Latina

Colombia: Il nuovo programma di distruzione della cocaina espelle i contadini dalle loro terre

Vedono le presunte operazioni antidroga nella regione del Chocò - che va avanti da una decade - come parte di una campagna, intrapresa dalle multinazionali e appoggiata dal Governo, per scacciarli dalle loro terre
27 aprile 2005
Sean Donahue (Sean Donahue è poeta e giornalista freelance, vive nel Massachusetts. Ha scritto molto sulla politica statunitense in Colombia. Ottenuto un riconoscimento dalla Escuela de Periodismo Auténtico de Narco News nel 2004, attualmente lavora anche sul Progett)
Fonte: The Narco News Bulletin - http://www.prensarural.org - 23 febbraio 2004

Da inizio gennaio, i piloti della DynCorp, che lavorano per il Dipartimento di Stato e sotto la supervisione della Polizia Nazionale colombiana, hanno irrorato glifosato sopra le comunità indigene ed afrocolombiane nella fragile selva del Chocò, nella Costa Pacifica della Colombia. Ufficialmente, per sradicare le coltivazioni di coca apparse nella regione durante gli ultimi anni, visto che le distruzioni precedentemente compiute nel Sud - Putumayo, Guaviare e Nariño - avevano spinto la coltivazione della cocaina in nuove aree e la conseguente distruzione di intere comunità ed economie locali costretto sempre più persone a dover basare la propria sopravvivenza sull'economia della cocaina. La pioggia avevano già lavorato a favore della distruzione delle coltivazioni, ma una volta passati i temporali si ricominciava daccapo.

Ovunque ci siano state distruzioni in Colombia, queste hanno avuto un impatto di devastazione sulla terra e sulle popolazioni. Il glifosato è un erbicida "ad ampio spettro" - uccide qualsiasi cosa abbia foglie. Sparso direttamente dagli aerei diventa arma indiscriminata, colpisce anche le coltivazioni alimentari e arreca grave danno alla selva.
Così come ai microbi nel suolo, oltre a stimolare la crescita di funghi tossici. Contamina anche l'acqua, avvelenando pesci, uccelli e tantissimi altri animali. Ma anche per l'uomo risulta essere tossico, causando problemi di diverso tipo, quali problemi respiratori, nausee, addirittura accecamenti temporanei. Una lunga esposizione a questo erbicida può addirittura causare l'apparizione del linfoma di Hodking.

Ci sono prove evidenti che dimostrano come la distruzione sia stata utilizzata quale strategia per espellere le popolazioni dalla proprie terre, azione voluta dai petrolieri del sud della Colombia.

I capi indigeni vedono queste distruzioni come l'ultima fase di una campagna che va avanti da dieci anni e che ha quale obiettivo l'espulsione delle popolazioni indigene ed afrocolombiane dalle proprie terre, per aprire il cammino verso le miniere, il legname, progetti idroelettrici e la costruzione di un canale artificiale che rimpiazzi quello di Panama. Una denuncia formale è stata presentata dal gruppo per la difesa dei diritti umani Codhes e dalla sezione colombiana degli Amici della Terra, da membri dell'organizzazione del Chocó Fundación Las Mojarras e del Consiglio Comunitario Mayor de Condoto, eccone una parte:

"La comparsa di coltivazioni illecite ed il loro sradicamento con l'utilizzo del glifosato nel dipartimento del Chocó altro non sono che una decisione politica dello Stato, che va ad aggiungersi ad una lunga sequela di fatti che, negli ultimi undici anni, stanno conducendo le popolazioni indigene e nere del Chocó verso il genocidio totale".

Le distruzioni sono l'atto conclusivo di un piano di dislocamento forzato attentamente studiato, che mira allo sradicamento di una cultura.

500 anni di genocidio e resistenza

Gli africani vennero portati in Colombia per rimpiazzare le popolazioni indigene e sottoposte a schiavitù, nelle miniere d'oro e nelle piantagioni di zucchero, dai primi anni del XVI secolo.

Si opposero subito alla schiavitù, non appena messo piede sul continente.
Luis Alberto Murillo, primo governatore afrocolombiano del Chocó (ora in esilio negli Stati Uniti) scrisse nel 2001:

"Nella società colombiana preabolizionista, gli schiavi afrocolombiani lottarono per la propria libertà non appena arrivati in continente. E' stato provato che ci furono alcuni distretti (detti "palenques") gestiti da africani, dove questi potevano vivere come "cimarrones" - africani che erano riusciti a sfuggire ai propri oppressori. Alcuni storici pensano al Chocó come ad un grande "palenque", con una grande popolazione di "cimarrones, specialmente nella zona del Río Baudó".

Dopo l'abolizione della schiavitù nel 1851, molti degli schiavi liberatisi abbandonarono la cultura loro imposta per unirsi ai "palenques" e formare nuove comunità nel Chocó. Ivi stabilirono una nuova cultura e riuscirono nell'intento di ottenere un certo grado di libertà ed indipendenza. Murillo scrive:

"Il popolo afrocolombiano fu costretto a vivere in zone selvatiche per proteggersi. Lì imparammo a vivere in armonia con la natura e a condividere il territorio con le comunità autoctone colombiane. Le nostre comunità afrocolombiane hanno sviluppato un proprio stile di vita, molto rispettosi dell'ambiente e capace di enfatizzare valori sociali fondamentali quali la pace, l'amicizia e la solidarietà, piuttosto che non l'accumulo di denaro e di capitale.

"Questo modello di vita afrocolombiano ci ha permesso di conservare la nostra ricchezza, il nostro ecosistema biologicamente diverso, fino ai giorni nostri".

"Dal 1851, lo Stato colombiano sostenne l'ideologia della commistione. Questo ha significato la necessità di mettere assieme africani ed indigeni con spagnoli bianchi e loro discendenti. L'intento era quello di far sparire, o di ridurre al minimo, quanto legava quelle popolazioni con l'Africa o l'America precolombiana. Non a caso, il governo colombiano non a caso ignorò prima e rifiutò successivamente questa nuova e libera popolazione negra.

"L'unica maniera in cui indigeni ed africani poterono mantenere una propria tradizione culturale fu vivendo in aree isolate della selva. Ma non fu affatto facile. La storia delle popolazioni nere in Colombia è quella di una lotta serrata per la libertà e la terra, contro la discriminazione e l'invisibilità".

I secoli XIX e XX sono segnati dalle lotte contro gruppi armati appoggiati dai proprietari terrieri, che volevano conquistare la loro terra e saccheggiare le selve del Chocó per coltivarci caffè, banane e zucchero.

Nel 1991, la Costituzione della Colombia garantì alle comunità indigene e afrocolombiane titoli collettivi di proprietà delle loro terre. Ma invece che segnare un importante passo in avanti nella lotta per la terra e la libertà, la nuova legge divenne fonte di violenza per le popolazioni indigene, costrette a difendere i proprio inalienabili diritti.

Una decade di massacri

Nel 1993 il Congresso colombiano approvò la Legge 70, che dava il via al processo di riconoscimento della proprietà terriera per le comunità nere. Tre anni più tardi, siamo nel 1996, la comunità di Riosucio divenne la prima "palenque" a chiedere il riconoscimento di legge. Quasi contemporaneamente, i paramilitari attaccarono e occuparono quasi tutta quella terra. Marino Córdoba Berrio, un leader comunitario di Riosucio che aveva fondato la Asociación de Afrocolombianos Desplazados (Afrodes) a Bogotá, e che oggi vive in esilio nefli Stati Uniti, scrisse nel 2002:

"Le organizzazioni comunitarie si trovano a doversi confrontare con coloro che ne stanno sfruttando le risorse naturali (l'oro ed il legno, per esempio). Mentre continuano a chiedere il riconoscimento della proprietà terriera. I gruppi paramilitari, sostenuti da forti interessi politici e commerciali, hanno compiuto omicidi e ci cacciano via dalle nostre terre".

"La mia organizzazione ha ottenuto i primi riconoscimenti collettivi della regione. Dopo solo cinque giorni, alle cinque del mattino del 13 dicembre 1996, i gruppi paramilitari arrivarono al mio paese, Riosucio, con l'obiettivo di uccidere i nostri leader e le loro famiglie. Molti vennero tirati giù dal letto e gettati nudi per le strade. Quanti fecero resistenza vennero uccisi. Io venni svegliato dalle urla, corsi a cercare riparo insieme a molti altri.

"Alle 8 del mattino gli elicotteri militari iniziarono a mitragliare, mentre i paramilitari chiedevano via radio ai piloti di sparare alla cieca, che tanto si trattava di guerriglieri. L'esercitò ci attaccò con bombe e fucili, molte persone rimasero uccise. I sopravvissuti rimasero per tre giorni dentro l'acqua per nasconderci, almeno fino a quando la fame e la disperazione non ci costrinsero ad uscire. Alcuni tra noi passarono per il paese percorrendo vie secondarie e raggiungemmo una comunità rurale dall'altra parte del fiume. Lì mi ripresi e successivamente raggiunsi Bogotà con un aereo...

"Due mesi dopo, era il febbraio del 1997, i paramilitari e l'esercito attaccarono le comunità rurali della regione e massacrarono un numero indefinito di persone. Più di 20 mila persone abbandonarono la zona. Praticamente non rimase nessuno. Oggi, alcuni di quegli uomini si trovano a Panama, altri in Ecuador o Venezuela, molti nelle grandi città".

Dopo dieci anni di massacri, gli afrocolombiani rappresentano oggi la maggior parte dei due milioni di rifugiati della Colombia. La violenza paramilitare ha continuato ad inseguirli fino alle periferie di Bogotà e Medellin, dove gli squadroni della morte cercano di far sparire i sopravvissuti per evitare che raccontino le loro storie e che lottino per la difesa dei propri diritti.

L'economia politica del genocidio

Gli interessi che ruotano intorno all'oro ed al legno hanno avuto un ruolo fondamentale nella violenza che ha raggiunto la regione del Chocó, anche se non ne sono le uniche responsabili. Come scrisse l'economista Héctor Mondragón:

"In realtà questo genocidio ha un teorico alle spalle. Un economista canadese, Lauchlan Currie, che consigliò gli ultimi cinque presidenti di seguirlo nella teoria che lui ribattezzò dello "Sviluppo Economico Accelerato". Questa teoria afferma che ci sono due ostacoli allo sviluppo. Il primo è il sequestro. Il secondo, la popolazione contadina. Secondo questa teoria, si deve arrivare ad una drastica riduzione dei contadini per riuscire ad avere un reale sviluppo del Paese. E ci sono due maniere per raggiungere questa riduzione: attrarre e poi esercitare pressione.

Il metodo

"Il metodo per attrarre e far sì che i contadini siano convinti a muoversi verso le città con la prospettiva di un lavoro. Il progetto "casa" del primo Pastrana (padre del predecessore del presidente Uribe, che governò dal 1970 al 1974), per esempio, permetteva sì alla gente di ottenere un appartamento ma con alti interessi di credito. Molti dunque persero la propria casa con la successiva crisi bancaria. E furono proprio gli istituti di credito a prendersi queste case, senza però rendersi conto che era un affare senza profitto, perché mancava chi potesse comprarsele. Ma le banche non sono i cittadini e dunque lo Stato intervenne, con aiuti di sostanza. Mentre la gente perse dapprima le case e poi il lavoro, con una disoccupazione che oggi è sopra il 20% e lascia sempre più campo a lavori malpagati ed irregolari.
Dunque l'attrazione non sta funzionando.

"Non resta dunque che far pressione. Sappiamo già di cosa si tratta"

I massacri sono la forma più diretta per buttare fuori la gente dalla propria terra. Ma esiste anche una dimensione economica del "buttare fuori". D'accordo con Mndragòn, il presidente Uribe ha cominciato a introdurre una sorta di controriforma agraria:

"I sussidi che l'Istituto di Riforma Agraria (Incora), recentemente liquidato, concedeva ai contadini sono oggi appannaggio dei "progetti di generazione d'ingresso interni ai grandi sistemi di commercializzazione". La terra "abbandonata" dai contadini può essere affidata a qualsiasi "produttore".

Questi "grandi sistemi di commercializzazione" finiscono col divenire parte di accordi che impongono ai fattori la produzione dell'olio di palma e mettono la loro terra sul piatto della bilancia per poter entrare nel novero dei commercianti dell'olio di palma. Produzione di olio di palma che sta crescendo in tutto il mondo, con conseguente drastico abbassamento dei prezzi. E quando i prezzi scendono, i contadini perdono le proprie terre.

La terra rappresenta l'investimento ideale per le ricche corporazioni colombiane e le multinazionali. L'ubicazione geografica del Chocò risulta essere ancor più importante degli stessi che vi possono essere prodotti. La regione si trova infatti al confine con Panama, e rappresenta per gli investitori un posto unico per la presenza di canali umidi e secchi ideali per rimpiazzare il Canale di Panama. Potrebbe altresì svolgere un ruolo importante nei piani di Uribe, intenzionato a costruire un gasdotto a Panama, ed una nuova rete elettrica che porterebbe elettricità dalla Colombia agli Stati Uniti.

Le compagnie minerarie e quelle del legno penseranno innanzi tutto a saccheggiare le risorse naturali. I "bio cacciatori" andranno alla ricerca di erbe medicali da sintetizzare e registrare. E quando la foresta sarà devastata e la gente fuggita, il ruolo del Chocò sarà quello di fungere da corridoio ecologico tra Centro e Sud America, con un nuovo e strategico ruolo di passaggio di gas ed elettricità verso il Nord, con le merci che transiteranno dall'Atlantico al Pacifico.

I massacri hanno dunque rappresentato il primo passo per far andare via la gente che rallentava la via dello sviluppo. Le distruzioni servono dunque per affamare chi osa rimanere, sradicare le loro coltivazioni alimentari e le piante dalle quali dipendono, insieme a qualsiasi coca che oggi possa venire prodotta nel Chocò. Lo sgombero è ormai in via di ultimazione.

Note: Tradotto da Vincenzo Puggioni per www.peacelink.it
Il testo e' liberamente utilizzabile a scopi non commerciali citando le
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