbliga a divorare il prossimo per sopravvivere. In Uruguay, bene o male, questi vincoli si sono potuti salvare probabilmente grazie alla condizione preistorica di questo Paese. Stiamo parlando in una città dove ancora si può respirare e camminare, che sono due lussi inimmaginabili nel mondo moderno. E ricordati delle piccole dimensioni di questo Paese che conserva ancora spazi di intimità, questi ultimi angoli di solidarietà tra i vicini, che in gran parte sono riusciti a sopravvivere e a prosperare nel bel mezzo della crisi e in certa misura anche a causa della crisi: varie cooperative sono nate in risposta alla necessità della gente di unirsi per trovare la maniera di difendersi. Cooperative di case, di gente che si è costruita le proprie abitazioni, di artigiani che si sono uniti per far fronte alla tragedia dello smantellamento di ogni struttura produttiva di questo Paese.
All’inizio la forza militare, poi, con la nascita della democrazia, blancos e colorados (i due partiti tradizionali che si sono alternati al potere, ndt), d’accordo, hanno trasformato il Paese in una banca con vista sul mare e quattro mucchette dietro".
Andò male.
"Si sono portati via mille milioni di dollari. E lo Stato, sordo e cieco, non ha visto né sentito nulla. Era già lo Stato assente. La Banca centrale non esisteva. Non c’era alcun controllo. Prima di andarsene, il governo di Jorge Batlle ha riconosciuto che i Rohm operavano tramite una impresa che non aveva esistenza legale".
Non era nemmeno iscritta nella DGI uruguayana.
"No, e lo raccontavano come chi dice che piove. Bisognerebbe avere fiducia nel capitale finanziario come fonte di qualcosa che non siano corruzione e affari sporchi, delinquenza… Il vecchio Bertold Brecht lo diceva, ed è vero: "È un crimine assaltare una banca, ma è ancora più un crimine fondarla". Il Frente non è mai entrato in questo gioco di illusioni, in questo spettacolo di ombre cinesi sulla parete. Ha sempre fatto appello al Paese produttivo. E’ quello che si sta cercando di fare ora. Di energia ce n’è. E di talento umano anche, perché avete visto che l’Uruguay ha un buon livello di formazione per tentare qualche avventura creativa. Ma questo Paese si è svuotato di giovani ed è strangolato dal debito. Ed inoltre è gravemente malato di sfiducia. La grande novità è che la speranza è tornata. Lo ricordo sempre ai compagni: i cattivi poeti del realismo socialista ci dicevano che la speranza è di acciaio. Di acciaio no. Di cristallo, piuttosto. Attenti che non ci si rompa in mano, perché poi ci vogliono generazioni per recuperare questa cosa che ha un così bel suono. C’è un’altra luce sul viso della gente in questo Paese sottoposto a lunghi anni di tristezza obbligatoria. Era, fino a poco tempo fa, un Paese spento. Io sento che si è illuminato, che da ogni parte si sono accese delle luci. Queste luci sono sui volti della gente".
Che effetto vedere una bandiera per ogni persona!Non c’era mica uno striscione davanti e la gente dietro.
"Ed un’altra cosa che ha richiamato la mia attenzione, un dato che la dice lunga sulla cordialità nazionale, perché questo è un Paese cordiale, è che non si è verificato un solo episodio di violenza né nei festeggiamenti né in questo festeggiare la vita nuova. A parte cose normali, come la gente che fischiava Batlle quando questi affermava che a Tabaré consegnava un Paese in crescita. Se guardi i numeri, sta andando molto bene, ma la gente non se ne è accorta. Il diritto della gente ad è essere essa stessa sovrana della verità.
Ciò è in contraddizione con quella deplorevole tradizione, eredità della struttura coloniale, che è la tradizione dell’impotenza, della realtà intoccabile, del ‘si può arrivare solo fino a qui’. È ciò che ci hanno lasciato in dono i fragili fatalisti e i dottori sempliciotti. Potete vedere la realtà da lontano. Potete applaudirla o potete fischiarla. Ma toccarla no. Cambiarla, meno che mai".
Che significa che il governo è formato da ministri che erano già adulti negli anni ’60?
"Sono vecchi. L’Uruguay è un Paese di vecchi".
Rivoluzione cubana e sesso libero.
"Gli hippy al potere. I compagni che sono ministri hanno mantenuto viva una energia giovanile che è da apprezzare, no? Ed una certa capacità di credere nonostante tutto. Ed è gente molto sobria. Mujica ha detto giustamente al Congresso: "Ho molti acciacchi sulle spalle". Un amico argentino, Envar El Kadri, Cachito, molto vicino all’Uruguay e legato a me da sentimenti fraterni, morto prematuramente, mi aveva scritto una lettera molto bella quando le dittature cominciarono a sgretolarsi. Mi diceva: ‘Non sono riusciti a trasformarci in quello che sono loro’. Lo tengo sempre molto presente. Vedo i compagni del governo con questa bella capacità di impegno, di solidarietà, che impedisce di chiudersi in se stessi e nelle proprie piccolezze. Questo è bello. E’ una bella eredità di quella generazione che avrà tante zampe di galline intorno agli occhi ma che ha vissuto un tempo di pazzia. Un tempo in cui nessuno dubitava del fatto che la povertà sia il risultato dell’ingiustizia. Non era messo certo in discussione dal a destra. Ora, per molti al di fuori della sinistra, la povertà è il castigo che l’inefficienza merita. Bisogna ricostruire i concetti di giustizia e ingiustizia. Il mondo di oggi è molto più ingiusto di quel mondo".
Eduardo, ci sono stati molti balli, molta musica di strada per i festeggiamenti.
"Alcune tradizioni si sono conservate. Io prendo con le pinze l’identità. È qualcosa di incerto che si mette al museo e che serve a pubblicare libri sull’essere argentini e sull’essere uruguayani. Muoio di noia. Altre cose sono andate perdute. Quando ero ragazzo c’erano i teatrini. Si mettevano un po’ di barili e sopra le assi. Venivano le orchestrine e cantavano. I teatrini avevano burattini giganti, divertenti, fatti dai migliori artisti del Paese, che vivevano nello stesso quartiere, non in una nuvola. L’orchestrina cantava per pochi pesos che la gente lasciava nel cappello. Era un suono incessante quello di quei tipi che venivano con le facce dipinte, parlavano dei problemi quotidiani della gente e facevano pelo e contropelo ai politici. Il teatrino era lo scenario della festa della vita. Sotto ci si scambiava i primi baci, intorno si ballava. Non c’era nessuna frontiera che separasse gli spettatori dai protagonisti. E’ l’eredità della tradizione dell’orchestrina di Cadice, da cui sono venute le orchestre uruguayane, come strumento popolare di vendetta per cantarle chiare al potere. Ciò che definisce un prodotto culturale come l’orchestrina di strada o la farinata di ceci, che veniva da Genova, non è l’origine ma l’uso, il modo in cui si inserisce e si sviluppa in qualsiasi luogo della terra. Nella mia infanzia ballavano per strada persino i paralitici. Oggi è il carnevale che ha lo stesso significato. Oggi come allora, i temi sono la politica e la vita quotidiana. Canti sull’aumento dei prezzi, sullo scandalo di quel certo deputato… Il carnevale è la rivincita del mendicante sul re".
L’orchestrina è filo-Frente Amplio.
"Sì, le orchestrine sono tutte di sinistra".
E ora che farà?
"Cercherà di criticare la sinistra, che mi pare molto sano. La solidarietà si esercita a partire dalla libertà di coscienza. Le mie relazioni con Cuba sono eccellenti, ma ho una posizione molto critica riguardo alle cose di Cuba che non mi piacciono, e le dico. Il Frente Amplio è un fronte di verità, non è una somma di dogmi, e le contraddizioni sono le benvenute. Alcuni amici si spaventano: ‘siamo un casino’. No, siamo un organismo vivo e contraddittorio. La discrepanza è la prova che è veramente così, non qualcosa di costruito. Le dittature sono più efficienti delle democrazie. Se il Frente fosse una struttura rigida, sarebbe più efficiente. Un’organizzazione monarchica dove il re trasmette gli ordini. L’Uruguay è un popolo impertinente. Non dirgli di star zitto e obbedire. Siamo conservatori anarchici. Ci costa cambiare, ma non ci piace che ci comandino. Per questo il Frente è andato crescendo nelle coscienze, casa per casa, lentamente e pietra su pietra".
Tabaré ha fortuna. Ha avuto il regalo dell’Oscar a Jorge Drexler (cantautore uruguayano che ha vinto l’Oscar per la migliore canzone originale, nel film "I Diari della motocicletta", ndt).
"Qui tutta la sinistra ha visto la cerimonia dell’Oscar di nascosto. ‘Stanotte mi sono coricato tardi perché avevo mal di testa’. In fondo nessuno credeva che Drexler avrebbe vinto. E ha vinto. Qui c’è la cultura di Hollywood, così come la cultura del consumismo. Solo che, siccome siamo poveri, si nota di meno. Quando stavo andando via dall’Argentina, ho iniziato a scrivere ‘Giorni e notti di amore e di guerra’. L’ho finito in Spagna. Ha come citazione d’apertura (quelle frasette che si mettono all’inizio) queste parole di Marx: ‘Nella storia, come nella natura, la deomposizione è la fonte della vita’. A me è sempre parsa una definizione perfetta di ciò che è la dialettica. Bene, il libro è stato pubblicato in spagnolo e, quando sono cominciate le traduzioni nelle altre lingue, il traduttore tedesco, con germanico senso della responsabilità, mi ha detto: ‘Sto cercando la frase e non la trovo. Dove l’ha presa?’. Gli ho detto che l’avrei cercata. Ho letto davvero Marx. Persino il ‘Capitale’, con un professore argentino. Mi sono messo a cercare ma niente. Alla fine mi sono reso conto che ci voleva una vita a trovare quella frase. Ho detto al tedesco: ‘Mi perdoni. Non so da dove viene. Se vuole la metta, sennò la tolga’. E il tedesco mi ha detto che l’avrebbe lasciata perché era una bellissima frase. E lì sono giunto alla conclusione che la frase era di Marx ma che si era dimenticato di scriverla. Era il mio riassunto di ciò che io stesso avevo letto. E questa è la cosa più importante che si può ricevere in eredità: la certezza che la contraddizione è la fonte della speranza, perché dal peggio viene il meglio".
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