Latina

La rapina corporativa dell'acqua

9 maggio 2005
Gustavo Castro Soto
Fonte: Manuale "No seas Presa de las Represas",
Ciepac, marzo 2005

L' idromafia vuole mettere in vendita l'acqua.
L'Organizzazione Mondiale del Commercio e la banca
multilaterale o le cosiddette Istituzioni Finanziarie
Internazionali come la Banca Mondiale (BM), il Fondo
Monetario Internazionale (FMI) e la Banca
Interamericana di Sviluppo (BIS), sono gli assi
fondamentali che stanno consegnando il liquido vitale
nelle mani delle imprese.
Due di queste, Bechtel e Monsanto, entrambe degli
Stati Uniti, cercano di privatizzare e controllare
l'acqua in vari paesi come l'India, la Bolivia e il
Messico. Le società Vivendi e Suez si stanno
impadronendo dell'acqua nel mondo e controllano
l'accesso all'acqua potabile di più di 100 milioni di
persone nel pianeta.

Il progresso compiuto nella sua selvaggia
privatizzazione vorrebbe porre in poche mani la vita
di migliaia di milioni di persone. In Argentina e Cile
sono già stati privatizzati molti fiumi ad uso
esclusivo delle grandi multinazionali. La Banca
Mondiale ha obbligato la Bolivia a privatizzare il suo
sistema idrico che è stato comprato in circostanze
poco chiare dall' impresa degli Stati Uniti Bechtel
che si è fatta carico del sistema idrico della città
di Cochamba.
Subito dopo che la Bechtel ebbe preso il controllo del
sistema, l'accesso all'acqua diminuì e i prezzi
aumentarono del 40%. In seguito, tuttavia, il popolo è
riuscito a recuperare il sitema idrico potabile
attraverso resistenze ed organizzazioni.

Nell'ultimo decennio i governi hanno privatizzato
l'accesso all'acqua, il sistema fognario, la
depurazione, l'esportazione e la tecnologia relativi
all'acqua. Nel 2000 il FMI ha obbligato 16 paesi
sottosviluppati a privatizzare l'acqua. Fra questi
ricordiamo Angola, Benin, Guinea-Bisseau, Honduras,
Nicaragua, Nigeria, Panama, Ruanda, Santo Tomàs e
Principe, Senegal, Tanzania e Yemen. Como possiamo
osservare almeno tre di questi sono paesi fratelli del
Centro america e otto, invece, appartengono all'Africa
Subsahariana.
Tutti hanno qualcosa in comune: sono molto poveri e
hanno contratto fortissimi debiti con le banche
multilaterali. Questa situazione permette sia alla BM
che al FMI di imporre le loro politiche in maniera più
rapida.

Nella cittadina di La Soledad, Colombia, la società
spagnola Técnicas Valencianas del Agua (Tecvasa), che
non ha realizzato investimenti nel suo paese, ha
ottenuto la concessione del servizio idrico per 20
anni. Tecvasa controlla una zona dell'America Latina
popolata da 9 milioni di persone per un fatturato
totale di 180 milioni di dollari nel 2001. Questa
società è stata creata nel 1999 per prendere parte
alla privatizzazione dell'acqua in America Latina. A
soli tre anni dalla sua nascita aveva già creato
quattro filiali: Metroagua a Santa Marta (Colombia);
AAA Dominicana (Santo Domingo, Repubblica Dominicana);
Amagua a Zamborondon (Ecuador) e AAA Venezuela, nello
stato Zulia.

In Messico, secondo stime ufficiali, più di 12 milioni
di persone non hanno accesso all'acqua potabile; un
numero che è equivalente all'intera popolazione del
Guatemala. In Messico il governo di Vicente Fox ha
lanciato il processo di privatizzazione dell'acqua con
l'appoggio economico della BM e di altre banche
nordamericane. La multinazionale Suez ha ottenuto
molte offerte di privatizzazione in varie città
messicane; e lo stesso è accaduto a Vivendi e
Bechtel, camuffate da Unites Utilities. In tutte
queste città i quartieri popolari non avranno più
quote fisse per l'erogazione dell'acqua; al contrario
queste aumenteranno aggravando, così, la povertà nelle
fasce più disagiate della popolazione.

La guerra dll'acqua

L'uso dell'acqua si ripercuote sulle relazioni dentro
e fuori le nazioni, fra popolazioni urbane e rurali,
fra i bisogni umani e la necessità di preservare un
ambiente sano, nel settore agricolo, industriale e
all'interno delle stesse famiglie. E' per questo che
l'acqua dolce sarà motivo di molte guerre nel mondo
per aggiudicarsene l'accesso e il controllo. E non è
certo una novità; già 4500 anni fa le Città-Stato
sumere di Lagash e Umma dovettero negoziare per porre
fine alle loro lotte per l'acqua del fiume Tigri. Già
dall'anno 805 si ha testimonianza documentata di
trattati relativi all'acqua in termini di
navigazione, energia elettrica, pesca, irrigazione di
coltivazioni, delimitazione di frontiere, accesso a
sorgenti ecc. Circa 300 di questi non hanno niente a
che vedere con la navigazione e abbracciano aspetti
concernenti la quantità e la qualità dell' acqua e
l'energia idrica. Fra questi, molti si limitano ad
aspetti relativamente ristretti e non stabiliscono
regole per la gestione integrata di questa risorsa in
tutto il bacino.
Man mano che cresce la pressione sull'uso di questa
risorsa, è verosimile aspettarsi un aumento dei
conflitti per l'acqua e pertanto una maggior
cooperazione.

Dal 1820 al 2000 sono stati firmati più di 400 accordi
che considerano l'acqua una risorsa preziosa, cara e
limitata. Dal 1948 al 2002 si sono registrate 1.831
interazioni provocate dall'acqua, delle quali 1.228
hanno avuto carattere cooperativo e hanno promosso la
firma di 200 trattati di divisione dell'acqua e di
costruzione di nuove chiuse. Sono stati registrati 507
conflitti dei quali 37 violenti, 21 con intervento
militare e 30 hanno visto come protagonisti Israele e
i suoi vicini. Si sono verificate guerre e conflitti
di diverso tipo in Israele, Giordania, Siria,
Palestina, Egitto, Yemen, Irak, Kuwait. Anche gli
Stati Uniti si contendono l'acqua con il Messico e lo
fanno nella tripla frontiera con Argentina, Uruguay e
Paraguay. Vi sono dei conflitti anche nel bacino del
Mare Aral, del Giordano, del Nilo e del Tigri-Eufrate.
Ma se questa tendenza continuasse, si potrebbero avere
nel futuro dei conflitti relativi ai fiumi Lempa,
Bravo, Gange, Kunene, Rio de Plata, Mekong, Orange,
Senegal, Tumen, Zambesi, Limpopo, Han, Incomati,
Usumacinta, Lago Chad, per citarne solo alcuni.
Attualmente si calcola che esistono 640 conflitti
gravi per l'accesso all'acqua in tutto il mondo.

Ci sono 261 sorgenti che scavalcano frontiere
politiche di due o più paesi e che si trovano in 145
paesi. Questi bacini abbracciano un 45% della
superficie terrestre mondiale, rappresentano l '80%
della portata fluviale globale e interessano un 40%
della popolazione mondiale. Per più del 60% di queste
sorgenti non esistono trattati di cooperazione,
distribuzione e conservazione dell'acqua.
Di queste 261 sorgenti, 80 si trovano nel continente
americano dove risiede il 14% della popolazione
mondiale e dove si trova il 41% dell'acqua del mondo.
Curiosamente in alcuni dei paesi che hanno scarse
risorse idriche si trovano molte delle multinazionali
che seguono la produzione di energia idroelettrica e
la privatizzazione del settore. Entro il 2025 si
potrebbe verificare una crisi mondiale dell'acqua. Fra
i 15 paesi con maggior "stress per l'acqua" (crisi
idrica) ricordiamo, per ordine di importanza: Arabia
Saudita, Israele, Corea (Hyundai), Irak, Madagascar,
Spagna (Unión Fenosa,
Endesa, Iberdrola),Iran, Marocco, Pakistan, Germania
(Siemens), Italia, Sudafrica e Polonia. Per questo il
controllo dell'acqua conduce a maggiori conflitti
bellici e a militarizzazione.

Nell'Area del Libero Commercio con le Americhe (ALCA)
e nel PPP (Piano Puebla-Panama) l'acqua è diventata un
problema di sicurezza nazionale per il governo degli
Stati Uniti. Le imprese nordamericane invadono il
territorio comprando e controllando tutte le risorse
strategiche con l'aiuto delle basi militari
statunitensi.

Il rapporto della Banca Mondiale, Independent Water
Entrepreneurs in Latin America- The other private
sector in water services (Fornitori indipendenti di
acqua in america Latina - Il settore privato
alternativo dei servizi idrici), offre un'analisi
delle imprese private nel settore dell'acqua in
America Latina: Argentina, Bolivia, Colombia,
Guatemala, Paraguay e Perú. Nelle città analizzate
queste imprese soddisfano il 25% della popolazione
locale. Le piccole imprese hanno delle reti fisse
(approvigionamento tramite condotti) che forniscono
14.000 case. Tuttavia, a Santa Cruz (Bolivia) le
cooperative locali sono le uniche fornitrici di acqua
potabile per il milione di persone che vi risiede.
D'altra parte, l'iniziativa privata a Cordoba
(Argentina) presta servizio al 10% e perfino al 15%
della popolazione che corrisponde circa a 38.200
abitazioni.

LE ALTERNATIVE

E' necessario che il servizio di base idrico rimanga
un bene pubblico e non diventi né privato né
commerciale. E' importante evitare che l'acqua finisca
sotto il controllo, dominio ed esclusivo possesso e
beneficio economico dell'iniziativa privata. Non si
può lasciare in mano al settore privato una
responsabilità così grande che si ripercuote sulla
vita di tutta l'umanità.
Questo significa che l'acqua non è un problema in sé
stesso, ma che il problema è il modello di sviluppo
che la utilizza.
Non ci sarebbero problemi se le industrie depurassero
l'acqua che hanno contaminato prima di scaricarla nel
fiumi e se non si abusasse degli agrochimici che
portano tanti vantaggi alle multinazionali che li
producono. Non avremmo problemi relativi all'acqua se
non ci fosse una deforestazione così massiccia frutto
delle piantagioni di monocolture a grande scala o del
disboscamento di milioni di ettari di boschi
sacrificati per soddisfarre il mercato della carta
sprecata nei paesi del nord. Allo stesso modo non
avremmo problemi se non danneggiassimo tanti fiumi per
giustificare l'approvvigionamento idrico delle grandi
città che sprecano l'acqua, la utilizzano malamente e
producono tanta elettricità che viene sprecata
soprattutto nei paesi sviluppati. Al posto della
cultura dello sperpero bisogna creare una nuova
cultura dell'acqua. Una cultura di risparmio,di
attenzione e di criteri di equità nella sua
distribuzione.
C'è acqua per tutti gli esseri umani del pianeta.

E' necessario recuperare i metodi tradizionali di
afflusso dell'acqua, generare sistemi decentralizzati
e produrre un modello economico sostenibile. L'80%
degli appezzamenti agricoli mondiali vengono coltivati
con acqua piovana e forniscono circa il 60% della
produzione alimentare. E' possibile incrementare le
coltivazioni con acqua piovana e meccanismi
sostenibili per non disperdere l'acqua, ricaricare
depositi, falde sotterranee, terrapieni ecc..Invece di
fare tante dighe di sbarramento inutili con lo stesso
denaro si potrebbero riparare i condotti, modificare
le cisterne o costruire campane per il risparmio e
l'uso ottimale di questa risorsa.

C'è un aspetto contraddittorio. Molte persone
ritengono che tutti dovremmo pagare per l'acqua che
utilizziamo. Si può porre il consumo idrico allo
stesso livello del consumo di qualsiasi altro
prodotto, bene o servizio? Si può chiedere alle
popolazioni povere una cosa simile? In futuro le
grandi multinazionali ci diranno che, dopo aver
contaminato l'aria di tutti, l'aria del pianeta
necessaria per la sopravvivenza dell'umanità intera e
di qualsiasi altra forma di vita che vi abita, proprio
loro la ripuliranno e bisognerà addirittura pagarle
per far questo. E' facile pretendere dalle popolazioni
che paghino l'acqua quando la difficoltà di avervi
accesso è frutto dell'arricchimento di altri settori.
E' facile dire alla popolazione rurale che paghi per
la sua acqua quando le grandi città l'hanno a
disposizione a poco prezzo e la sprecano a forza di
danneggiare i fiumi e prosciugare le sorgenti in
campagna. E' facile chiedere alle popolazioni di
pagare l'acqua perché il governo non ha più soldi dopo
averle impoverite obbligandole ad applicare politiche
neoliberali.
Ma lo stesso va detto per la salute, l'educazione e
altri servizi di base che devono essere gestiti dallo
Stato e non devono essere privatizzati.
Non sono i privati, infatti, coloro che hanno firmato
la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani.

Note: traduzione di Sara Anotgnoni per www.peacelink.it
Il testo e' liberamente utilizzabile a scopi non
commerciali citando le fonti, l'autore e il traduttore.


Per ulteriori informazioni sull'acqua è possibile visitare il sito:
www.bancomundial.org/agua)


[1] www.cepis.ops-oms.org

[2] www.cepis.ops-oms.org

[3] CMR, p.162.

[4] Rapporto della Comissione Mondiale per le Dighe
(CMR) dell'anno 2000,
pagina
161.

[5] Rapporto della Comissione Mondiale per le Dighe
(CMR) dell'anno 2000,
pagina 5.

[6] CMR, p.180.
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