Messico: intervista a due membri del Frayba
E' partita ieri per il Chiapas la carovana organizzata dai Giovani
Comunisti, i Cantieri Sociali, le rappresentanze di Enti Locali ed
associativi, insieme a qualche singolo cittadino. Questi periodici viaggi
sono richiesti dalle stesse comunità indigene, perchè servono sempre
osservatori internazionali nelle zone della Selva Lacandona e in tutto il
Chiapas, dato che i diritti umani continuano ad essere violati. Jorge Luis
Hernàndez Castro e Michael W. Chamberlin sono infatti due rappresentanti del
Centro de Derechos Humanos Frey Bartolomeo de Las Casas: chi conosce il
Chiapas, sa che il centro di San Cristobal è uno dei maggiori punti di
riferimento della questione indigena e delle lotte di quel lato del mondo.
Jorge e Michael, la settimana scorsa, sono stati ricevuti in audizione dalla
Commissione dei Diritti Umani della Camera dei Deputati italiana, perche il
Frayba, come viene chiamato il centro, gestisce il faticoso lavoro di
raccolta delle dolorose testimonianze dei campesinos, delle famiglie che non
si accontentano di veder sparire un giovane, una donna, e non saperne più
nulla. Essere a Roma per Jorge e Michael, per il centro che rappresentano,
serve a non dimenticare, e il racconto che fanno non ha niente da invidiare
ai ricordi delle dittature latino-americane degli anni Settanta.
Com'é la situazione in Chiapas rispetto ai diritti umani e all'autonomia
indigena?
Nel 2001 fu approvata una legge peggiorativa degli accordi di S. Andres,
faticosamente raggiunti nel 1996 tra Pri, Ezln e l'allora vescovo Samuel
Ruiz della Diocesi locale. Rispetto agli accordi, la nuova legislazione
garantisce progetti per gli indigeni, ma continua a negargli l'autonomia. Ci
sono casi di tortura quotidiana e sistematica, detenzione arbitraria, non è
rispettata nè la legge messicana nè gli accordi internazionali. La risposta
del governo è militare: in Chiapas esistono 114 accampamenti militari, 91
all'interno della zona indigena. Ci sono poi i gruppi paramilitari, il più
famoso ha il nome di Justicia y paz (giustizia e pace) che attuano
spostamenti forzati, sparizioni e torture, omicidi.
Di cosa si occupa il Centro Frei Bartolome de Las Casas?
Il Centro raccoglie le testimonianze delle persone che hanno subito le
violenze, dei loro familiari. Ultimamente, dopo decine di migliaia di
denuncie che ci sono state fatte, abbiamo presentato un rapporto, lo scorso
ottobre, alla Commissione Interamericana dei Diritti Umani, dove si
analizzavano 8 casi riguardanti 122 vittime, 85 morti e 37 desaparecidos,
scomparsi. A febbraio, in un altro incontro con la Commissione
Interamericana, abbiamo presentato un rapporto sulla strage di Acteal: il 22
dicembre 1997 45 persone (tra queste 34 erano donne e bambine), già sfollate
da un'altra comunità, sono stati massacrate da assassini rimasti
sconosciuti. Il governo, che ha indagato su questa strage, ha dichiarato che
casualmente, quel giorno, delle persone armate si sono incontrate ad Acteal,
e hanno sparato. Non è stato un attacco organizzato, è stato del tutto
casuale. Durante il nostro viaggio in Europa, abbiamo anche presentato una
denuncia a Ginevra, alla Commissione dei Diritti Umani dell'Onu.
Raccontateci una delle storie che avete raccolto?
Un esempio di una morte esemplare è la storia di Minerva, studentessa, che
nel 1998, ancora minorenne, riceve la notizia di raggiungere i suoi
familiari a Tila, di cui è originaria. Minerva prende una camioneta, un
camioncino adibito a trasporto collettivo, passa per la comunità di Miguel
Aleman, addiacente al suo paese. I genitori di Minerva, come tutta la sua
comunità, avevano recentemente accolto i profughi di un posto vicino, fatti
allontanare dalle proprie case dal gruppo paramilitare Justicia y Paz.
Qualcuno di Miguel Aleman riconosce Minerva, la fa scendere dalla camioneta.
E da quel momento la ragazza sparisce. Un paramilitare, che ha collaborato
con il centro dei diritti umani, ricostruisce anche questo caso: Minerva
venne imprigionata, violentata da più uomini, uccisa. Il suo corpo fu
sepolto in un luogo non identificato: le autorità regolari hanno detto alla
sua famiglia che questo era uno dei molti rapimenti che giornalmente
avvengono in Messico e che non c'entra niente la politica.
Per queste violenze, non vengono mai trovati dei responsabili?
Questa storia è una delle tante che da molti anni avvengono in Chiapas: il
governo, sia quello chiapaneco che quello messicano, indicano le numerose
violenze come conseguenze di faide familiari, intercomunitarie. Per questo
motivo, gli indigeni non possono essere autonomi, non hanno diritto alla
loro autoderminazione, dato che non sono capaci di impedire neanche
l'ammazzarsi nello stesso loro paese. Eppure nessuno spiega il legame che
unisce il Pri, il partito che governa il Chiapas dalla costituzione dello
stato messicano, l'esercito e i gruppi paramilitari. Le torture e le
uccisioni sono sempre dichiarate come violenze singole, senza alcun legame
l'una con l'altra.
Avete parlato di un testimone ex paramilitare. Avete delle prove delle
implicazioni del governo chiapaneco e messicano?
Siamo venuti in possesso del Plan de Campaña 1994, cioè il piano militare
che è stato deciso quando l'Ezln attaccò militarmente, con il quale il
governo messicano spiegava che tipo di intervento voleva realizzare nei
confronti dei rivoltosi del Chiapas. La situazione si è fatta molto più
chiara: l'obiettivo prioritario è, ed era, quello di togliere all'Ezln
l'appoggio della società civile. Questo ha voluto dire attuare
sistematicamente il terrore nei piccoli paesi, nelle comunità agricole: gli
uomini sono torturati, mentre contro le donne e i bambini avvengono stragi,
violenze collettive. Perchè colpire le donne ha un significato tremendo, non
ci sono difese quando si uccidono le donne e i bambini. La repressione
collettiva riguarda anche chi appoggia i gruppi paramilitari e militari: non
accettare di lavare i panni, cucinare e dare alloggio, non partecipare alla
ruberia del mais alle comunità che aiutano l'Ezln, vuol dire mettersi a
rischio. Con minacce di violenze alle famiglie, uomini e donne hanno
accettato di compiere crimini a volte contro i propri stessi villaggi.
Perchè tutto ciò avviene in posti dove le persone si conoscono da sempre,
può anche essere che siano parenti.
Perché non si vuole dare autonomia agli indigenas?
Non riconoscere una capacità politica significa porre sotto tutela più del
30% della popolazione del Chiapas, e con le persone anche i territori.
Intorno al mancato riconoscimento dell'Ezln e di tutti i gruppi politici che
da anni si battono per i diritti degli indigeni del Chiapas, girano gli
enormi interessi legati soprattutto a due risorse: l'energia e il petrolio.
Il Chiapas possiede il 30% delle risorse idriche di tutto il Messico,
convertite in energia elettrica; esistono inoltre giacimenti di petrolio non
sfruttati, soprattutto nella Selva Lacandona. Proprio dietro alla questione
di chi sia il proprietario di queste ricchezze, se i popoli che da millenni
abitino qui, o il governo messicano, si nasconde la spiegazione di tutta la
violenza che accade in questo piccolo stato. E ancora più nascosta, c'è la
domanda se questi territori siano del Messico o degli Stati Uniti, o ancora
delle numerose multinazionali che sempre più stanno comprando terre e fonti
d'acqua. La risposta, forse, la conosciamo già.
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